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Eolo
recensioni
SGUARDI' A VENEZIA
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI ED ELENA MAESTRI

Si è svolta dal 9 all'11 giugno 2011 a Mestre il “numero uno” di SGUARDI festa/vetrina del teatro contemporaneo veneto, la rassegna delle migliori produzioni teatrali professionali nel territorio regionale, ideata dall’Associazione Produttori Professionali Teatrali Veneti con il sostegno della Regione del Veneto, del Comune di Venezia e della Fondazione di Venezia/Euterpe. Venezia che per tre giorni, ha proposto a pubblico e operatori 24 spettacoli in 7 sedi diverse tra il centro storico e la terraferma di Venezia.
L’8 giugno 2011 presso la sede della Fondazione di Venezia, la vetrina è stata anticipata da SGUARDIlab, il primo laboratorio rivolto agli operatori teatrali dal titolo “ Il teatro del territorio” con lo scopo di tracciare, elaborare e condividere riflessioni ed idee sulla sostenibilità delle arti teatrali nei territori della Regione del Veneto.
Come l' anno scorso il programma della rassegna è stato selezionato da un comitato artistico presieduto dal critico Andrea Porcheddu che ha voluto proporre quest'anno all'interno della vetrina un nuovo spazio denominato “ Colpo d’Occhio” , sezione trasversale e aperta, che ha raccolto lavori ancora in divenire, prove aperte, assaggi di lavoro, letture di testi inediti della durata di 20 minuti ciascuno.
Programma composito,forse meno interessante dell'edizione 0, ma pur sempre pieno di tante suggestioni e di proposte che hanno inteso giustamente rompere gli steccati e così, pur non riuscendo a vedere tutte le ventiquattro proposte, abbiamo potuto gustare creazioni che hanno spaziato dalla prosa al teatro di ricerca, dal circo al teatro ragazzi.
Abbiamo potuto rivedere uno dei capolavori di Gigio Brunello ”Vite senza fine”, lo spettacolo realizzato con Giulio Molnar, che ha incantato tutti i presenti, facendo scoprire a molti un maestro del teatro di figura, oppure assaporare ancora una volta “The end” di Babilonia Teatro, forse il testo più maturo del gruppo veronese con quella bellissima immagine finale di Valeria Raimondi,madonna laica, con in braccio il “nostro” piccolo Ettore che riempie di vita e di speranza uno spettacolo tutto intriso di morte. E poi, dopo la prima di Vimercate, ecco il nuovo spettacolo del T.A.M che con Picablo dopo il bellissimo 'Anima blu 'dedicato a Chagall continua il percorso del gruppo padovano sul rapporto teatro pittura con questo nuovo tassello dedicato a Picasso, forse meno riuscito ma altrettanto stimolante. All'inizio di 'Sguardi 'Carlo Presotto ha presentato con la tecnica del teleracconto 'Storie in tazza,Goldoni raccontato ai ragazzi ' confermando lo stile già utilizzato in altri suoi lavori che coniuga intelligentemente il teatro classico con i nuovi media.

Ci ha molto emozionato e convinto “Avrei tanto bisogno di dire” lo spettacolo che Vasco Mirandola ha imbastito sui testi del poeta Pino Roveredo con la regia di Michelangelo Campanale.
Un elogio mai retoricamente banale degli ultimi è quello che emerge dai versi di Roveredo, figlio di sordomuti di padre alcolizzato, alcolizzato egli stesso, a partire dai 15 anni, finito in carcere, poi in manicomio da cui riesce ad uscire e ad iniziare una nuova vita che lo porterà all’impegno sociale e alla scrittura, fino al premio Campiello.
La scena è una specie di set dove finalmente gli umili prendono la scena attraverso le parole del poeta. Mirandola si affida a pochi gesti, ad immagini scarne che appaiono su uno schermo dietro di lui, ad una recitazione mai sopra le righe che poi si incarna benissimo nell'indimenticabile figura di Mafalda, Mafalda senza casa, dal cuore scopertamente duro, innaffiato nell’alcol, Mafalda che da giovane era amata da tutti e che ora sembra odiare il mondo intero.Figura emblematica che incarna tutti gli umili Mafalda e che ci resterà nel cuore.Con l'accorta regia di Michelangelo Campanale, Vasco Mirandola costruisce uno spettacolo di grande e poetica intensità.
Non banale anche “Come uno scarafaggio sul marciapiede Sogno di fine stagione “ lo spettacolo di Questa Nave in collaborazione con i giovani della Compagnia Tre Punti, non banale soprattutto il testo di Antonino Varvarà ben classicamente recitato da Anna De Franceschi, Sara Bettella, Claudia Gafà e Demis Marin.
In scena Martin che se ne parte ed i suoi pensieri che come un puzzle stentano a ricomporsi,.Tre donne gli ricordano le speranze, le disillusioni, madre, amante, amica forse, un passato con cui fare i conti,un passato da cui Martin esce sconfitto ma forse il futuro gli concederà nuove possibilità. Uno spettacolo soffuso di melanconia che come spettatore però non ne riusciamo a comprendere del tutto i contorni pur apprezzando tutte le suggestioni poetiche che il testo ci rimanda.
Molto interessante sulla carta la coraggiosa ricerca del nuovo spettacolo di Pantakin “ Circoparola” Per voce, attrezzi e tendini. Il gruppo veneziano, dopo averci deliziato l'anno scorso con “Cirk”, questa volta accetta la sfida di Tiziano Scarpa per unire teatralmente il circo con la parola per narrarci il tempo in cui viviamo, un tempo in cui i teatranti invece di essere coperti d'oro come dovrebbero, devono, arrabattarsi come possono impoverendo il loro lavoro,abbassandolo ad altro.Protagonisti dello spettacolo sono un clown e due giocolieri trapezisti, i convincenti Emanuele Pasqualini Marcel Zuluaga Gomez, Alice Macchi, che si ingegnano a portare avanti il loro lavoro in un mondo così capovolto.
Lo spettacolo a nostro avviso non ha ancora trovato la sua giusta dimensione, la parola fatica a fondersi con il circo e viceversa senza spesso suscitare la meraviglie che essi in egual misura posseggono pur nella ristrettezza conclamata del periodo in cui siamo.
Ma ovviamente la ricerca è interessante, secondo noi, in un lavoro ancora in divenire e la difficile sfida rimane assolutamente aperta.
Rimane doveroso fare una sottolineatura su alcuni spettacoli di teatro-ragazzi visti nella vetrina veneziana e che ci rimandano all'annoso problema di cui spesso abbiamo scritto.
Realizzare spettacoli per l'infanzia non è solo un mestiere, è una vocazione, non tutti possono permettersi di farlo.Non basta recitare in falsetto, parlare dei diritti del bambino, camuffarsi con improbabili grembiuli intercambiabili per interpretare varie parti , realizzare assurdi canovacci di didascalici senza capo ne' coda.
Il mondo che ci accoglie e che pazientemente è stato costruito in oltre quarant'anni di lavoro, vasto e appetibile anche come mercato, merita rispetto, ognuno ha i suoi ambiti, la commedia dell'Arte , la ricerca , la filodrammatica, faccia quello con passione e professionalità e, se vuole avvicinarsi allo spettatore bambino, lo faccia pure ma con discrezione, comprendendone sino in fondo le esigenze ed educandolo alla bellezza.
MARIO BIANCHI

MOMO – TEATRO DEL LEMMING
La storia della ragazzina solitaria Momo, eroina del romanzo di Michael Ende, colpisce ancora. Il Teatro del Lemming si mette alla prova con uno spettacolo per ragazzi, tipologia teatrale mai frequentata dal gruppo, se non per un unico esperimento di alcuni anni fa con un’Odissea per bambini. In questo caso la compagnia mette in scena un lavoro molto tradizionale, forse per bussare in maniera rispettosa in un mondo che continua, ahinoi, a rimanere separato e ghettizzato rispetto al Teatro con la T maiuscola.
Se abbiamo intuito la delicata volontà di entrare in punta di piedi sui palcoscenici per ragazzi, questo è però purtroppo anche la debolezza dello spettacolo, che assume alcuni dei difetti tipici del teatro rivolto ai piccoli spettatori. Momo è una ragazzina speciale, ha una facoltà molto particolare: sa ascoltare, e questo suo dono le permetterà di salvare la fantasia, di proteggere l’attenzione ai dettagli e la cura per le cose piccole che valgono tanto. Questo carattere “speciale” non è però reso in maniera altrettanto speciale sulla scena. In particolare l'attrice che impersona Momo recita con una voce in falsetto, fintamente bambinesca, piuttosto fastidiosa, che non rende il peronaggio più credibile. La bambina incontra figure fiabesche lungo la sua avventura: Mastro Hora , la bravissima Fiorella Tommasini, custode del Tempo, Cassiopea, tartaruga di rara intelligenza e dotata della magica facoltà di viaggiare avanti nel tempo di una mezz’ora esatta, e i perfidi Uomini Grigi che rubano il Tempo agli adulti. L’interazione di Momo con questi ruoli sarebbe molto più avvincente se non fosse l’unica ad usare un registro recitativo così marcatamente infantile. Al di là di questa importante scelta lo spettacolo ha secondo noi buoni costumi, movimenti di scena curati e una drammaturgia interessante per sintesi e montaggio. Il teatro del Lemming può osare di più.

ANTONIO PANZUTO – LE MILLE E UNA NOTTE
Antonio Panzuto e i suoi spettacoli hanno una grazia particolare, che intenerisce. Le mille e una notte è una raccolta di racconti centrata sul re persiano Shāhrīyār, che, essendo stato tradito da una delle sue mogli, ha deciso di uccidere sistematicamente le sue successive spose dopo la prima notte di nozze. La bella Sharāzād, andata in sposa al re, escogita un trucco per salvarsi: ogni sera racconta al re una storia tremendamente appassionante, rimandando il finale al giorno dopo. Il re la salva ogni sera, per mille e una sera, per poter ascoltare un’altra storia, e finirà per innamorarsi di Sharāzād.
Le marionette che animano le tre storie scelte dall’autore sono piccole e grandi, alcune di colori sgargianti e altre poetiche per la loro delicatezza, sono mosse a vista da Panzuto, in una scena bifronte, il pubblico è ai due lati di una terra desertica sulla la quale vengono “agite” le storie. Piccoli tappeti volanti, dune, cammelli… Ma qualcosa danneggia la poesia e la riuscita di uno spettacolo che potrebbe avere il fascino esotico dell’anticonvenzionalità: troppo squilibrio tra le parti effettivamente narrative, che rimangono un po’ sparute nel complesso e nemmeno sempre intelligibili, e un infinito lavorio “meccanico” di costruzione in diretta che appesantisce con tempi dilatati lo svilupparsi del racconto. Alcuni inciampi tecnici sono stati senz’altro legati alla contingenza ma il lento comparire dei pezzi che compongono gli ambienti di ogni storia a nostro avviso è troppo preponderante nei 50 minuti di durata, i personaggi sono al servizio di ingranaggi e carrucole e non il contrario.

SEZIONE COLPO D’OCCHIO:
GHIACCIO - Teatro Capovolto
SENZA TITOLO - Teatro Comunale di Occhiobello
BOLLE - Theama Teatro
LE COSE FONDAMENTALI – Tib Teatro
ALCESTI: DALLA PARTE DI ADMETO – Paolo Puppa
ASPETTANDOI ERCOLE – Barabao Teatro

In questa edizione uno del festival veneto Sguardi, dopo il felice numero zero del 2010, si è mantenuta la sezione Colpo d’occhio, dedicata alla presentazione di 20 minuti di alcuni spettacoli, nelle prime due giornate abbiamo visto Ghiaccio di Teatro Capovolto, pretenzioso esempio di teatro concettuale che vuole stupire e ostacolare la comprensione dello spettatore. Un’attrice sola sul palco (Marika Tesser, autrice e ideatrice del lavoro), in un abito bianco fatto di veli e catene si muove come imprigionata in una gabbia metaforica, tra molto fumo, recitando con voce rotta e sforzata un testo rimasto a noi poco comprensibile: qualche battuta modificata e ripetuta presa dall’Amleto, come a deriderne il senso, parole sulla difficoltà del rapporto dell’uomo con se stesso. Non si scorge ne’ un costrutto ne’ un fine, una prova in cui andrebbe dissolta un po’ di nebbia.
Senza titolo, produzione del teatro Comunale di Occhiobello vede come autore, regista e attore Giulio Costa, interprete ironico e di stile molto british, nei panni di un professore alle prese con lo sterminato programma scolastico da portare a termine e l’inesorabile scorrere delle ore a disposizione.
In un travolgente susseguirsi di materie svolte ai minimi termini con collegamenti improbabili tra una disciplina e l’altra vediamo il professore con la sua cattedra di cartone, modulare, che si adatta per ogni lezione, passare da Palladio al Bauhaus in due minuti, dall’alfabeto di A come Albero alle versioni latine, da un esperimento di fisica ad una rapidissima letteratura inglese, tutto con l’occhio all’orologio in una perenne ansia di passare ad altro.
Comica parodia di un ritmo insensatamente forsennato di insegnare e imparare, i venti minuti sono molto divertenti, sappiamo che nella versione completa le materie affrontate sono 21, siamo curiosi di assistere all’intera lezione.

Theama Teatro ci ha presentato Bolle, una raccolta di ricordi d’infanzia raccontati sulla scena da Anna Zago, la cui recitazione ancora acerba non aiuta la credibilità di un testo troppo ricco di cliché. La protagonista parla della sua passione per un paio di scarpe gialle, ricorda la cartella che portava a scuola, introduce numerosi episodi in cui il padre ha un ruolo primario, quando l’intreccio cerca di raggiungere una maggior profondità, la bambina si trova ad affrontare un lutto, ma è quello del nonno, personaggio che si fa vivo solo da morto. C’è insomma un po’ di confusione nella scrittura, non particolarmente curata, e che non ci guida in un mondo infantile che necessità di più originalità per essere raccontato.
Daniela Nicosia di Tib Teatro conferma la sua attitudine a mettere in teatro storie forti e che non possono lasciare indifferenti. In questa vetrina ha presentato una lettura della sua drammaturgia ispirata “Le cose fondamentali” di Tiziano Scarpa. La regista ci ha spiegato il suo incontro con questo libro, le sue iniziali perplessità e il suo progressivo interesse per una vicenda tutta vissuta da uomini: Solimano Pontarollo e Scarpa stesso hanno letto la prima parte di questo lavoro che vede due amici, di cui uno è appena diventato padre, che affrontano insieme la malattia de neonato.
Un bambino che rappresenta l’esplodere della vita si trova già a vederla a rischio. Gli adulti, tra cinismo e pathos, soffrono l’incapacità di trovare la loro posizione in qaesta situazione di dolore. Non sappiamo come andrà a finire, sappiamo che ci siamo emozionati partecipando ai primi passi di un racconto che prenderà forma teatrale. Ed è già molto.

Paolo Puppa, professore di Storia del teatro a Venezia, è anche attore e autore. Quest’anno ci ha presentato un racconto, Alcesti, dalla parte di Admeto, letto con un marcato accento veneto che fortifica la sincerità e il vero senso delle parole. Il testo è una rilettura moderna della tragedia di Euripide, nella quale Alcesti è sacrificata per assicurare la vita ad Admeto e poi salvata per l’intervento di Ercole.
Qui Admeto è un dentista, un po’ annoiato, marito dubbioso di un’Alcesti solo raccontata, che parla al suo amico medico psicoanalista Dottor Ercole. Gli racconta i suoi incubi, in cui la moglie continua a morire, ma lui non sa se sperare o temere che l’incubo diventi realtà. Il racconto è in prima persona e Puppa dà vita ad una lettura ironica e al contempo malinconica, che pone l’accento sui pensieri e i sentimenti di un marito dopo tanti anni di matrimonio. Il testo è ben scritto e potrebbe già vedersi compiuto nella forma di lettura.
La sorpresa più interessante, per originalità e freschezza è senza dubbio Barabao Teatro. Aspettando Ercole è un ricco gioco mitologico in cui i quattro bravi attori (Mirco Trevisan, Romina Ranzato, Ivan Di Noia, Cristina Catto) si misurano con successo nel canto, negli sketch classici della Commedia dell’Arte, nelle tecniche di recitazione con maschere bellissime (opera di Matteo Destro). Un quartetto vivace e pieno di brio che trova il giusto ritmo per toccare il registro comico e quello poetico. Barabao ci ha fatto ridere di gusto e ci ha fatto appassionare con grazia e sapiente leggerezza agli intramontabili miti greci, ci ha fatto vedere come una compagnia con attori giovani può essere inventiva e originale con professionalità.
ELENA MAESTRI




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