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Eolo
recensioni
Virgilio brucia di Anagoor
VISTO A LUGANO AL LAC

Può capitare, come spettatore, di assistere nel percorso di una compagnia, prima al suo spettacolo più recente, quasi innamorandosene, ed in seguito, 7 mesi dopo, a quello precedente, e, può anche capitare, che ciò possa aprirti la mente, comprendendo in modo più completo ambedue gli spettacoli, confermando nei tuoi convincimenti, nel contempo, la poetica e i modi stilistici della compagnia. E' successo a noi assistendo a Lugano, 7 mesi dopo” Socrate il sopravvissuto” a “ Virgilio brucia” del gruppo veneto Anagoor, compagnia che seguiamo con cura da più di 10 anni.

Già precedentemente e in numerosi ambiti avevo sottolineato come “Socrate il sopravvissuto” sia stato per me una fonte per molti versi inaspettata di teatro profondo e illuminante.Ebbene “Virgilio brucia” non fa altro che prepararne il terreno, sondandolo, mettendo in campo in modo inusuale e fecondo i temi che “ Socrate il Sopravvissuto” mi aveva esplicitato e convinto in modo esaustivo.

Cioè la rivisitazione del passato come fonte inesauribile per comprendere il presente, la trasmissione del sapere come perno centrale del cambiamento della società, la ricerca di una bellezza senza tempo che ha nella conoscenza il suo centro focale.Tutto ciò proposto attraverso un teatro che non cede mai a compromessi, che richiede un'attenzione da parte dello spettatore costante e proficua senza cedimenti, un teatro inteso come rito che si fonda su una comunità che vi assiste e che anzi partecipa alla sua realizzazione per comprenderne in modo profondo tutti gli aspetti.

Protagonisti dei due spettacoli sono due intellettuali sommi che hanno caratterizzato il loro tempo, Socrate e Virgilio, ma mentre per Socrate il giudizio è sempre stato netto e preciso nei confronti di un filosofo che ha immolato la sua vita per non cedere ad alcun ricatto morale o adulatorio, per Virgilio grava l'accusa di essere stato in qualche modo, il cantore celebratore del potere del suo tempo. E lo spettacolo lo suggerisce certo, ma ribaltandone il significato, in modo da proporre nuove direzioni di lettura.

Il fulcro di “Virgilio brucia” è la ricostruzione fedele sul palco di un fatto di cronaca diventato ormai leggenda : la lettura pubblica, che il divino imperatore Augusto pretese da Virgilio del suo capolavoro in via di definizione “Eneide”. Lo stesso poeta, seppur riluttante, recitò davanti all'imperatore e ai suoi familiari alcuni brani del secondo, quarto e del sesto libro del poeta. Si ricorda che la lettura fu cosi incisiva, che Ottavia, sorella di Augusto, svenne vedendosi comparire davanti il figlio Marcello da poco scomparso, che Enea intravvedeva fra le anime incontrate nell’Ade .

Ma non è questo che più interessa ad Anagoor, quanto la lettura del secondo libro, quella che narra

in tutta la sua potenza la violenza della distruzione di Troia che nello spettacolo è cadenzata da musiche corali eseguite dal vivo che rimandano a melodie ancestrali di diversa estrazione . E' veramente una meraviglia emozionante  ascoltare da Marco Menegoni, in latino, tutto quel libro dell'Eneide, è un'esperienza ritornare indietro con la memoria a riascoltare quei versi che credevo perduti e che il mio insegnante di liceo mi ripeteva, forse allora, annoiandomi, allora tanti anni fa. Menegoni/Virgilio legge quei versi con trasporto al suo imperatore che lo ascolta, d'oro mascherato, ricordandogli non già la sua potenza, ma che il potere non è eterno, che Roma sarebbe potuta soccombere e che Roma è nata dalle macerie di un 'altra città. ( Come del resto Socrate diceva ad Alcibiade che tutta la sua scienza non gli sarebbe servita a niente) Tutta la narrazione è poi intrisa da una “ pietas” che si riverbera costantemente sui vinti di un' altra di città che pareva essere eterna e che lo è, solo, attraverso quei versi.

Ma lo spettacolo naviga anche verso altri liti sempre convergenti e che partono sempre dalle immagini della scuola di Castelfranco, dove la compagnia si è formata e conosciuta.

E così lo spettacolo è ricco anche di numerose altre suggestioni che si incanalano nelle citazioni che lo attraversano da “La morte di Virgilio” di Broch, recitato da un 'attrice all'inizio in lingua armena a “Vite che non sono la mia” di Carrère fino a “Consigli a un giovane scrittore” di Danilo Kiš e alle dissertazioni di un insegnante, estrapolate da Amitav Ghosh in cui si parla di una comunità indiana in fuga dalla propria patria distrutta, in un'alternanza di lingue e musicalità diversissime tra loro.

E poi ci sono le api e la raccolta del miele che rimandano ancora a Virgilio( Cecini Pascua rura duces) ma che ci riconducono soprattutto ancora ad un mondo che per essere perfetto deve essere condiviso da tutta la comunità,come del resto fanno le api.

Ed è per questo che nello spettacolo infatti in tutte le città in cui viene presentato concorrono artisti del luogo a cantare il Kliros dal Funeral Canticle di John Tavener a testimoniare ancora una volta che il teatro deve essere sempre un rito condiviso da tutta la comunità.E il pezzo di Tavener è eseguito sulle immagini di un 'Ade moderna, gli allevamenti intensivi, rappresentazione di una società dove anche il momento del nascere viene ridotto a mero atto meccanizzato.E così nel teatro, perchè lì si può,  passato e presente, ancora una volta si fondono per rendere visibili tutte le necessità e tutte le contraddizioni presenti nel mondo che ci circonda.







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