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Eolo
recensioni
IN-BOX VERDE 2018 IL RESOCONTO CRITICO DI ELENA SCOLARI
IN-BOX VERDE DAL VIVO 2018 | SIENA 15-16 MAGGIO


Siamo nella Contrada dell'Oca, lo spirito del palio non abbandona mai la splendida Siena e così ci immergiamo nell'atmosfera da concorso dove vedremo finalmente dal vivo i sei spettacoli finalisti per In-box verde 2018, sezione teatro ragazzi. Il termine "gara" è sembrato ad alcuni odorare troppo di competizione ma in questo festival non c'è doping, nessuno viene disarcionato e anzi, per tutti la passerella dei propri cavalli porta vantaggi.
In breve: In-box nasce dall'iniziativa di Straligut Teatro dieci anni fa, con l'obiettivo di creare uno strumento per aiutare le compagnie teatrali emergenti italiane a ottenere visibilità potendosi rivolgere a una rete di operatori costruita nell'ambito nel progetto stesso. A metà percorso si è aggiunta anche la sezione In-box verde, dedicata al teatro ragazzi.

Il meccanismo: 25 operatori teatrali formano la giuria, vedono durante l'anno circa 500 video di spettacoli (cinquecento, sì! a testimonianza dell'abbondanza di offerta teatrale in Italia, non tutta meritevole, ça va sans dire) selezionandoli via via fino ad arrivare ai sei finalisti, i quali mostrano i loro lavori dal vivo - anche quest'anno a Siena - e vengono poi premiati con un numero di repliche pari al numero dei voti raccolti (1 voto 1 replica) al cachet garantito di 1.000€ + scheda tecnica. Niente male, se si è fortunati si può costruire una buona base per una tournée.

Vogliamo però fare un'osservazione a latere: gli operatori che votano (e quindi comprano) scelgono anche secondo la propria possibilità di programmare lo spettacolo, quindi valutando esigenze tecniche, pubblico destinatario, caratteristiche delle rassegne che gestiscono. Per esempio un organizzatore che gestisce una rassegna domenicale non potrà votare uno spettacolo chiaramente rivolto alle scuole e viceversa; in una sala con un palco di dimensioni ridotte non si potrà mettere un lavoro con una scenografia voluminosa, ecc. Pertanto non è detto che la scelta coincida al 100% con la preferenza o con la valutazione dello spettacolo ritenuto effettivamente migliore. Sulla quantità di operatori presenti in giuria è probabile che, nel complesso, ci sia un certo equilibrio, è però un dato da considerare.

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Chiarite le regole del gioco possiamo addentrarci nel racconto dei contenuti teatrali che abbiamo visto in queste due giornate. A premessa generale è importante segnalare che tutti i sei titoli sono, a nostro parere, sopra la sufficienza, esistono poi ampie sfumature, anche secondo il gusto di ciascuno, ma tutte le compagnie ci sono sembrate meritevoli di essere in finale.
Ne parliamo in ordine di classifica, per chiarezza: Et amo forte ancora di Locanda Spettacolo (Lombardia) si è aggiudicato il primo posto, si tratta di uno spettacolo di narrazione, rivolto agli adolescenti, in cui l'attrice Elisa Rossetti, trentenne dichiarata, racconta del proprio dodicesimo compleanno e dei fastidi legati alle sciocche frasi che tutti gli adulti dicono a una ragazzina che sta crescendo. Racconta, bene, la sensazione di quando, al tempo stesso, avrebbe voluto essere già grande, vent'anni, per dire, oppure averne ancora otto, e scorrazzare in bici con il proprio amichetto, ancora non carica di quell'ingranaggio di pensieri che non l'abbandonerà più.
Tornando, da adulta, a quegli anni d'infanzia e di crescita, arriva anche allo snodo della morte del nonno, che segna il momento in cui la bambina comincerà a far tesoro dei suoi consigli, a far diventare eredità i ricordi, anche quelli dolorosi, perché comunque l'amore per la vita deve prevalere su tutto, guai compresi.
E. Rossetti è affiancata dal musicista-attore Stefano Zaninello, che a lato della scena accompagna con l'ukulele il flusso di ricordi di Bianca, la sua musica è fatta di canzoni (originali) che parlano di Milano, di pioggia, di preghiere, di genitori...
Lo spettacolo scritto e diretto da Francesca Biffi è scorrevole, inquadra bene certi momenti della vita in cui senz'altro i ragazzi si ritrovano, le canzoni di Zaninello non sono banali, c'è poesia ma c'è anche freschezza. Tutto bene, ma Et amo forte ancora ci sembra onestamente uno spettacolo buono, non di più. C'è molta attenzione a ciò che Bianca narra, al testo, al senso del suo percorso, altalenante come tutte le vie che fanno maturare, ma teatralmente non ci sono invenzioni e anzi, per esempio le proiezioni di diapositive di compleanni e varie età dall'album (vero) dell'attrice ci sono sembrate un poco prevedibili e non esenti da un certo sentimentalismo. La regia c'è ma si concentra su Bianca trascurando di chiarire qual è il rapporto tra il musicista e il lei-personaggio: interagisce qua è là, la sua musica accompagna, ma si è scelto di non dire chi è questa figura che prende parola nella drammaturgia per poi uscirne e tornare al commento sonoro.
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Ci ha invece convinto su tutti i fronti Mai grande - un papà sopra le righe di Arione de Falco (secondo posto, Lombardia e Toscana), per bambini delle elementari: i due autori hanno le idee chiare, il testo è ben scritto, Annalisa Arione e Dario de Falco sono attori precisi, ironici, spiritosi, sanno mantenere tempi e ritmi e hanno anche costumi curati.
Mai grande è la storia di un rapporto padre-figlio, anzi, è la storia di un papà che un figlio ancora non ce l'ha e quindi se lo inventa. E lo chiama Tobia. 
C'è un libro in mezzo alla scena, lì dentro c'è la storia di Alberto e Tobia, quest'ultimo si rivolge direttamente alla lettrice, che legge con noi. Da questo momento siamo immersi nella lettura e perfino il voltare delle pagine corrisponde ai movimenti di Alberto, il libro è il personaggio. Seguiamo le avventure di un papà più bambino del figlio, che vuole correre a perdifiato, andare in moto a 100 all'ora, fare frullati con mille ingredienti, sempre cose "sopra le righe", cose super. Tobia invece chiede aiuto alla lettrice, vorrebbe un papà "normale", che racconta le fiabe e canta le ninne nanna, anche che sgrida, quando serve. E così la lettrice, per aiutare il piccolo, salta dentro al libro e interviene a togliere a papà Alberto un po' di quell'eccesso di euforia. 
Lo spettacolo è divertente, non ha cedimenti, ha il grande pregio di non indulgere alla sacralizzazione del bambino ma anzi lo prende in giro tanto quanto il padre impacciato, avvicinando così i due ruoli perché si possano capire l'un l'altro. Un bel risultato.
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Il terzo classificato è Valentina vuole di Progetto g.g. dall'Emilia Romagna. Una "piccola narrazione per attrici e pupazzi" in cui Valentina, una bambina pestifera, antipatica e viziata, per giunta pure principessa, comanda a bacchetta la madre un po' distratta, e ovviamente la soddisfazione per ciò che ottiene dura sempre molto poco... Lei e la povera mamma (padre non pervenuto) vivono in una casa-uccelliera, una grande gabbia - metaforica e non - dalla quale Valentina non può mai uscire per via del suo rango e della paura che le possa succedere qualcosa. 
Consuelo Ghiretti e Francesca Grisenti animano il pupazzo dell'indisponente Valentina e quello dell'uccello che parla (creati da Ilaria Commisso), un essere fantastico apparso in sogno alla bambina. Stavolta la piccola non può "volere" l'animale perché non si può comprare come tutto il resto. Decisa a riavere con sè il pennuto sfida il divieto di allontanarsi dalla casa/uccelliera e parte alla volta del mondo intero. In questo lungo viaggio, imparerà molte cose, crescerà, capirà, si libererà.
In una scenografia costituita dalla grande casa gabbietta, nella quale si aprono numerose finestrelle e porticine con sorprese varie, si muovono le animatrici e interpretano entrambe la madre, non sempre è chiaro il motivo del riferimento iconografico preso a modello, ad esempio non ne è limpida l'ispirazione giapponese. L'estetica orientale può essere una scelta d'ambiente come un'altra ma risulta un poco arbitraria se non si trova un aggancio comprensibile. 
Valentina vuole è un classico racconto di formazione, in cui l'evoluzione della protagonista comincia però solo a metà spettacolo, la mutazione del carattere e dell'atteggiamento di Valentina risulta infatti un po' improvvisa perché il racconto è sbilanciato sulla parte di vita dalla quale la bambina si sgancerà, in seguito alle parole magnifiche e libere del volatile.
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La compagnia Kuziba dalla Puglia ha presentato Vassilissa e la Babaracca, quarta classificata. Bambini dai 6 anni. La fiaba sembrerebbe essere ambientata in un'epoca passata, forse fine '800, chissà, Vassilissa è una bambina brava, ubbidiente, che dice sempre sì. Vassilissa perde la madre, il padre, un tantino repentinamente, si risposa con la solita matrigna cattiva e lascia la bambina nelle sue grinfie partendo per un lungo viaggio d'affari. Oltre ad accontentare ogni sadico capriccio della donna, finirà anche nell'oscuro del bosco dalla strega Baba Jaga, anche qui a ramazzare, spazzare, riordinare... La bambolina magica regalatale dalla mmma la trarrà sempre d'impiccio. Il senso della storia è che la saggia e remissiva Vassilissa imparerà a dire no e a non aver paura di dire la propria opinione. Curioso come in queste fiabe dal sapore antico i genitori non ci siano quasi, muoiano tragicamente o se sono presenti lo sono solo per ostacolare i figli costringendoli a prove tremendissime, in contrasto con la bambagia moderna. 
Ma torniamo a Vassilissa: imponente e molto bella, anche per complessità, è la macchina scenografica: la casa della matrigna si trasforma nella "babaracca" della strega, che cammina su zampe di grondaia, ha due fari accecanti come occhi e finestre-bocca atraverso le quali si intravedono scenette d'interno poco rassicuranti... 
Bruno Soriato è padre, matrigna e strega, attore capace di modulare i toni in modo morbido e fluido, una presenza sicura e salda anche quando è solo la sua voce a rappresentarci il personaggio; Annabella Tedone è una bambina credibile nella sua compostezza, ancora non del tutto convincente nel rendere le sfumature di situazione che andrebbero segnate in modo meno schematico. Il punto debole del lavoro è però decisamente il ritmo: molte scene troppo dilatate fanno percepire il lavoro come più lungo di quello che è, c'è bisogno di condensare per arrivare al giusto tempo dello spettacolo, che non deve essere veloce ma accompagnare lo spettatore con salite e discese, con modulazioni che non appiattiscano.
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Parole parole parole di Altre tracce (Lombardia) si è guadagnato la quinta posizione ma riteniamo che sia stato sensibilmente penalizzato da come i numerosi bambini in sala hanno preso il tono dello spettacolo. Ci spieghiamo: l'organizzazione di In-box ha fatto un lavoro egregio perchè ad ogni spettacolo è riuscita a riempire la platea di bambini e ha quindi saputo coinvolgere le scuole in maniera massiccia. In questo caso però, forse l'età segnalata non era quella giusta per lo spettacolo e i bambini troppo piccoli, fatto sta che ci è sembrato che l'aspetto poetico e malinconico del lavoro si sia perso tra risate non del tutto in linea con il mood in scena.
Parole parole parole è un libero adattamento dal libro La grande fabbrica delle parole di Agnès Lestrade. Massimo Zatta e Antonio Brugnano sono abbastanza diversi fisicamente da risultare una coppia che funziona, teatralmente. Sono bravi si sanno muovere e sono espressivi.
I due personaggi vivono in un paese in cui le parole costano care, carissime, e per parlare bisogna comprarle. Dall'inquietante negoziante in bombetta e guanti bianchi che ne ha il monopolio. Max e Tonio sono grandi amici, ma amano la stessa ragazza, quindi litigano ma l'amicizia è più forte e Max vuole a tutti i costi riconquistare l'amico, spende una fortuna per comprare barattoli di discorsi, scegliendo però sempre quelli sbagliati che alla fine non significano nulla. La scenografia è composta di due quinte nere che voltate nascondono ripiani e mensole di casa.
C'è molta poesia e molto sincero romanticismo in questa bella storia che dice (senza dirle) cose grandi rispetto all'amicizia, alla tensione di rapporti che non sempre si reggono sulle parole e alla fantasia, quello che manca alla regia di Valentina Maselli è un po' di ordine drammaturgico: serve un po più di pulizia tra i momenti in cui i personaggi hanno facoltà di parola e quando non ce l'hanno, serve rendere più netta questa separazione per dipanare in modo più concatenato le situazioni. C'è invece ancora un po' di confusione che affatica la visione ma soprattutto fa incespicare il ritmo narrativo.
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Sesto e ultimo arriva Posidonia di Teatro di carta/Ombre bianche Teatro, una bella storia di pirati e di mari del sud in cui un signore parte con il fido e classicamente imbranato servo (Marco Vergati, Andrea Castellano) per cercare un tesoro indicato dalla sua brava mappa. Avventure su un veliero montato con vele, corde e tiranti in un bel momento teatrale dinamico e suggestivo. 
L'impianto dello spettacolo tiene piuttosto bene fino a che gli attori sono fisicamente in scena e la storia passa anche attraverso i loro corpi e i loro costumi, diventa invece assai meno interessante quando si va in fondo al mar e si passa al teatro d'ombra, intendiamoci: le ombre sono belle, servono a dare un'atmosfera sottomarina e più sognante, ma una porzione consistente del lavoro, composta da ombre, tende ad annoiare e divide lo spettacolo in due, con un taglio secco che spezza anche il ritmo del racconto. Una quota di meduse, pesci, creature subacquee è consentita in una storia di pirati, ma  essendo poco integrata col resto della trama si ha l'impressione di una cesura un po' ingiustificata.

ELENA SCOLARI

IL RESOCONTO FOTOGRAFICO E' DI MASSIMO BERTONI








Siena 2018

ET AMO FORTE ANCORA (01) ET AMO FORTE ANCORA (02) ET AMO FORTE ANCORA (03) MAI GRANDE (01) MAI GRANDE (02) MAI GRANDE (03) VALENTINA VUOLE (01) VALENTINA VUOLE (02) VALENTINA VUOLE (03) VASSILISSA E LA BABARACCA (01) VASSILISSA E LA BABARACCA (02) VASSILISSA E LA BABARACCA (03) PAROLE, PAROLE, PAROLE (01) PAROLE, PAROLE, PAROLE (02) PAROLE, PAROLE, PAROLE POSIDONIA (01) POSIDONIA (02) POSIDONIA (03)



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