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Eolo
recensioni
VIAGGIO IN ITALIA 3
LE RECENSIONI DEGLI SPETTACOLI VISTI A VOLTERRA DRO E KILOWATT

Su e giù per l'Italia a vedere ad osservare il nuovo teatro, spettacoli, suggestioni, forme in divenire, nuovi gruppi, compagnie ormai consolidate, danzatori straordinari e creazioni claudicanti, ma il nostro occhio di spettatore privilegiato si arricchisce sempre di più, si imbeve di umori inaspettati.
Volterra, Dro, Kilowatt : tre mondi, tre modi di percepire il teatro. Ma possiamo ben dire, dopo aver attraversato per Festival l'Italia intera , che il teatro in Italia, nonostante la crisi e le brutte avvisaglie di censura che via via ci giungono all'orecchio, è ben vivo e pulsante.
Si inizia a Volterra, per passare a Dro e per finire a Borgo San Sepolcro, dove molto del teatro che parla al contemporaneo si è riunito per fare il punto della situazione e, anche noi, nel nostro piccolo, attraverso quello che abbiamo visto, cercheremo di farlo.


VOLTERRA

A Volterra quasi tutto il Festival ruota intorno allo spettacolo che Armando Punzo costruisce ogni anno in carcere con la Compagnia della Fortezza, un vero e proprio Teatro Stabile, formato dai detenuti che ogni anno propone durante il festival, ma non solo, uno spettacolo-evento. Un esempio quello di Punzo, unico nel suo farsi e meravigliosamente utopico.
Quest 'anno è stata la volta di “Alice nel Paese delle Meraviglie – Saggio sulla fine di una civiltà” , allestito negli spazi angusti del laboratorio del carcere, un lunghissimo corridoio da cui si diramano celle e cellette.
Ma non è Alice, o meglio non solo Alice, il vero motore dello spettacolo, quanto l'Amleto scespiriano. L'evento inizia e finisce nel cortile del carcere:all'inizio su grandi banchi, alcuni attori scrivono come perfetti emanuensi su grandi fogli il testo di Amleto, questo stesso testo di cui è ricoperto integralmente tutto lo spazio scenico. I duecento spettatori invitati da un coniglio gigante entrano nello spazio delle meraviglie e vi si muovono incontrando via via via molti dei personaggi del libro di Carroll.
Tutto è volutamente eccessivo nell'abbigliamento, nella declamazione nel portamento degli attori.
Amleto, Laerte ed Ofelia, perchè ci sono anche loro, si mescolano con la Regina di cuori ed il Cappellaio, sorseggiano il the e parlano con il teschio. E' un delirio in bianco e nero punteggiato dalle parole del Bardo che ogni cosa ricoprono e dove anche lo stesso Punzo si muove, direttore di un circo in continuo divenire.
Ogni spettatore vede un suo spettacolo, ogni voce, ogni gesto si mescola con un altro,lo contamina. E’ all’interno di ogni piccola stanza poi che i detenuti-attori recitano i loro monologhi, da Muller a Genet a Bechett e Sade , fino alla processione finale, che si apre all’esterno, verso il cortile dove nei giorni “ normali” gli attori detenuti vivono invece una vita a suo modo straordinaria. Essi rappresentano la fine di una civiltà dove la realtà non è mai quella che è, nello stesso modo in cui Amleto deve fingersi pazzo per ricercarne l'essenza reale, per captarne i veri contorni.

Come si è detto molto del festival di Volterra ruota praticamente intorno allo spettacolo in carcere, qui però abbiamo avuto la fortuna di vedere anche l'ultimo spettacolo di Babilonia Teatro, uno dei gruppi più interessanti dell'ultima generazione e che Eolo segue costantemente dalla sua nascita. Come già accadeva in Made in Italy, lo spettacolo che li ha rivelati , ma in modo assai diverso, Pornobboy è una ininterrotta litania di parole, questa volta a tre voci riversata sul pubblico che sottointende un profondo malessere sociale e morale. La pornografia questa volta non esibisce corpi nudi ma mostra volgarmente senza veli il nostro modo di comunicare.
Un modo,un mondo che mescola dati e fatti, luoghi comuni, ogni cosa, senza una vero motivo, perchè il vero motivo è celarne l'effettiva verità .
Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Ilaria Dalle Donne, con un ritmo preciso ora continuo, ora interrotto da pause stranianti, ci vomitano contro la morte di Giuliani, ma anche quella di Quattrocchi e di Meredith , e poi la Franzoni e il delitto di Cogne senza risparmiarci ovviamente Veronica e Silvio a braccetto con Eluana Englaro, tanto tutto fa notizia. E' uno spettacolo morale che rifugge dalla morale, senza apparente drammaturgia che ne contiene invece una ben più profonda, celata nella stessa desertificazione dei significato della parola, usata però nella sua gelidità oggettiva
A corredare tutto poi non c'è poi più il funerale di Pavarotti o Laura Pausini, ma un coro di bambini dello Zecchino d' Oro che canta l'amore, ma lo fa senza derisione, è quasi una ninna nanna che melanconicamente vuole addolcire il nostro sgomento, sino al colpo di scena finale, dove un enorme mare di bianca schiuma artificiale, quasi sperma, prodotto a vista da una macchina che sta sopra la scena, inghiotte gli attori e forse anche gli spettatori e ci sommergerà, ci seppellirà, anzi ci ha già seppellito a meno che non ci ridestiamo dal sonno in cui siamo caduti.

A Volterra ritroviamo dopo tanto tempo anche il Teatro del Lemming con “Antigone”. Massimo Munaro questa volta coinvolge il pubblico mettendolo di fronte alla scelta che sottende tutta la tragedia sofoclea, lo scontro fra due volontà e due concezioni diverse del mondo: quella di Antigone, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos) . Munaro invita il pubblico a schierarsi ed i sostenitori di Antigone salendo sul palco vanno a formare il coro. Lo spettacolo, attraverso una voce narrante,ha momenti di sicuro effetto e coinvolgimento , solo un poco appannati dalle immagini proiettate su un sipario che verso la fine cala sulla scena, immagini che ci sembrano un poco pleonastiche e caramellose. Comunque ben tornato a buoni livelli questo gruppo che per qualche tempo non avevamo più osservato sulle scene dei festival.
A Volterra abbiamo rivisto dopo molti anni due classici , potremmo definirli così, che vedemmo tanti anni fa “Lo spazio della quiete” della Valdoca e “Rosvita” del Teatro delle Albe. Due classici che trasudano di parole elette, trasportandoci come fanno in un mondo incontaminato dove il verbo regna sovrano e si impregna di sacralità . Lo Spazio della quiete , ecco tutta la prima parte dove due figure femminili intrecciano, è proprio il caso di dirlo, i loro sguardi portando in scena un corpo maschile, prima addormentato, che alla fine prorompe in un lungo monologo che ci dona ancora una volta le parole di Mariangela Gualtieri.
Rosvita, poi, dove Ermanna Montanari evoca da par suo, modulando la sua inconfondibile voce, figure femminili esemplari con il sottofondo meraviglioso di tre giovanette che intonano un canto gregoriano.Un mondo al femminile che ci restituisce brandelli di grande teatro.
Curioso infine il duo di “ Non mi ricordo” formato da Ginetta Maria Fino e Pino Maineri, moglie premurosa e marito che colpito da perdita della memoria,non ricorda più il suo passato di ardente comunista, ma non solo. In scena vi è la realtà che vive nel rapporto tra i due attori che in verità hanno passato quello che raccontano, certificato da documenti scritti e visuali, peccato che quando la realtà diviene finzione, teatro,lo spettacolo cada nettamente di tono.


DRODESERA


Dopo Volterra eccoci a Dro, a Drodesera , nella centrale di Fies , Dino Sommadossi e Barbara Boninsegna hanno creato un festival molto personale, di tendenza, dove la parola ha qualche problema a manifestarsi , previlegiando, quasi in tutti gli spettacoli visti, l'immagine,il gesto, la danza e la performance.
Qui,dunque, nel primo esperimento di “Framerate 0 ”, per esempio, dei Santasangre l''attore è addirittura assente, non esiste più. Lo spazio scenico, dove troneggia una lastra di ghiaccio in pieno disfacimento, è volutamente disadorno, riempito solo da suoni e luci, un luogo perfetto che vive elettronicamente, dove possono essere trasferiti i fenomeni che normalmente si verificano in natura sottoposti a diminuzioni o accelerazioni temporali. Sono venticinque minuti dove finalmente tutti i sensi dello spettatore sono messi a dura prova e stimolati nel cogliere tutti i più piccoli accadimenti che la scena suggerisce
Qui, Codice Ivan , fresco vincitore di Scenario, in “Un secco nord (ice) “rompe volutamente tutti gli schemi teatrali: il tecnico diventa attore e poi come nulla fosse torna tecnico, l'attore si camuffa sempre, il nord si fa scena attraverso pochi oggetti, del ghiaccio, sì ancora del ghiaccio, una canzoncina, teste di stambecco, un albero.
Il video esprime allo stesso modo concezioni ed emozioni che un' attrice ripete gelidamente, non siamo forse al Nord ? Anagoor in “Jeug” emoziona con le immagini, un cavallo che si muove nella scena , una donna lo corteggia, piano piano si denuda, vive in simbiosi con esso, memore di una guarigione che le ha salvato la vita. Troppo poco, forse, per incidere teatralmente se non conoscessimo “Tempesta” progetto presentato a Scenario su Giorgione, d'altra tempra e tenore, ma il gruppo ci intriga e molto.
Poi ancora i Motus dove in ' Crac ', Enrico Casagrande e Daniela Nicolò riprendono come detto nella presentazione una “deriva non teatrale del progetto X(ics) racconti crudeli della giovinezza”. La danzatrice pattinatrice protagonista del progetto entra in un architettura sonora composta dalle voci e dai rumori di ogni città che attraversa e li trasforma in percorsi algoritmici, tracciati e pixel. Interessante ma certo siamo lontani dagli spettacoli più intriganti di questa benemerita compagnia.

Il corpo umano ridiventa protagonista solamente nelle due proposte di danza che Drodesera ha offerto ai suoi visitatori quest'anno e che spesso sono presenti nel programma del festival , Virgilio Sieni e Abbondanza Bertoni, non a caso , due delle eccellenze della danza italiana. Il maestro fiorentino ha presentato ” La natura delle cose” creazione eseguita da cinque danzatori, quattro uomini e una donna .
Lo spettacolo si basa sul poema dello scrittore latino Tito Lucrezio Caro , De rerum natura e regala un' affascinante suggestione agli spettatori proponendo la danza come strumento di indagine e di creazione del mondo.
I danzatori maschi attraversano le tre scene che compongono lo spettacolo accompagnano con grazia e delicatezza all'unisono, sempre, una figura femminile, metamorfica e sempre presente, forse “Venere-dea dell’atto generativo” evocata da Lucrezio all'inizio del poema. Essa si presenta, ora come donna, ora come infante, ora come vecchia, in un gioco danzato di squisita e meravigliosa fattura. Poi appaiono presenze mute e stranianti,una testa di cavallo una grande mano.
Spettacolo impeccabile e trascinante quello di Sieni che per la creazione di questo lavoro si è avvalso del filosofo Giorgio Agamben,del compositore Francesco Giomi che ha creato la musica originale, e della cantante Nada che ha effettuato la registrazione del testo di Lucrezio.
Antonella Bertoni e Michele Abbondanza che qui è in scena con altri nove compagni invece hanno proposto all'interno del progetto “ La densità dell'umano”, il primo studio intitolato “La massa '
Il senso della massa viene dato ossessivamente dai dieci performer, sempre stretti all'unisono, in un gioco parossistico che la nondanza rende significante.
I corpi si accalcano, non c’è mai spazio tra loro , ciascuno è vicino all’altro come a se stesso. Si muovono insieme, accompagnati da un motivo melanconico che si ripete ogni volta, solo un tavolo arricchisce lo spazio,essi vi si aggrappano,vi salgono sopra, vi si accovacciano sotto,sempre insieme,sempre avvinghiati l'uno con l'altro, insieme non possono avere paura l'uno dell'altro e chi si separa ne dovrà subire le conseguenze. Lo spettacolo è curioso ed interessante, dovrà necessariamente essere sfoltito nella sua lancinante ripetitività.
Infine eccoci a “Periodonero” di Cosmesi con Eva Geatti che già conoscevamo per l'ardito progetto” Prove di condizionamento” qui alle prese con uno spettacolo di ombre e di immagini nere che sullo schermo interagiscono per cercare di restituirci il periodo oscuro in cui viviamo.
Il teatro più estremo di Cosnesi diventa qua un gioco per bambini dove le ombre diventano significanti mentre l'attrice che si muove goffamente sulla scena spesso è testimone muta di quello che avviene dietro lo schermo.
Volterra e Dro due mondi teatrali in antitesi, forse, ma dove lo spettatore più curioso può attraversare forme assai diverse,può capire dove ci sta portando il teatro che si fa oggi, quale presente e quale futuro ci sta configurando.


KILOWATT


A Kilowatt nei sette anni di programmazione sono sempre state le nuove compagnie formate da giovani ad essere protagoniste, non per niente il sottotitolo recita “l'energia del nuovo teatro”, qui trovano spazio molte giovani compagnie e qui curiosamente la parola torna ancora ad essere padrona della scena. Quest'anno la programmazione del Festival, organizzato dalla giovane compagnia Capotrave, è ruotata intorno al convegno ”Vietato parlare dell'aurora”, proposte concrete per il lavoro delle giovani compagnie italiane e dei teatri e festival che le programmano e che ha visto confluire a Sansepolcro, nella città di Piero della Francesca, gran parte degli operatori che si occupano di nuovo teatro. Forse troppa la carne messa al fuoco ma il fatto che un così grande numero di persone sia giunta nel paese toscano è indice indiscutibile di una necessità.
Siamo infatti a nostro avviso giunti in un momento storico cruciale, ad un ricambio generazionale molto importante, non si era mai visto infatti un così nutrito numero di nuove compagnie affacciarsi all'orizzonte e l'iniziativa di Capotrave ci è sembrata quanto mai opportuna, forse dispersiva ma opportuna.
E l'idea di organizzare una specie di “stati generali “del teatro al contemporaneo, uscita alla fine del convegno, potrebbe essere una ipotesi costruttiva interessante. Incanalata infatti in acque più chete l'energia di gruppi come Motus,Teatro Clandestino, Raffaello Sanzio, Fanny&Alexander, Valdoca,Teatro delle Albe , almeno altri venti gruppi si sono affacciati prepotentemente sulla scena , è giusto ora fermarsi per chiedere se questi gruppi hanno spazio nel panorama teatrale contemporaneo.
Certo c'è molto dilettantismo e non basta essere in scena per avere diritto ad essere sostenuti ma come abbiamo visto molto maagma eruttivo preme sotto il vulcano del teatro contemporaneo in Italia.
Come detto negli spettacoli visti a Kilowatt la parola torna ad essere centrale.
“Lampedusa è uno spiffero!!!”di EmmeA' Teatro , per esempio, ci riporta alla narrazione classica ma lo fa da un punto di vista assai interessante, il monologo tragicomico di Fabio Monti e Norma Angelini, con in scena l'ottimo Fabio Monti, infatti ci parla del Sud , ma lo fa da un' ottica del tutto particolare:Lampedusa.
Lampedusa, uno dei pezzi di terra più a sud di tutta l’Europa, diventa per più di un'ora. il paradigma della marginalità, dell' isolamento, dell' abbandono in cui è stato lasciato il Mezzogiorno italiano. Per dire, i lampedusani sono stati tra gli ultimi, in Italia, ad avere il telegrafo, tra gli ultimi, in Italia, ad avere la corrente elettrica, tra gli ultimi, in Italia, ad avere il telefono, insomma, tra gli ultimi, sempre tra gli ultimi ma da sempre Lampedusa è diventata la regina dei telegiornali a causa degli sbarchi di clandestini,anche loro,ultimi cittadini del mondo, provenienti dalla vicina Africa, ma non solo.
Attraverso una comicità che nasce “da un presupposto, il desiderio di ridicolizzare i luoghi comuni, cercando di comprenderne i fondamenti” lo spettacolo ci fa ridere amaro riportandoci però ad un sarcasmo assolutamente necessario.
Daniele Timpano, dopo i successi di “Dux in scatola “e “Ecce Robot”, ritorna in scena in “Risorgimento Pop” accompagnandosi questa volta a Marco Andreoli. Di Daniele Timpano possiamo ben dire ormai che sia un autore consolidato con uno stile ed un modo di porsi in scena diventato a suo modo paradigmatico.
“Dux in scatola, Ecce Robot “ sono due creazioni che vanno all'assalto dei miti e delle mitologie, scardinate attraverso una narrazione che tende alla divagazione, alle pause calcolate , che si nutre di esemplificazioni, di aneddoti . Sono spettacoli sempre al limite e che dunque fanno “incazzare” sia i detrattori sia i fautori del mito in questione ed è quello che Timpano segretamente vuole ed è anche, che lo si voglia o no, il fattore che costituisce la particolarità di questi spettacoli.
Ecco dunque sotto le grinfie del nostro questa volta va il Risorgimento con i suoi miti. Ecco dunque il Risorgimento ma per Timpano e socio l ’Italia non risorge. L’Italia non c’è. La Storia non c’è. Perché è sempre inattendibile Pio IX, Garibaldi Cavour e Mazzini sono figure che propaganda, vulgata e retorica hanno appiattito, sbiadito e incastrato in quel mito di fondazione forzato, immaginario e falsamente concorde che chiamano Risorgimento.
Ma come detto in scena Timpano spesso divaga e, se ci mettiamo un altro attore, le divagazioni aumentano, così spesso lo spettacolo non sa dove andare, ci si chiede spesso e allora?. Pur tuttavia “Risorgimento Pop” è divertente e la scena finale con il muto colloquio tra le ceneri di Garibaldi ed il corpo di Mazzini è da ascriversi nel grande teatro.
A Kilowatt abbiamo ritrovato anche Zaches Teatro nel suo nuovo lavoro dedicato alle pitture di Goya”Il Fascino dell'idiozia”su una drammaturgia di Luana Gramegna e le scene di Francesco Givone.
Il grande ciclo del pittore spagnolo viene restituito sulla scena attraverso la luce, il suono e il movimento. La sordità che colpì il pittore e che ne modificò la percezione gli fece creare qua un universo di immagini deformate al limite dell'assurdo ed è su queste immagini che Zaches si sofferma.
Le grandi maschere che caratterizzavano le precedenti produzioni del gruppo toscano qui vengono quasi smaterializzate e, attraverso un lavoro sul corpo ed il movimento in realazione con loro , lo spettatore, in un buio quasi totale, in un non luogo e con un efficace gioco di straniamento, intravvede prima parti di corpo poi maschere in disfacimento poi figure grottesche che rimandano all'universo di Goya.
Uno spettacolo interessante che inizia una nuova fase più personale di Zaches e che conferma l'interesse della nuova scena italiana per il teatro di figura.
Ci ha molto deluso invece l'ultimo lavoro degli Omini “ Un gradevole spettacolo pacchiano” , sorta di Cabaret che vorrebbe forse avere ascedenti nobili come Ionesco o I Giancattivi e compagni. Purtroppo quello che abbiamo visto non possiede nè la verve surreale dell'uno né la visceralità tutta toscana dell'altro e la critica velata forse alla società contemporanea dei reality è francamente sbiadita regalandoci solo qualche timido sorriso.Alla prossima cari amici!
MARIO BIANCHI




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