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LE RECENSIONI DI"SEGNALI"
Le recensioni di Mario bianchi ed Elena Maestri del Festival milanese

La XXIV edizione di “Segnali”, uno dei Festival più importanti  del Teatro Ragazzi italiano, ha proposto le sue due tradizionali giornate non stop di spettacoli nei giorni 9 e 10 maggio tra  Milano e Cormano.Nato nel 1990 su impulso della Regione Lombardia per valorizzare il teatro lombardo, dal 2007 nella programmazione sono stati inseriti spettacoli provenienti dal panorama teatrale italiano e internazionale diventando un vero e proprio Festival.Organizzato e gestito dal Teatro del Buratto e da Elsinor che lo sostengono nonostante l'incomprensibile azzeramento dei contributi della Regione Lombardia che lo aveva inventato e che finanzia ancora altre iniziative meno qualificanti, quest’anno il Festival ha visto alternarsi 12 spettacoli, tra i quali i tre progetti  finalisti del Premio Scenario Infanzia con il vincitore “John Tammet “ della compagnia  L'Organizzazione .Anche in questa edizione vi è stata la consegna dei premi EOLO AWARDS - dedicato a Manuela Fralleone - organizzati dalla rivista di teatro ragazzi Eolo. La cerimonia si è tenuta  la sera  del   9 maggio al Teatro Verdi con l'emozionante premio alla carriera a Franco Passatore.

Una buona edizione quella di quest'anno, con una giornata iniziale di altissimo interesse e una seconda meno stimolante ma di buon livello. Tra i risultati finali del Premio Scenario Infanzia vi è stata la delusione di Gilgamesc che aspettiamo ad una nuova prova di appello. Per quanto riguarda “ Cenerentola. across the universe” de La luna nel letto rimandiamo all'approfondimento su klp per “Scherzo a tre mani” del Teatro all'Improvviso e “Il Miracolo della mula” del Laborincoilo, Menzione per il Teatro di figura agli Eolo Awards,invece rimandiamo rispettivamente al report di Segni d'infanzia e in Palla al Centro dell'ultima edizione su questo sito.Un'ultima annotazione, nella programmazione del Festival abbiamo notato una sempre minore visibilità (al di là dei tre giustamente sempre presenti) dei gruppi lombardi che tra l'altro non hanno nemmeno più a loro disposizione "Via Paal". Con pieno diritto dei due centri, che ancora nonostante le difficoltà meritoriamente sostengono il festival, di scegliere in autonomia, auspichiamo una maggior attenzione per le compagnie lombarde in un momento così difficile anche perchè la manifestazione era nata proprio con questo intendimento. 


CA' LUOGO D'ARTE 

UN CANTO DI NATALE

racconto in musica

testo Marina Allegri regia Maurizio Bercini  

con Giulio Canestrelli,Pier Giorgio Gallicani, Francesca Grisenti 

musiche originali di Paolo Codognola /eseguite dal vivo da Paolo Codognola, Nicholas Forlani, Stefano Schembari 


Questa volta, essendo uno spettacolo che viene ambientato nella notte di Natale, Maurizio Bercini, nobile artigiano ed artista della Compagnia Cà luogo d'arte, non poteva che ambientare il famoso romanzo breve di Charles Dickens “Il Canto di Natale “ in un teatro a forma di panettone e, come gli capita spesso, con gli spettatori che tutt'intorno assistono divertiti alla storia. La storia è quella scritta da Charles Dickens, già raccontata tante volte in molti modi forme, che vede come protagonista l'arido e avarissimo Ebenezer Scrooge, visitato nella notte di Natale da tre spiriti (il Natale del passato, del presente e del futuro), preceduti da un'ammonizione dello spettro del defunto amico e collega Jacob Marley. Incontri forti ed inaspettati che, in una sola notte, gli fanno comprendere come la vita debba essere vissuta in ben altro modo. Come è nello stile del grande romanziere inglese, al centro del racconto vi è l'impegno nella lotta alla povertà e allo sfruttamento minorile, condito però questa volta anche da elementi fantastici.I tre attori Giulio Canestrelli, Pier Giorgio Gallicani e Francesca Grisenti, narrando, cantando ed  interpretando a turno le varie parti, si muovono su una piccola scena adagiata sulla cartina di Londra, mentre  Paolo Codognola, Nicholas Forlani e Stefano Schembari eseguono dal vivo  le musiche dello stesso Codognola.  Spettacolo di grande raffinatezza formale che mescola sapientemente la musica, il teatro d'attore e  figure di tutte le forme, su un testo di Marina Allegri che questa volta ci pare affidarsi fin troppo  alla parole e meno  all'immaginazione. Comunque ancora una volta,chapeau!  


L'ORGANIZZAZIONE- JOHN TAMMET

A Segnali abbiamo potuto assistere allo spettacolo compiuto, tratto dal progetto vincitore del Premio Scenario con  in scena Davide Giordano e Federico Brugnone (alla sua seconda vittoria al premio), con regia, scene, costumi e suono degli stessi due protagonisti realizzati anche con la collaborazione di Daniele Muratore.

Lo spettacolo è tratto dalla biografia di Daniel Tammet, “Nato sotto un cielo azzurro”, e mette al centro della sua indagine il protagonista, John Tammet, ragazzo di 15 anni, affetto dalla sindrome di Asperger, che si presenta accompagnato dal suo amico immaginario prima in video e poi  in scena, forse un alieno, e parla direttamente al pubblico utilizzando il linguaggio che gli è proprio, un linguaggio schematico regolare che può essere decifrato senza fraintendimenti e senza doppi sensi.  La Sindrome di Asperger che comunemente si manifesta in questo modo  è considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo che ha diversi contatti con l'autismo. Il termine  venne coniato dalla psichiatra inglese Lorna Wing  che la chiamò così in onore di Hans Asperger, uno psichiatra e pediatra austriaco il cui lavoro su questa malattia fu ignorato per diverso tempo.

Gli individui portatori di questa sindrome sono caratterizzati dall'avere una persistente compromissione delle interazioni sociali, dall'esprimersi attraverso schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati. Inoltre essi possono  memorizzare lunghissime sequenze numeriche ma al contrario non sono capaci di fare operazioni elementari. Davide Giordano si presenta al pubblico disarmato e disarmante offrendo sé stesso al pubblico attraverso una drammaturgia fatta soprattutto di domande dirette al pubblico che risponde consentendo al protagonista di esprimersi a suo modo compiutamente, egli infatti non può mentire, il suo parlare non può essere frainteso, non ha mai doppi sensi.Attraverso il paradosso della figura dell'amico immaginario, che interviene anche sul palco a proteggere  teneramente l'amico in difficoltà, i giovani spettatori si rispecchiano in John per riflettere in modo assolutamente originale sulla loro costruzione identitaria ed esistenziale ancora in formazione.


TEATRO DEL BURATTO L'ARCA PARTE ALLE OTTO

Testo Ulrich Hub

regia Renata Coluccini 

in scena Elisa Canfora, Dario De Falco, Stefano Panzeri 

scene Marco Muzzolon

cura delle immagini Stefania Vincenzi

disegno luci Marco Zennaro 

costumi Mirella Salvischiani 

direttore di produzione Franco Spadavecchia


Molto coraggio ha avuto Renata Coluccini nel riproporre per le scene italiane un testo denso di significati e complesso,vincitore di diversi premi all'estero, come “L'arca parte alle otto” di Ulrich Hub, già da noi visto in una curiosa e riuscita versione in schwyzerdütsch qualche anno fa a Lugano, sia per la grande stratificazione dei concetti che accompagna un testo così lontano dalla nostra sensibilità, sia per le effettive difficoltà di una messa in scena credibile.Al centro del plot narrativo l'amicizia di tre pinguini che, dopo aver intavolato una curiosa discussione sull'esistenza di dio e sul V comandamento “ non uccidere”, dovuta al fatto che il più piccolo dei tre sta per schiacciare una farfalla, vengono invitati da una colomba a salire su un' arca perchè Dio ha deciso di punire gli uomini e la loro cattiveria con un terribile diluvio: solo il giusto Noè ha il diritto di salvarsi portando con sè  su un arca due esemplari di ogni animale esistente sulla terra.L’Arca,  partirà alle otto in punto. Ma i biglietti sono solo per due pinguini, e gli amici sono tre. Che fare? Semplice: il pinguino più piccolo salirà sull’Arca, come clandestino, pigiato in una valigia. Da qui nascono diverse situazioni  che porteranno i tre a riflettere  su Dio, la vita e la morte e a rinsaldare il loro rapporto in un mondo forse migliore. Come si vede una trama che per i ragazzi veicola diversi temi da quello più semplice dell'amicizia sino a quello di un 'approfondimento della   natura del bene e del male. Ci pare che, pur riconoscendo la necessità di un ritmo teatrale più serrato,  meno legato ai dialoghi e più coerente nell'individuare i veri snodi della vicenda, lo spettacolo  renda giustizia in modo concretamente possibile ad un testo così foriero  di significati.  Elisa Canfora, Dario De Falco, Stefano Panzeri. tramutati teatralmente in 3 pinguini, e a turno in  simpatici volatili, sorreggono in modo sufficientemente credibile le caratterizzazioni dei personaggi,  aiutati, in alcuni snodi della storia, dalle simpatiche immagini in movimento curate da Stefania Vincenzi.  


FONDAZIONE SIPARIO TOSCANA

LA PEGGIORE


Storia semiseria sui bisogni dell’adolescenza, a tempo di pioggia e musica

di Sofia Assirelli, Mirko Cetrangolo, Cristiano Testa 

coordinamento drammaturgico Donatella Diamanti

con Valentina Grigò e Sena Lippi/Linda Caridi 

regia Fabrizio Cassanelli




“La Peggiore” lo spettacolo di Sipario Toscana visto a Segnali, tratto da “La feroce gioventù” di Cesare Fiumi, nasce da un processo interessantissimo che prosegue il discorso sulla adolescenza che il Centro Teatrale Toscano sta portando avanti da diversi anni. Il testo di Fiumi è infatti riscritto a tre mani da Sofia Assirelli, Mirko Cetrangolo e Cristiano Testa con il coordinamento drammaturgico di Donatella Diamanti e sviluppa un progetto collaterale che prefigura, sulla tematica evidenziata, eventi nazionali, incontri pubblici, laboratori con studenti, insegnanti, genitori e operatori del sociale. In scena vi è l'incontro casuale in una stazione  di due esistenze  adolescenziali,  apparentemente forse diverse tra loro. La peggiore,Valentina, non ha genitori, vive in una casa famiglia dove i suoi educatori l’hanno classificata come bipolare. In questo modo la giovane si è chiusa in una corazza di finta indifferenza con il mondo, finta, perchè lei invece sarebbe capace di collaborare e di convivere positivamente con gli altri, basta dargliene l'occasione. L'altra, Sena, vive in famiglia ed è all’apparenza  una ragazza normale da cui  tutti si aspettano sempre ottimi risultati , perché al contrario dell'altra  è “la migliore” ma è forse per questo che ha paura di mostrare alla famiglia tutte le sue sconfitte e le sue insicurezze.  E, come è sempre successo, anche nel loro incontro hanno paura di scoprire la propria  vera identità e di doverla  mostrare. E quando Sena trova una pistola nella sacca che inavvertitamente ha scambiato con l'amica, i loro destini si incrociano, scontrandosi attraverso le loro  vere debolezze e false certezze.Ma forse, dal confronto acceso che ne nasce, Valentina e Sena andranno incontro a una nuova vita  dove  potranno finalmente mostrarsi a sé e agli altri come realmente sono.La  “discreta” regia  di Fabrizio Cassanelli si affida interamente alla drammaturgia che resta la vera perla di questo spettacolo che con estrema coerenza pone davanti allo spettatore senza luoghi comuni tutte le più profonde difficoltà di un 'età così difficile e contraddittoria come l'adolescenza, affidandosi anche a siparietti didascalici che Valentina Grigò e Linda Caridi accompagnano credibilmente alla loro interpretazione di due esseri ancora in formazione dall'indole complessa e contraddittoria. 


COSMOKOMICO TEATRO

PICCOLO PASSO

Storia di un’Ocarina pigra

di e con Valentino Dragano 

decorazioni sceniche Alessia Bussini




Valentino Dragano di Kosmocomico Teatro, dopo il successo di “Bruttino”, torna, ispirandosi al libro di Simon James, ad occupare a tutto tondo il palcoscenico, attraverso il suo particolarissimo modo di stare in scena che mescola in modo divertito e divertente la narrazione, la musica dal vivo ed il teatro di figura. Il  nostro, questa volta, racconta la storia di una famiglia di ocarine che abitano un albero fatto di foglie: madre, padre con annesso figlioletto che si trova forse suo malgrado ad accompagnare nei suoi primi passi del mondo, il fratellino a cui dà come nome “Piccolo Passo”.In scena non ci sono burattini o marionette per caratterizzare i diversi tipi che popolano questo mondo, ma delle vere e proprie  ocarine, ognuna con la loro grandezza di corpo e di suono ed una piccola piuma per diversificare una dall'altra. Solo Piccolo Passo, essendo l’ultimo arrivato, è senza piume : non sa parlare bene, non conosce il mondo. Un giorno lui e il suo fratellino più grande, giocando giocando, si allontanano e si perdono,  e così a Piccolo Passo le gambe cominciano a traballare dalla paura, anche perchè il gatto è sempre in agguato.Il fratello però, conosce un segreto per tornare a casa: fare un passo alla volta. Un solo, piccolo, passo:e così in questo modo  ritornano a casa, ingannando pure il gatto che si ritroverà pure senza denti.  Così a “ Piccolo Passo”  attraverso questa grande avventura (che in fondo è quella della vita) cresce addosso una piccola  piuma gialla che verrà salutata da un bellissimo concerto. Il gufo (si perchè c' è anche il gufo) sarà il basso, papà il tenore, la mamma il contral to, Soprano, il fratellino,Sopranino il più piccino. Un altro piccolo gioiello questo spettacolo di Dragano che riporta in auge uno strumento di cui stupidamente avevamo perso le tracce ma che qui diventa assoluto protagonista di un mondo completamente reinventato anche dalle decorazioni sceniche di Alessia Bussini  a misura di bambino dove i piccoli spettatori, dunque, si ritrovano perfettamente a loro agio. 

MARIO BIANCHI   

 

UN GOMMONE CARICO DI EUROPEI – ELSINOR


di Marco Renzi

con Stefano Braschi e Andrea Soffiantini

scene e costumi Ilaria Ariemme

luci e suoni Alberto Bartolini

regia di Giuditta Mingucci


Segnali ha presentato lo spettacolo prodotto da Elsinor, nato dal testo di Marco Renzi, vincitore del concorso  2012 “Schoolyard Stories – Concorso Platform 11+”. L’idea di partenza è molto buona: una situazione socioeconomica rovesciata per la quale i paesi europei sono finanziariamente franati, si crea così un flusso di emigrazione al contrario verso l’Africa, potenza in espansione. 

La scena si apre con i due protagonisti (Braschi e Soffiantini, il secondo ci pare più in parte del primo) in attesa notturna di una barca di scafisti che li porterà a Tunisi, per poi raggiungere altre ricche nazioni africane. Sul palco un pedalò. Siamo probabilmente su una costa siciliana, i due personaggi sono un milanese e un meridionale, scopriamo che l’uno si occupava di pubbliche relazioni nel fatuo mondo della moda e delle passerelle, l’altro si porta in valigia le delizie culinarie del mondo del sud: la moka per il caffè, la pasta con le sarde, il capitone, il vino rosso… Approntano così un piccolo banchetto natalizio, è infatti la notte del 24 dicembre, non si fanno mancare nemmeno la costruzione di un presepe costruito con caffettiera e altre stoviglie, perfino l’allegoria sonora dei botti di capodanno perché siamo vicini a San Silvestro.

Tra queste piccole azioni, i due ci fanno capire che il mondo è cambiato, che ora i lavori umili e faticosi li fanno gli europei, vediamo la paura di chi è comunque destinato ad un futuro incerto e appeso alla dubbia moralità degli scafisti e dei caporali, rischiando anche di farsi arrestare dalla polizia costiera. 

Il testo è quindi ricco di spunti, anche profondi e ispirati da una riflessione giusta e da una coscienza attenta. Lo spettacolo però non rende giustizia a tutto ciò. La regia (di Giuditta Mingucci) è piuttosto statica, impone un ritmo senza picchi di emozione, sottolinea troppo alcuni luoghi comuni che potrebbero essere resi in maniera più originale e con un miglior utilizzo della scena e dello strumento teatrale, che è invece sottosfruttato. A nostro avviso, è possibile insistere di più sullo stato d’animo dei personaggi, sulla loro condizione umana e intima, lasciando la morale più sullo sfondo. E’ chiaro l’intento di mostrare la difficoltà di chi ha nostalgia delle proprie abitudini e dei propri punti di riferimento, anche simbolici, ma questo, in teatro, può essere trasmesso in modo tanto più forte quanto più è suggerito e non esplicitato.



IL GIARDINO - QUELLI DI GROCK


Ideato e diretto da Susanna Baccari

Con Elisa Rossetti e Maria Cristina Stucchi

Musiche Gipo Gurrado


Due attrici/danzatrici si muovono su un piano inclinato, su belle musiche originali, spuntando e rituffandosi con movimenti buffi che i bambini presenti in sala hanno mostrato di apprezzare. I piccoli si divertono e seguono una storia semplice: un seme coccolato e innaffiato che cresce mentre le due bambine dormono, diventerà un fiore e formerà un intero giardino. La struttura è quindi salda e adatta per l’età indicata, dai 4 anni. 

Lo spettacolo è esteticamente curato, offre imamgini belle e alcune soluzioni teatrali indovinate come la casetta le cui finestre illuminate che diventano occhi, secondo noi ci sono però alcuni punti ancora da rivedere: i costumi delle due attrici, mutandoni a mo’ di pigiama incoerenti con la raffinatezza del resto, il ritmo potrebbe essere più serrato condensando alcune scene a vantaggio della forza visiva di ciò che accade in scena: meno elementi concentrerebbero l’attenzione dei bambini senza annoiare. Data l’assenza di parole, è necessario che le immagini siano sempre significative e mai ripetitive. 

Il giardino ha comunque l’importante pregio di lavorare sulla semplicità, come riteniamo sia consono e professionale fare rivolgendosi a spettatori che si affacciano al teatro con l’aspettativa dello stupore. Ed è giusto che siano accontentati. 



NATO IERI/ECO DI FONDO 

Con Andrea Pinna, Libero Stelluti, Giulia Viana

Regia Giacomo Ferraù


Spettacolo finalista al Premio Scenario Infanzia 2012


Nato ieri è Mino, il protagonista. E’ nato ieri ma è nato già grande, ma proprio grande! Adulto e molto alto. I due genitori (Pinna e Viana), simpaticamente sconclusionati, ovviamente se ne sorprendono assai, ma finiscono per non accettare questa stranezza e mollano Mino all’orfanotrofio. Qui un equivoco esemplare produce una situazione surreale: la suora dell’istituto confonde Mino con il nuovo padre di uno dei ragazzini orfani, Lucignolo, e lo affida alle sue cure. 

Lucignolo (ancora Pinna) è un bambino rom di 10 anni e da questo momento i due diventano inseparabili, partono per ritrovare la famiglia zingara e attraversano insieme il mondo, paesi, musiche e fate turchine…

Libero Stelluti è un Mino/Pinocchio dall’espressione ingenua, straniante nei suoi abiti di adulto in giacca e pantaloni, i panni però vestono un animo candido e che si lascia volentieri guidare dallo scafato Lucignolo, il cui nome si porta dietro tutto l’immaginario Collodiano di bambino scaltro. L’amicizia tra i due è sincera ed è poetica metafora del sentimento che vince sulle differenze, d’età e di etnia.

I tre attori sono bravi (forse Stelluti eccede un poco in sorrisi e occhi sgranati), lo spettacolo è pieno di buone idee - nonostante alcune ingenuità - rese anche con spirito, il testo offre battute e situazioni divertenti, soprattutto grazie alla personalità irresistibile di Lucignolo. Le idee sono forse troppe tendono ad affastellarsi affaticando la fluidità drammaturgica, l’ingranaggio del plot non è ancora  perfettamente oliato e alcuni snodi non risultano chiari, dal punto di vista del concatenarsi dei fatti. Parte del testo è narrato da Mino come fosse una voce di raccordo fuori campo ma l’incastro con il rientro nelle scene direttamente agite non è sempre funzionante. 

Abbiamo trovato un po’ di confusione soprattutto nell’ultima parte dello spettacolo, nella quale Mino diventa autore di un libro autobiografico, lo vediamo al cimitero davanti alla sua tomba ma la morte è irreale, si arriva al reincontro con Lucignolo e poi con i genitori. Tutti questi fatti possono essere meno giustapposti e più legati, mantenendo il tono sognante ma ordinando meglio i pezzi di questo puzzle fantasioso e positivo. 

 ELENA MAESTRI