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recensioni
TRE SPETTACOLI IMPORTANTI
ALICE, GLI EQUILIBRISTI E DOPODICHE' STASERA MI BUTTO

Terminiamo le recensioni di questo 2015 con il nostro particolare sguardo su tre spettacoli assai diversi tra loro per tematiche e pubblico di riferimento, ma importanti, ognuno a suo modo, sia per le caratteristiche di produzione, sia per i particolarissime modalità usate per affrontare i contenuti proposti

“Alice”, innanzitutto, che vede meritoriamente unite due compagnie lontanissime per dislocazione e forse per stile, Teatro delle Apparizioni di Roma e Teatro del Piccione di Genova, con regia del romano Fabrizio Pallara e drammaturgia della genovese Simona Gambaro.

Mettere in scena per ragazzi il capolavoro di Carroll per i bambini è sempre stato un azzardo assai difficoltoso per tutti, innanzitutto essendo, come si sa, il romanzo, anzi i romanzi, non propriamente rivolti all'infanzia e poi per l'estrema fantasia fantasmagorica che li attraversa, più adatti al cinema che al teatro.

Ma tant'è, lo spettacolo accetta la sfida con risultati convincenti, catturando una spettatrice molto particolare , che prima, stupita, poi piano piano, sempre più convinta della impresa, guidata da un esilarante Bianconiglio, diventa la protagonista della storia, muovendone a piacimento tutti gli accadimenti, in un continuo alternarsi di sipari, dove i personaggi appaiono e scompaiono, in un turbinio di apparizioni di efficace suggestione.

Danila Barone, Dario Garofalo, Valerio Malorni e Raffaella Tagliabue compongono lievemente il Paese delle Meraviglie in cui Danila - Alice si addentra, dove realtà e finzione si mescolano( il teatro )ogni volta in un gioco scenico divertente e coinvolgente nel quale conviene non solo ad Alice ma anche allo spettatore immergersi.

La narrazione poi delle continue visioni ( il cappellaio matto, il ghiro, lo stregatto, la lepre marzolina, oggetti e personaggi che cambiano dimensione) non avviene mai pedissequamente accompagnando il libro di Carroll, se mai, solo accennandole, come davvero accade in un sogno ad occhi aperti, ma nella convinzione sempre che sia un cammino di iniziazione verso scopi sempre più impervi e difficili.


E'assai raro che una compagnia che pratica solo saltuariamente il teatro dedicato agli adolescenti, e per di più parlando della loro estrema condizione sempre in mutamento, crei uno spettacolo di ottima qualità, profuso in uno stile molto particolare e che, senza retorica, si tuffa con efficacia in un mondo così difficile da decifrare. Il miracolo è accaduto con “Gli equilibristi” del Teatro dell'Argine di Bologna, creazione che ha più di dieci anni ma che non li dimostra affetto.

Su una piccola pedana e con una parete inclinata sul fondo, quattro attori perfettamente in parte, anche se quegli anni che vogliono rappresentare sono per loro passati da un pezzo, mettono in scena una giornata di quattro compagni di classe, dal risveglio al mattino, fino all’ultima ora di scuola. Nello stesso tempo metaforicamente vi è anche espresso il cammino difficile intercorso dal primo anno di una classe superiore sino all'ultimo dove è forse sedimentata la piena consapevolezza di vivere sempre in equilibrio, ma finalmente con i piedi incollati al filo che pur pericolosamente ondeggiando li sorregge.

Caterina Bartoletti, Lorenzo Cimmino, Giovanni Malaguti, Ida Strizzi attraverso l'attenta regia di Andrea Paolucci portano in scena in modo assolutamente credibile situazioni in cui il pubblico di riferimento si ritrova perfettamente. E' un caleidoscopio di tipi e di situazioni a volte paradossali, tra il serio ed il faceto, espresso con intensa leggerezza, mai banale, che racconta gioie e dolori quotidiani che fanno parte della vita di ciascuno di noi, ma che in quegli anni assumono toni particolari, dove nulla è concesso alla mediazione.

Le paure più piccole, da quella per la interrogazione a quella dei compiti in classe, quelle più grandi di sentirsi imperfetti o inadeguati, i primi corteggiamenti, le varie tipologie umane presenti in ogni classe che si rispetti mai caricaturizzate sono tratteggiati con diversa teatralità di accenti, anche crudeli, mentre i genitori e insegnanti, pur se evocati e raccontati, restano sullo sfondo. La metafora dell’equilibrismo poi espressa sia sulla pedana anche con un originale teatro di figura sia sulla parete scoscesa, che sta sul fondo è efficace nel rendere l’idea del senso di fragilità e di insicurezza della età che lo spettacolo vuole mettere in scena.

Della creazione è importante anche sapere il percorso, un percorso che dovrebbe essere condiviso da tutto il teatro ragazzi e spesso lo é. Infatti a una prima fase di studio durante i laboratori di teatro nelle scuole, è seguito il lavoro degli autori, che hanno elaborato i frammenti raccolti in proposte drammaturgiche(Giulia D’Amico, Pietro Floridia, Valentina Kastlunger, Andrea Paolucci) che a loro volta sono state modificate e plasmate durante la messa in scena vera e propria, sul palco, insieme agli attori. Da far vedere!


Il terzo spettacolo in questione e “Dopodiché stasera mi butto” il primo lavoro teatrale della compagnia- collettivo Generazione Disagio scritto da Enrico Pittaluga, Riccardo Pippa, Alessandro Bruni Ocana, Graziano Sirressi e Luca Mammoli su regia Riccardo Pippa.

Lo spettacolo consiste in un divertente gioco dell’oca che invece di condurre alla vittoria chi partecipa mira alla sua sconfitta, un gioco dunque all'incontrario con tre concorrenti-attori e un conduttore che spinge il pubblico a intervenire attivamente al gioco. Un pubblico finalmente composto da giovani, veri destinatari dell'impresa i quali gremivano il teatro in cui l'abbiamo visto e che vengono invitati a scaricare tutti i loro problemi sui partecipanti al gioco che si contendono la possibilità di arrivare per primi alla casella finale, quella del suicidio. Varie prove e imprevisti faranno avanzare o indietreggiare i concorrenti su un tabellone nella composizione di un vero e proprio gioco vissuto dal vero, ben condotto da Graziano Sirressi, Enrico Pittaluga, Luca Mammoli, Andrea Panigatti.

Le tematiche del disagio dunque vengono ribaltate gustosamente ed in modo paradossale attraverso una performance che si esprime anche in canzoni ad hoc, frasi che distruggono intelligentemente tutti i luoghi comuni, appelli che inneggiano alla distrazione al disinteresse e alla disaffezione e dove lo slogan preferito e “ Noi siamo la Generazione Disagio e ce ne sbattiamo il cazzo.”

Lo spettacolo dunque ha il grandissimo merito di affrontare in modo leggero una tematica poco affrontata nel teatro contemporaneo, ma alla fine, a nostro avviso, non osa farlo sino in fondo. Troppe infatti sono le digressioni di stampo cabarettistico che infarciscono lo spettacolo, troppe le divagazioni che non incidono nella problematica proposta, dove spesso i tre giocatori interagiscono con il pubblico in modo superficiale, dove il riso risulta fine a se stesso indebolendo cosi la metafora che é tutt ' altro che superficiale e ridicola. Insomma il disagio non sempre viene percepito in modo profondo dallo spettatore. Ma come detto ciononostante lo spettacolo ha il grande merito almeno di connettere un pubblico più vasto con il teatro, ponendogli davanti seppur per noi in modo troppo esteriore, delle questioni che sono fondamentali per capire molte delle ragioni della crisi che stiamo vivendo. E forse qualcosa resterà nella memoria perchè il teatro è forte e vince ogni ostacolo.