eolo | rivista online di teatro ragazzi
recensioni
VISIONI DI FUTURO, VISIONI DI TEATRO.. A BOLOGNA.. IL REPORT DI EOLO
LE RECENSIONI DI NELLA CALIFANO CON UNA NOTA DI KETTI GRUNCHI SUL LABORATORIO CONDOTTO DA GERD TAUBE

Dal 26 Febbraio al 6 Marzo a Bologna si é svolta la dodicesima edizione  di “Visioni di futuro, visioni di teatro..." il festival di teatro per la prima infanzia organizzato dalla Baracca di Bologna al Teatro Testoni e nelle scuole della città emiliana.

Una ricerca teatrale, quella de La Baracca - Testoni Ragazzi per i piccolissimi, che nel 2016 compie 30 anni.

Quella del teatro per i piccoli è una lunga esperienza che negli anni ha reso La Baracca, e Bologna, un punto di riferimento anche a livello internazionale.Un programma ricco di appuntamenti che per dieci giorni ha trasformato il teatro in un luogo di scambio e confronto, un territorio di incontro in cui professionisti del mondo artistico ed educativo hanno messo in campo le loro competenze ed esperienze sul mondo della prima infanzia.

In questa 12a edizione sono state 25 le compagnie, di cui 13 straniere, che hanno presentato le loro nuove produzioni dedicate alla fascia 1 - 6 anni. Nel ricchissimo programma 26 titoli per le famiglie e le scuole, per un totale di 44 repliche che hanno ospitato quasi 5000 spettatori, cui si aggiungono altri 3 titoli riservati agli operatori internazionali.

Alle produzioni si é affiancata poi un’intensa attività formativa rivolta a educatori e insegnanti, con 13 laboratori, una conferenza, tavole rotonde, incontri, un Masterclass e un seminario teorico-pratico organizzato in collaborazione con la Biblioteca Salaborsa Ragazzi, l’Università di Bologna – Dipartimento di Scienze dell’educazione “Giovanni Maria Bertin” – Centro di ricerche in letteratura per l’infanzia e l’Istituzione Educazione e Scuole del Comune di Bologna.

Tante le presenze straniere e numerosi i progetti di collaborazione a livello internazionale. Austria, Africa, Danimarca, Germania, Gran Bretagna, Islanda, Messico, Olanda, Spagna, Svezia, Turchia sono alcuni dei Paesi rappresentati dai tanti ospiti che hanno partecipato al festival.


Nella Califano, giovane collaboratrice di Eolo ha seguito la maggior parte del programma degli spettacoli e ce ne fa un resoconto circostanziato di quelli più significativi con uno speciale sguardo sugli stranieri, mentre abbiamo chiesto a Ketti Grunki della "Piccionaia" di parlarci della sua esperienza al festival riguardo all'iniziativa” Fermarsi un attimo. Pause di riflessione artistica” condotta da Gerd Taube, Direttore del Kinder- und Jugendtheaterzentrum di Francoforte.



Un anno importante per la Baracca – Testoni Ragazzi, che inaugura il 2016 con un compleanno speciale: 30 anni di teatro 0-3. La dodicesima edizione del Festival Visioni ha goduto infatti del contagioso entusiasmo scaturito da una ricorrenza che non si sperava di festeggiare, come ha dichiarato ironicamente Roberto Frabetti durante la presentazione del libro Pollicini Ostinati. 30! Trent'anni di nido e teatro, una raccolta di articoli scritti da tutti i protagonisti di questo viaggio iniziato nel 1986 quando, ricorda ancora Frabetti, si considerava inconcepibile un teatro per i piccolissimi.
Come ogni anno le tre sale del tetro Testoni sono state invase dall'energia di compagnie provenienti da tutto il mondo, che si sono avvicendate, con ritmi incalzanti e adrenalinici, sotto gli occhi curiosi e attenti di un vastissimo e variegato pubblico, non solo di bambini e genitori.

Chi abbia avuto la fortuna di seguire il Festival dal principio alla fine non si sarà potuto sottrarre a una riflessione profonda sul teatro e su come la ricerca e la sperimentazione performativa siano immancabilmente condizionate dalle problematiche della società attuale o, comunque, ne percepiscano le esigenze profonde. È proprio da questo sentire che si rivelano le “visioni”, del teatro, del futuro, visioni che spesso accomunano paesi molto diversi tra loro, restituendoci la misura dell'importanza di mettere a confronto esperienze internazionali nell'ambito di un festival che, rivolgendosi all'infanzia, si assume la responsabilità di misurarsi con i grandi temi dell'esistenza attraverso la delicatezza e la cura. Questa è la grande sfida per gli artisti coinvolti in questa esperienza.
A questo proposito è interessante notare come più di una compagnia abbia lavorato sul tema della relazione, intesa come possibilità o impossibilità di incontro e di condivisione, come scoperta di un luogo, fisico, ma prima di tutto intimo, in cui convivere senza il bisogno di delimitare dei confini, pur rivendicando il diritto al proprio spazio.

La compagnia camerunese Théâtre du Chocolat con Abole ci ricorda come il tema della relazione e, in particolare, della contesa tra due personaggi, sia radicato nella tradizione teatrale, che lo ha fatto proprio vestendolo di ironia e tragicità a seconda dei tempi e dei generi. I costumi dei protagonisti, infatti, sembrano far riferimento da una parte all'immaginario clownesco fatto di immancabili nasi rossi, scarpe troppo larghe e calzoni troppi corti, e dall'altra, invece, alla commedia dell'arte, con il suo pulcinella magrissimo e affamato, sempre impegnato a difendersi dall'ingordigia dei padroni grassi e appagati. Stavolta, però, pare che i due mondi, una gag dopo l'altra, inizino ad avvicinarsi. Accade così che nel momento in cui anche l'ultimo palloncino, oggetto della contesa, è scoppiato, il prepotente sente la debolezza del proprio ruolo e il suo pianto è talmente struggente che il povero vessato, nonostante tutto, non può fare a meno di consolarlo. Tutto si scioglie in un tenero abbraccio che abbatte gli status sociali e apre alla pacifica convivenza.
Con Mio, Tuo, Nostro, invece, il Pandemonium Teatro mette al centro della scena una panchina pubblica, oggetto di contesa da parte di due personaggi che con buona consapevolezza fisica si esibiscono in una serie di simpatiche gag scandite dalla musica, mentre la parola è quasi completamente assente. L'intento è quello di trasmettere il piacere della condivisione, cosicché, dopo una lunga serie di dispetti, si sceglie di darsi appuntamento per il giorno dopo. Dove? Non alla mia, non alla tua, ma alla nostra panchina.
Anziehsache (Abiti) del Theaterhaus Ensemble di Francoforte condivide con gli spettacoli precedenti un utilizzo parsimonioso della parola a favore della musica e del movimento. Come per molte delle produzioni estere la prima cosa che colpisce è l'audacia della sperimentazione, anche a livello scenografico. Al centro della scena, infatti, un enorme sacchetto di carta, dal quale uno alla volta vengono fuori i due abilissimi attori. La cura per gli oggetti e gli abiti di scena è piacevolissima e incanta, come pure la grazia con la quale vengono utilizzati. Sono proprio gli abiti, stavolta, a costituire il pretesto per la relazione. La provocazione tra i due personaggi passa soprattutto attraverso il movimento, scandito da ritmi variabili a seconda della situazione e comunque sempre coerenti con la delicatezza della performance, dallo scambio dei vestiti, al groviglio di corpi dei quali l'uno vorrebbe prevalere sull'altro. I due attori, attraverso irresistibili e intelligenti gag, esplorano tutte le possibilità del contatto e non si sottraggono neppure alle esibizioni canore e al ballo. In alcuni momenti l'armoniosità e la precisione del gesto e la dolcezza dei duetti canori quasi allontanano l'idea della contesa, che pure, però, si sta consumando davanti ai nostri occhi. Ed è proprio la presa di coscienza di questo paradosso che porta ad un'ulteriore riflessione: forse dietro al desiderio di prevaricazione si nasconde la necessità dell'altro. I due personaggi ormai sono esausti, non resta che sedersi l'uno accanto all'altro, i corpi ben aderenti, e guardare avanti, insieme.
Con lo studio per lo spettacolo Cerca (Vicino) la Compañía Teatro al Vacío lavora invece sull'assenza del contatto, sulla ricerca della relazione. I due attori in scena percorrono tutto lo spazio senza mai incontrarsi, finché finalmente si notano. Si osservano, o meglio, si spiano, trincerati nella sicurezza dello spazio che hanno occupato. Si accorgono di possedere gli stessi oggetti e forse questa scelta registica vuole suggerire l'assenza della contesa. Paura? Cautela? Diffidenza? Sicuramente una continua e a tratti scoraggiante perdita di opportunità. Lo spettatore ha l'impressione che da un momento all'altro possa accadere qualcosa: i cani di peluche degli attori si avvicinano fino a toccarsi lasciando sperare in un contatto anche tra i loro padroni, ma ci si accorge subito che vengono utilizzati solo come delegati di una spedizione troppo pericolosa per essere condotta di persona. Gli attori si sottraggono ad ogni possibilità di incontro nonostante le numerosi occasioni che si vengono a creare attraverso le divertentissime gag tra i due, dei quali, però, pure gli sguardi si sfuggono. A poco a poco lo spettatore si accorge, forse, di ritrovarsi in quegli atteggiamenti di ritrosia al contatto, o quantomeno di riconoscerli. I costumi contemporanei, la musica anonima, che ricorda quella che fa da sottofondo ai videogiochi, e lo spazio vuoto, utilizzato dai personaggi in maniera niente affatto libera, ma come se fosse segnato da un percorso che li costringe a muoversi seguendo delle linee che non si incontrano mai, ci riporta alla realtà della nostra condizione sociale. L'essenzialità mette a nudo una verità condivisa e siamo tutti chiamati ad interrogarci su ciò che accade in scena: delle irresistibili, sottili e argutissime gag noi adulti ridiamo con inquietudine.

Molti e variegati sono i temi della ricerca performativa delle varie compagnie: partiamo da quelle italiane e, in particolare, da quattro produzioni de La Baracca.
Roberto Frabetti con 30!! Chi ha rubato la mia pizza? festeggia i trent'anni del progetto “Teatro e Nido” proprio con una festa di compleanno, quella di Rocco, una piccola volpe che, in realtà, di anni ne compie tre; ma il desiderio di spegnere trenta candeline è così forte che tutto il bosco dell'Avvento si mette a cercarle. Rocco avanza ancora un'altra richiesta: una pizza di compleanno! Il pizzaiolo Arro si mette all'opera per accontentarlo, ma ogni volta che la pizza viene infornata dopo poco scompare: chi sarà il colpevole?
Con Girotondo, che in occasione del Festival debutta per il pubblico dei piccolissimi, dal teatro di narrazione si passa ai silenzi eloquenti della luce e delle ombre, vere protagoniste di una performance che esplora la rotondità delle forme, a partire dal tema della scoperta: un viaggio intorno al mondo “per scoprire cosa c'è dall'altra parte”. Il fondale bianco mette in risalto le forme morbide di tondi colorati che all'occorrenza si illuminano lasciando estasiato il pubblico. Due viaggiatori sono guidati dalla curiosità, dalla leggerezza, da tutte le emozioni, insomma, che ogni viaggio intrapreso per lasciarsi stupire ci regala. E sono sguardi, movimenti lievi, sospensioni e giochi, ed è armonia di luci e colori per godere di un'atmosfera non caratterizzata, ma che lascia spazio al nostro personalissimo viaggio.
La stessa delicatezza la ritroviamo in Viaggio di una nuvola, uno spettacolo nato nel 1990 per i nidi d'infanzia e poi sviluppato negli anni seguenti fino a diventare, oggi, una nuova messa in scena da parte dei giovani attori de La Baracca. Due personaggi in scena e una nuvola che viaggia intorno al mondo e lo racconta. Tutto ciò che vede, dalla sabbia del deserto agli animali è contenuto in una borsa che sembra custodire tutti i suoi ricordi: i ricordi di un viaggio che i piccoli spettatori sono chiamati ad intraprendere... in groppa ad una soffice nuvola.
La nuova produzione La bella o la bestia per la regia di Bruno Cappagli. lascia intuire già dal titolo la scelta di lavorare sulla fiaba a partire da una domanda estetica: cos'è il bello? E in che rapporto è con il brutto e con il bestiale? Ci si interroga, dunque, sul gusto e su ciò che lo  condiziona. Due artisti, i protagonisti, in un breve prologo illustrano le premesse da cui parte lo spettacolo. In sottofondo ascoltiamo il racconto della fiaba, mentre sul palco gli attori con pochi e semplici materiali e un bel gioco di luci ricreano le atmosfere della storia, ora giocose, ora inquietanti. Viene restituita alla fiaba il suo tratto contemporaneo, tipico di tutti i grandi classici, anche grazie alla scelta della musica, alla semplicità della scenografia, ai grandi e versatili teli di plastica che diventano tempesta, parete sulla quale tracciare segni e parole, ma anche vestiti da sposa, che l'attrice si prova giorno dopo giorno e malvolentieri, finché non sarà lei stessa a chiedere di indossarne uno. Questo è il momento in cui la storia ci insegna che dietro la bestialità si nasconde la bellezza, ma i due artisti non risponderanno mai a questo dilemma. La domanda resta aperta per il pubblico che, alla fine dello spettacolo, si  riempie gli occhi con la poeticità di una rosa che volteggia leggera, creando la sospensione e il vuoto necessari ad accogliere, per l'ultima volta, la domanda iniziale: cos'è bello e cos'è brutto? Ce lo chiediamo mentre guardiamo una piccola opera d'arte nata dall'insieme di tutti i materiali di scena; ce lo chiediamo per accorgerci che in fondo, forse, la risposta non conta più.


La Compagnia Franceschini performing arts con Celeste, la fiaba dei colori lavora sul tema della diversità e dell'inclusione a partire dai colori dell'arcobaleno. Celeste, la protagonista della storia, è una bambina dalle strane abitudini, che risulta per questo  diversa agli occhi dei compagni. L'attore in scena, Gianni Franceschini, anima il pupazzo della piccola Celeste e con l'utilizzo della pittura dal vivo le racconta la storia dei colori dell'arcobaleno, una storia che somiglia molto alla sua. I colori all'inizio escludevano il celeste, come se quello non fosse alla loro altezza, ma con il tempo e dopo un viaggio iniziatico, quello viene accettato e può brillare nella curva dell'arcobaleno insieme agli altri colori. Allo stesso modo anche la piccola Celeste verrà accolta dai suoi compagni quando quelli ne avranno finalmente compreso le qualità.

La Riserva Canini, compagnia l'anno scorso vincitrice del Premio Eolo per il teatro di Figura , nata, appunto, come “riserva” di progetti artistici, con Little bang ne presenta uno che si è sviluppato attraverso un percorso laboratoriale con bambini dai 6 ai 10 anni. Si tratta di una mostra-spettacolo itinerante che si sviluppa in due momenti: l'accoglienza del pubblico, al quale viene mostrata una galleria di opere realizzate dai bambini rispetto alla domanda “come comincia tutto quanto?” e uno spettacolo, o meglio, per dirla con gli ideatori Marco Ferro e Valeria Sacco, che si alternano nella messa in scena, «un'ipotesi immaginaria e teatrale di come tutto ogni volta abbia inizio e fine. Una silenziosa esplosione che accade di continuo. Nelle galassie come nella vita degli esseri umani». A partire dai principi base dell'astronomia e della fisica i bambini hanno realizzato delle ipotesi sull'origine dell'universo servendosi di diversi materiali che hanno preso forma grazie alla loro immaginazione. Lo spettacolo racconta questo processo di creazione in maniera molto poetica, mostrando la potenza della materia e l'energia che ne scaturisce, descrivendo, insomma, una piccola esplosione, se la pensiamo all'interno di un universo che crediamo infinito, dalla quale, però, tutto prende origine e forma. Ai piedi dell'attore (in quest'occasione è stato Marco Ferro ad entrare in scena) un telo bianco raccoglie quello che a noi spettatori sembra un pasticcio di colori e materia, ma quando il telo viene inaspettatamente sollevato, ecco che assistiamo a questo “bang” e a tutto ciò che ne deriva. E allora quel pasticcio ci sembra familiare. Ci parla di trasformazione, paziente e silenziosa, ci parla di fini che contengono già nuovi inizi, ci parla di noi.

La Compagnia TPO omaggia il botanico, poeta e giardiniere Gilles Clement con Pop Up Garden uno spettacolo realizzato attraverso l'uso di tecnologie interattive, della danza e del teatro visivo. Come in tutti gli spettacoli della compagnia, che puntano a realizzare un ambiente “sensibile”, il vero protagonista è lo spazio scenico. I due performer in scena esplorano questo spazio preparando il pubblico all'esperienza immersiva che potranno concedersi alla fine dello spettacolo. Lo spazio reagisce ai movimenti di chi lo occupa attraverso immagini, suoni e colori cosicché il corpo, nel ricevere questi stimoli, riesca a creare una relazione libera ed emotiva con lo spazio. Il pubblico è disposto ai lati di un lungo tappeto posto al centro della sala e dal quale nascono immagini accuratamente studiate, dinamiche, suggestive. Sono immagini che intendono raccontare una storia da “sentire”, più che da ascoltare. Lo spettatore viene immerso in un ambiente visivo e sonoro che grazie al mezzo tecnologico amplifica le percezioni corporee stimolando la creatività. A questo punto le immagini, i suoni e i movimenti dei performer diventano strumenti per realizzare una propria storia, a partire dalle emozioni provate. La scelta di rappresentare un paesaggio naturale aiuta sicuramente a stimolare un sentire che si riattiva immediatamente a contatto con un ambiente che ci appartiene intimamente e le reazioni dei bambini, alla fine dello spettacolo, che sono chiamati a muoversi sul tappeto interattivo, confermano il successo di questa intuizione.

La Fondazione Sipario Toscana onlus – La città del Teatro presenta un progetto teatrale realizzato in collaborazione con una scuola dell'infanzia del Comune di Cascina e con Ivana Conte, esperta di didattica della visone teatrale presso Casa dello spettatore. Piccole emozioni. Giocando con l'amico immaginario è uno spettacolo che intende riflettere sul rapporto tra immaginario e virtuale, e su come queste due componenti possano influenzare la creatività dei bambini; non a caso i personaggi sono immersi in una scenografia kandiskiana. Ci si interroga sulle possibilità immaginative ed emozionali dei bambini di oggi, a partire dalla relazione tra due personaggi: Vera e il suo amico immaginario, Costantino, che può esistere solamente se l'immaginazione di Vera non si esaurisce. Gli attori entrano in relazione diretta con il pubblico dei bambini instaurando con loro una complicità giocosa quando puntano il dito contro la rigidità degli adulti e intonano canzoni che invitano a cantare con loro.  Il finale sottolinea l'importanza di non rinunciare alla propria immaginazione e infatti Vera non lascia andare Costantino, ma lo trattiene in un tenero abbraccio.

Ca' Luogo d'Arte accoglie gli spettatori nella consueta magia di una scenografia sempre emozionante e sorprendente. Con l'anteprima Dentro di me due attrici, Me e Te, ci prendono per mano e insieme intraprendiamo un viaggio nel luogo più misterioso e pericoloso che esita: il dentro di sé. Lo spettacolo è composto da alcune delle scene più significative di un lavoro che intende affrontare un tema delicatissimo, quello della conoscenza di se stessi. Come in ogni viaggio che si rispetti occorre una mappa, ma questa è speciale, perché riporta i luoghi di dentro e quindi le emozioni, le paure da affrontare, le debolezze...ma “dovete andare, io di più non vi posso dare”, dice una voce come di madre, che è una credenza che prende vita. E in ognuno dei suoi cassetti si nasconde l'essenza del sé, da quelli più alti, che contengono il cuore, a quelli più bassi, più misteriosi, meno luminosi. Il cuore pulsante è il motore dello spettacolo, che nasce dalla lettera di una bambina. Lei dice che nel cuore vive un bambino e quando il cuore smette di battere il bambino va via. E allora non ci resta che verificare e farci esploratori perché “mi voglio bene e voglio essere il re. Dentro di me sarò io il re”. Uno spettacolo complesso e quindi subito sentito dai bambini, un viaggio di conoscenza, di iniziazione, proprio come quello che ogni fiaba permette di fare. Cosa c'è dentro? Non lo sappiamo, o non lo sappiamo ancora, o non lo sappiamo del tutto, ma sicuramente c'è qualcosa di immenso. Ed è un'immensità di cui è giusto aver paura, per prenderla sul serio, alla quale, però, non bisogna sottrarsi, ma anzi coltivarla, insieme ad un pezzetto d'infanzia.

                     


Per quanto riguarda le produzioni straniere una delle più interessanti è stata senz'altro A square world  un lavoro originale in cui l'artista londinese Daryl Beeton tratta il tema della diversità con grande sensibilità e intelligenza. Lo spettacolo si svolge sul piano di un lungo tavolo dietro il quale l'attore è seduto per animare tre piccoli cubi che arrivano rumorosamente, saltellando: hanno occhi, bocche e caratteri diversi. Sono i personaggi della storia e l'attore grazie a suoni, ammiccamenti e atteggiamenti del volto ne riproduce gli stati d'animo. All'inizio ci troviamo di fronte ad una sequenza di azioni quotidiane: i piccoli protagonisti con movimenti sempre uguali prendono l'autobus, vanno a scuola e poi a giocare e intanto ammoniscono di continuo la lentezza dell'attore nel cambiare i quadri delle varie scene, creando così delle irresistibili gag. In questo mondo quadrato ad un certo punto qualcosa va storto: l'attore che ha distrattamente lasciato cadere uno dei tre protagonisti, nel raccoglierlo, distrattamente, lo investe con una ruota della sua sedia a rotelle! Ed ecco che il cubo diventa sfera, ma il mondo intorno a lui resta lo stesso! Ricomincia la routine quotidiana, ma il povero incidentato non riesce a far nulla di ciò che faceva prima, così dovrà rinunciare all'autobus, alla scuola e ai giochi, fino a quando l'attore, che guarda dall'esterno tutta la vicenda, mortificato e imbarazzato, non riesce a trovare una soluzione: basta qualche piccolo accorgimento qua e là per facilitare i movimenti della sfera. Lo spettacolo nella sua semplicità risulta molto efficace, stimola una riflessione profonda senza farci smettere mai di ridere e non accade mai di ritrovarsi a provare pena per il cubo incidentato e anzi, ad alleggerire ulteriormente la storia un finale esilarante: e se si aggiungesse un'altra forma geometrica?!

Incantevole la performance canora di Marie-Christiane Nishimwe in Mama Singt Geschenke (Le canzoni della mamma sono regali) della compagnia viennese Dschungel Wien. Si tratta di uno spettacolo molto particolare in cui non è dato molto rilievo alla storia, quanto piuttosto a ciò che accade in scena, dalle movenze dell'attrice, all'utilizzo degli oggetti che, di tanto in tanto prendono vita! L'ambientazione non è affatto contemporanea, vediamo infatti valigie, abiti, una specchiera e perfino una vasca da bagno che ci riportano ad un gusto del primo Novecento. L'attrice viene accolta dalla familiarità di una stanza ben arredata, ogni cosa sembra ispirarle una musica e così, davanti agli occhi estasiati dei bambini, canta a piena voce con un'interpretazione ironica dei brani. Intanto si sveste e si tuffa in una vasca da bagno piena d'acqua che sembra non avere fondo, si diverte con la schiuma e riemerge con nuove idee, nuove espressioni. Tutto intorno a lei è in movimento come se la scena fosse piena di altre presenze e così  non ci sorprende che una valigia corra di qua e di là provocando i bambini in prima fila che tentano di acciuffarla. L'originalità dello spettacolo rivolto ad un pubblico di piccolissimi sta proprio nell'affidarsi ad ambientazioni e musiche per loro non riconoscibili, o comunque inaspettate, ma rendendole ugualmente godibili grazie alle esilaranti trovate dell'attrice. L'audacia delle scelte registiche, che trovano un riscontro positivo nella reazione del pubblico, si fanno forti proprio della sorpresa e della curiosità che ne derivano, riattivando, attraverso queste suggestioni, la meraviglia dell'osservatore.

Peka Trumma Dansa (Guarda Suona Balla) è uno spettacolo della compagnia svedese Teater Tre rivolto ad un pubblico di bambini da 1 a 4 anni. La performance trae ispirazione dai libri per bambini di Eva Susso e Benjamin Chaud come suggerisce anche l'utilizzo di colori accesi e brillanti che catturano gli occhi curiosi dei bambini, attratti dalle cromie, ma anche dai gesti precisi e ritmici degli attori. Lo spettacolo, infatti, riporta i bambini nella dimensione familiare del gioco, della scoperta, dello stare insieme. I gesti quotidiani che vengono proposti, come dormire, svegliarsi fare colazione, sono scanditi dal ritmo e della musica che è potenzialmente in ogni oggetto e così le tazze, le sedie,  il corpo stesso, tutto può suonare e rendere unico un momento, anche se si tratta di un'azione svolta ogni giorno allo stesso modo. Gli attori giocano con il corpo e si trasformano in animali e così cambia il gesto e cambia il suono, fino a quando tocca ai bambini sperimentare: gli attori tirano fuori tamburi di ogni dimensione, i bambini si avvicinano la festa può iniziare.

La compagnia olandese De Stilte come pure quella danese Theatre Madam Bach lavorano sulle suggestioni della natura e del paesaggio.
La prima con  con Hihahuttenbouwers ricrea un'atmosfera sospesa in cui due delicatissimi danzatori si muovono intorno ad un oggetto misterioso, che potrebbe essere qualsiasi cosa. Quando i due si riparano dalla pioggia quell'oggetto sembra una casa, quando invece il groviglio dei loro corpi lo sposta in tutte le direzioni sembra quasi un prolungamento dei danzatori. Gli attori stessi, nei loro costumi bianchi, lasciano interdetti: chi sono? Uomini? Nuvole? In questo luogo silenzioso prendono vita i fenomeni naturali, come il sole e la pioggia. Da un fondale bianco nasce un arcobaleno. E infine il vento.  Lo sentiamo sulla pelle, gli attori cominciano ad interagire con noi spettatori, ci guardano, ci chiamano e all'improvviso una cascata di pop corn ci scioglie e nessuno si perde l'occasione di portarsene uno alla bocca. I danzatori, a questo punto, con una delicatezza irresistibile prendono per mano i bambini che, infatti, senza alcuna esitazione si lasciano guidare nello spazio scenico. Non c'è bisogno di parlare: gli attori mostrano in che modo prendere dell'edera e posizionarla intorno agli oggetti di scena, i bambini semplicemente annuiscono ed eseguono, con concentrazione, ormai parte della scena, ormai parte di uno spettacolo che ha raggiunge il suo apice proprio nel momento in cui diventa esperienza.
La compagnia danese, invece, con World Images (Immagini dal mondo) ci accompagna alla scoperta dei luoghi del mondo, fornendo immagini suggestive e stimolanti anche attraverso l'utilizzo di musica dal vivo e proiezioni. Grandi ombrelloni in scena, decorati nel minimo dettaglio, riproducono le più disparate ambientazioni, dall'India, alla foresta pluviale, alle grandi città. Noi spettatori siamo chiamati ad avvicinarci il più possibile alla scena per godere, con il naso all'insù, di quella ricostruzione minuziosa. Come in tutte le produzioni straniere viste quest'anno si privilegia il suono e il movimento piuttosto che la parola e le rare volte che gli attori si rivolgono al pubblico lo fanno con parole essenziali. In questo caso gli attori chiedono di tradurre al pubblico delle brevissime frasi che accompagnano con il movimento e che servono a regalare una riflessione in più rispetto allo stimolo visivo. Una differenza che è possibile notare in questo spettacolo rispetto alle altre performance straniere e che gli attori non sono caratterizzati, non hanno dei costumi di scena, non sono personaggi, ma piuttosto guide che accompagnano il pubblico intorno al mondo ricordando loro il rumore dei passi sulla neve, lo sferragliare di un treno o la marcia delle formiche nella foresta pluviale. Non ci dicono dove andare o come viaggiare, ci ricordano solo che è bello farlo, per riempirsi gli occhi di immagini.


Pies de bailarin (Piedi di ballerino) è una performance molto sentita della quale Omar Meza porta in scena alcuni frammenti. Si tratta di una produzione realizzata in collaborazione con Yutaka Takei e che parte da un riferimento autobiografico per poi diventare tematica universale. Omar Meza danza con la sua storia degli occhi, quella di chi si è conquistato il proprio sogno contro le incomprensioni della famiglia. È quindi una storia in cui può ritrovarsi chiunque abbia fatto esperienza degli ostacoli che si frappongono fra il desiderio e la possibilità di soddisfarlo. Riuscire a realizzare se stessi non è semplice, soprattutto se hai i piedi da ballerino, ma si rifiutano di regalarti le scarpe giuste e allora si danza lo stesso, mettendo ai piedi quello che c'è, perché tanto i movimenti li guida il cuore.
NELLA CALIFANO

Il Festival 2016 “Visioni di futuro, visioni di teatro...” a Bologna ha proposto un originale seminario dedicato a direttori artistici, autori, registi, scenografi, attori e organizzatori del Teatro Ragazzi: FERMARSI UN ATTIMO. PAUSE DI RIFLESSIONE ARTISTICA. Non è una novità di questa Edizione perchè siamo al secondo appuntamento con Gerd Taube, Direttore del Kinder- und Jugendtheaterzentrum di Francoforte, fautore di un personale percorso di riflessione e critica sul fare artistico e creativo del Teatro Ragazzi. Il progetto è iniziato quindi nel 2015 si svilupperà fino al festival 2018.

Gerd Taube nelle due giornate (1 e2 marzo) ha condiviso con una classe internazionale di addetti al “fare teatrale” un suo metodo che ha come finalità quella di recuperare una critica utile allo sviluppo dei processi produttivi, e di individuare strumenti di verifica dei progetti artistici e dei linguaggi utilizzati. Il programma invita soprattutto ad entrare nei progetti artistici con discrezione, per favorirne lo sviluppo, senza cercare di modificare o penalizzare, provando ad essere oggettivi e non seguire solo il gusto personale. In altre parole il metodo aiuta a individuare quali possano essere i punti di debolezza di un percorso produttivo, ma anche (e soprattutto) quali possano essere quelli di forza, quelli su cui lavorare per cercare di dare un'identità più solida allo spettacolo. Una occasione unica per chi sta lavorando su un progetto artistico non concluso!

Infatti, a differenza dello scorso anno in cui erano stati prese in esame delle produzioni “finite”, questa volta Gerd ha condiviso il suo metodo analizzando due “studi” presentati al Festival: il nostro “Cucù!” e “Mi piace” del “Teatro al quadrato”.

Nel corso delle due giornate (rigorosamente in lingua inglese) più di 30 operatori di altissimo livello provenienti da tutto il mondo (Inghilterra, Messico, Russia, Islanda, Spagna, Turchia, Finlandia, Svezia, Lituania, Senegal, Irlanda, e Italia naturalmente) hanno cercato di trovare risposte alle domande di Gerd con la finalità di rendere produttiva la critica e di trovare direzioni di lavoro future utili a far crescere i progetti artistici presi in esame.

“Cosa ha funzionato?” “Cosa avresti voluto vedere e non hai visto?””Quale parola rappresenta il progetto che hai visto?””Quale domanda vuoi rivolgere agli artisti?”...

Questi alcuni degli step del metodo (meraviglioso quanto utopico) che ha avuto l’ambizione di trovare punti di accordo tra mondi lontanissimi (professionalmente e geograficamente) accomunati da un sapere e da una passione: il Teatro per Ragazzi! Tre ore al giorno di positività, scambi di emozioni e sapienza... sembrava un mercato delle meraviglie, un sorprendente baratto di idee, memorie, e colori con cui tracciare possibili percorsi per continuare il viaggio iniziato. Pareva di essere dentro una grande cucina, dove in un enorme pentolone tutti buttavano gli ingredienti migliori per far lievitare bene il dolce appena impastato, e di dare consigli utili alla buona riuscita.

Nessun “bello, ma...” oppure “mi è piaciuto... però...” o “non mi è piaciuto... perché...”.

Piuttosto... “ha funzionato...” “avrei voluto vedere...” “perché quel passaggio...?” “cosa voleva dire...?” “siete sicuri che...”. Molta fatica, soprattutto per noi Italiani, ma il metodo funziona! Quante idee, quanti consigli, quante visioni, e alla fine... ognuno scrive una lettera a chi si è sottoposto all’esame, con tutta la libertà di una lettera privata.

Noi ce ne siamo andati con più di 30 bellissime lettere, scritte a mano, firmate e imbustate.

E quando “Cucù!” sarà finito, dentro ci sarà un pezzettino di ognuna...

Onestamente, una delle esperienze più ricche della mia esperienza artistica.

Grazie Baracca, grazie Gerd e grazie a tutta la classe!!!

Ketti Grunchi