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recensioni
PALLA AL CENTRO 2018 A PESCARA
IL REPORT CRITICO DI ROSSELLA MARCHI

La vetrina Palla al centro 2018 si è tenuta in una splendida e calda cornice marina.
Quest’anno infatti la vetrina è stata presentata in Abruzzo e ci ha visto ospiti di Florian Metateatro a Pescara. Tre giorni fitti di spettacoli provenienti per la maggioranza, come tradizione, dalle tre regioni coinvolte nel progetto, Abruzzo, Marche e Umbria ma con alcune aperture ad altre regioni come il Veneto, la Lombardia, la Liguria, il Lazio, la Puglia e la Sardegna.
Ci ha piacevolmente colpito la partecipazione dei bambini alla manifestazione segno di un evidente lavoro sul territorio e di una vitale risposta del pubblico alle proposte di teatro ragazzi del Florian. La presenza di bambini e ragazzi, sempre importante anche per gli operatori del settore, ci ha permesso quindi di disporre del determinante punto di vista, derivante dalla loro reazione. Gli spettacoli si sono avvicendati sui palchi del Teatro Flaiano, bello spazio in riva al mare, e del palco montato nella sua pineta, del Centro Culturale Aurum, uno spazio all’aperto con un’incantevole terrazza dalla quale poter ammirare splendidi tramonti, del Teatro D’Annunzio sempre all’aperto e, per la prima volta, del Florian Espace stesso, l’interessante spazio di creazione, casa di Florian Metateatro.
Appassionante e ben riuscita l’iniziativa Palla al centro tra i libri, svoltasi dentro a librerie e biblioteche della città e dei paesi limitrofi, all’interno della quale i bambini hanno potuto approfondire prima i testi che avrebbero visto poi rappresentati dalle compagnie presenti nella vetrina, e cimentarsi, grazie al laboratorio Critici in Erba quest’anno alla sua seconda edizione, a vedere con occhio critico gli spettacoli.
Molti i linguaggi esplorati nel cartellone: dal teatro di narrazione al circo contemporaneo, dal teatro di figura e d’ombre al teatro d’attore con musica dal vivo.

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Potremmo chiamare questa edizione della vetrina “Delle Rivincite e delle Occasioni Perse' (ma la rivincita è sempre possibile…) oltre ad alcune conferme in positivo o in negativo dei lavori presentati.
Tra le conferme positive sicuramente “Un Babbo a Natale” del Teatro Pirata di Jesi. Una storia da raccontare all’interno di una cornice natalizia che finalmente non parte dal Natale per raccontare una storia ma parte dalla storia per raccontarci il Natale. In scena due bravi cant-attori Valentina Grigò ed Enrico Marconi con i bellissimi pupazzi di Marco Lucci, la regia di Simone Guerro e la drammaturgia di Aniello Nigro e Simone Guerro. Un uomo, Roberto, odia tutto e tutti e il Natale è il periodo che detesta maggiormente. Nonostante questo deve lavorare presso un centro commerciale facendo l’animatore vestito proprio da Babbo Natale. Sarà qui che, al momento della chiusura, rimarrà nel centro commerciale insieme ad una bambina che lo segue ovunque vada. I due piano piano cominceranno a conoscersi fino a quando Roberto, abbandonate le iniziali resistenze, non comprenderà l’importanza dell’affetto nella propria esistenza e deciderà, dopo aver passato il cenone di Natale più bello e significativo che potesse avere, di adottare la piccola rimasta sola. Lo spettacolo di grande qualità sia per i bravi Valentina ed Enrico che per l’abilità nell’animare il pupazzo ha il pregio di una buona drammaturgia e di una puntuale regia che ci porta sulle ali dei buoni sentimenti senza la retorica su cui si potrebbe facilmente cadere. Un piccolo neo facilmente superabile: in alcuni punti lo spettacolo risulta un po’ “diluito” e all’inizio con una, anche se godibilissima, canzone di troppo.
Interessante anche se, a nostro avviso non per ragazzi, la narrazione di Caterina Fiocchetti dal titolo “Madonna” che nasce dai racconti della scrittrice Rina Gatti, contadina vissuta a cavallo delle due guerre che racconta la sua storia di crescita, attraverso il diventare moglie e madre, l’acquisizione di una coscienza politica e la sua battaglia per l’emancipazione. Molto brava l’attrice che riesce a trasmettere in modo efficace l’urgenza di raccontare che questa scrittrice contadina ha sentito sulla soglia dei suoi 65 anni e che l’ha spinta con grande tenacia a scrivere di sè. Molto ben strutturato anche il commento musicale del violoncello di Andrea Rellini che ben si lega alla parola e contribuisce a rendere speciali i 30 minuti della versione ridotta ai quali abbiamo assistito.

Atmosfere oniriche e immagini poetiche per Ballata d’Autunno, bell’esempio di circo contemporaneo del Teatro nelle Foglie, compagnia ligure che opera anche a Barcellona dove fonda uno spazio dedicato alla ricerca: una fabbrica delle idee. L’immaginario surreale e noir, senza una meta precisa se non quella di evidenziare come il percorso sia la meta stessa, ci porta in ambientazioni incantate estremamente curate. L’atmosfera è quasi in bianco e nero se non fosse per le palline rosse con cui il protagonista giocola con grande maestria. Per il duo composto da Marta e Nicolas non ci sono segreti in terra come in cielo di cui sono padroni proprio perché nulla chiedono se non di esperire tutto. Belli e bravi questi due personaggi svagati a metà tra un’illustrazione di Benjamin Lacombe e un personaggio dei film di animazione di Tim Burton.

La storia della genesi del mondo raccontata da Proscenio Teatro con uno spettacolo per i più piccoli “Punto e Punta” narra di un piccolo punto nero che vive in un enorme spazio bianco fino all’arrivo di una punta che dividendo il punto nero ne crea due che a loro volta dividendosi ne creano altri due procedendo all’infinito nella divisione fino a formare una sterminata distesa di punti che unendosi diventano linee, che incastrandosi creano forme geometriche e successivamente tutte le cose del mondo. Ma tutte rigorosamente in bianco e nero. Ad un tratto appare però un arco di colori, un arcobaleno, che viene rubato dal malvagio Nerone che tiene prigionieri tutti i colori. Ormai per i nostri abitanti diventa impossibile continuare a vivere senza colori dopo averli conosciuti quindi i due protagonisti, interpretati dai bravi anche se un po’ sopra le righe Mirco Abbruzzetti e Simona Ripari, si mettono in viaggio per andare a liberare i colori riuscendoci solo dopo aver passato prove di coraggio e avventure. Lo spettacolo pieno di ritmo e musica, che molto ricorda quella utilizzata nei programmi televisivi per bambini, coinvolge e fa trascorrere cinquanta minuti in leggerezza.

Suggestivo lo spettacolo di teatro danza della compagnia sarda Gruppo e-Motion/Balletto di Sardegna che ha portato in scena “Farò di te un sol boccone” un lavoro interessante di quattro danzatori coniugato alla musica eseguita dal vivo dagli allievi del conservatorio dell’Aquila.

Decisamente meno a fuoco i lavori della compagnia romana Ruota Libera “Bianca e l’Olimp(ic)o” e di “Pinocchio” del Teatro Stabile d’Abruzzo e Fantacadabra. Il primo spettacolo presenta una drammaturgia confusa, una scena e dei costumi inutilmente eccentrici e una interpretazione spesso urlata ed eccessiva, il secondo manca completamente sia di una ricerca che di una buona proposta tradizionale. Benfatta, ad onor del vero, la scenografia: un enorme libro pop up che fa da sfondo alle avventure di Pinocchio con varie ambientazioni ricavate nelle pagine.
Dello spettacolo “Un amico accanto” della Compagnia Mattioli si è già occupato Eolo e rimandiamo la lettura al report di Segnali!
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LE RIVINCITE

Dopo aver letto il cartellone della vetrina ed esserci accorti che c’erano almeno due produzioni già viste al Festival milanese Segnali, vetrina molto frequentata dagli operatori, ci eravamo chiesti la motivazione di inserire nella programmazione nuovamente questi lavori: in particolar modo ci riferiamo a “Nemici” della compagnia perugina Panedentiteatro vista nella scorsa edizione di Segnali e “La guerra dei bottoni” del bellunese Tib Teatro vista al Festival addirittura a maggio 2018. Siamo invece felici di aver potuto seguire nuovamente questi due spettacoli perché abbiamo potuto constatare che il confronto con il pubblico e con gli operatori, quando è fatto nel reciproco rispetto del lavoro, può essere vitale e pieno di utilità. Grande coraggio ha avuto infatti Enrico De Meo a riprendere in mano “Nemici” visto lo scorso anno al festival Segnali e profondamente ripensato e rivisto, questa volta con la regia di Fausto Marchini e la presenza in scena di Benedetta Rocchi oltre a quella di Enrico De Meo. Riprendere un lavoro che non ha avuto una buona accoglienza in precedenza è sempre difficile e doloroso per un artista ma quando questo avviene, come in questo caso, con un epilogo così positivo è davvero una rinascita. Infatti il lavoro così ripensato ha acquisito leggerezza e ritmo che gli ha consentito di essere più efficace nel significato della storia che si è voluta raccontare: la stupidità della guerra nell’inculcare che il nemico contro cui si combatte sia una bestia, come viene più volte ripetuto dal soldato Enrico, e non un semplice essere umano come lo siamo tutti. Ricordiamo brevemente la storia: un soldato si ritrova nella propria trincea a pochi passi dalla trincea nemica dove si trova un altro soldato dell’opposto schieramento. Nell’attesa interminabile che arrivi l’ordine di attaccare, il soldato ci porta nella sua quotidianità quasi comicamente ripetitiva. L’unico pensiero di dolcezza va alla sua amata che lo aspetta mentre per il “nemico” ha solo parole di odio e disprezzo. Si accorgerà invece, dopo aver conquistato la trincea nemica, che gli oggetti utilizzati dal nemico, il cibo che mangiava e gli indumenti che aveva erano i gli stessi posseduti da lui e che anche il “nemico” aveva la foto di un’amata. Si rende conto così della follia dello scagliarsi contro un altro essere umano che è, in fondo, uguale a lui. Così ripensato, con il protagonista più alleggerito nel suo personaggio e nella ripetitività delle sue azioni che ora, invece di essere solo tragiche sono tragicomiche, con una attrice fuori dal fuoco della scena che ci racconta di questo soldato e come un demiurgo lo guida verso lo svelamento finale, lo spettacolo acquisisce respiro ed è in grado di portare in modo molto più incisivo verso una riflessione seria sull’assurdità della guerra.

La guerra dei bottoni di Teatro Tib con la Regia di Giuseppe di Bello , già visto quest’anno al festival milanese Segnali!, ha presentato una versione notevolmente migliorata grazie al lavoro successivo fatto con i giovani attori in scena in questo contesto molto più misurati nella recitazione e nell’energia del gesto. Un notevole lavoro di sfoltimento è stato fatto anche sul testo a cui sono state tolte alcune lungaggini che ne avevano un po’ minato il ritmo e la scorrevolezza. Grazie a questi interventi di regia il lavoro ne è uscito rinnovato ed efficace. Il risultato è stato quello che merita una buon lavoro: grande successo di pubblico sia tra i bambini che tra gli adulti.
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LE OCCASIONI PERSE (MA LA RIVINCITA E’ SEMPRE POSSIBILE…)

In questa vetrina molti sono stati gli spettacoli con materiale anche molto interessante ma non utilizzato in un modo che permettesse di portare il lavoro ad efficace compimento. Spettacoli spesso carenti di regia o con drammaturgie deboli, non curati dal punto di vista scenico o con buoni testi ma non sostenuti da un adeguato livello attoriale. Mai come in questo anno abbiamo constatato che spesso le compagnie ritengano di poter fare a meno delle figure del teatro: la regia, per esempio, spesso viene sacrificata credendo che in qualche modo sia semplice per l’attore, spesso anche autore, dirigersi e quindi essere sia dentro che fuori al proprio spettacolo. La drammaturgia alcune volte evidenzia invece carenze argomentative, la mancanza di un’urgenza vitale affinchè ciò che si vuole dire riesca a passare dal palco alla platea.
“L’uomo della sabbia”, la nuova produzione della compagnia Art Noveau, ha portato un’interessante versione del racconto di Hoffmann impreziosito dalla presenza della lanterna magica e dei vetrini dipinti, giochi d’epoca concessi in prestito dal Museo del gioco e del giocattolo di San Marco. L’affascinante racconto di Coppelius e della sua bambola Coppelia si snoda in un’atmosfera gotica e rarefatta. L’attrice Giulia Zeetti veste i panni di tutti i personaggi e allo stesso tempo crea belle suggestioni con la lanterna magica e un gioco di ombre con sagome davvero di qualità ma non riesce suo malgrado a far passare con convinzione le caratteristiche che differenziano tutti i personaggi. La sua presenza è altalenante, l’energia che profonde è discontinua e non aiuta lo spettatore ad entrare nelle dinamiche struggenti del testo. Anche la drammaturgia risulta a tratti confusa e, soprattutto sul finale, stringe alcuni passaggi determinanti per la sua comprensione. L’utilizzo della lanterna magica e delle sagome ha bisogno di essere reso più fluido e amalgamato al corpo del lavoro. Un lavoro da cui si evincono tutte le potenzialità ma che va rivisto nella sua drammaturgia affinchè siano resi più chiari alcuni passaggi e nella regia, magari questa volta esterna, che aiuti l’attore a concentrarsi esclusivamente sull’interpretazione.

“Elettroradiogramma – acrobazie emotive di un cuore senza età”, è invece la produzione della compagnia romana Teatro dell’Illusione di Valentina Salerno in collaborazione con il Florian Metateatro. Lo spettacolo mescola i linguaggi del teatro e del circo per raccontare i passaggi storici che riguardano il nostro paese dal dopoguerra ad oggi e lo fa attraverso il racconto della vita di un simpatico vecchietto in vena di acrobazie e di un medium: la radio. L’apparecchio utilizzato per il percorso storico però in realtà, oltre a non seguire un ordine cronologico sicuramente per una scelta che rende però un po’ stridente la fruizione, divulga messaggi anche televisivi creando una confusione che non aiuta la drammaturgia, a nostro avviso un po’ debole. Alessandro De Luca, il bravo circense protagonista dello spettacolo, molto si prodiga in verità tra acrobazie sul palo cinese, giocoleria, animazione di un pupazzo (lasciato però poi appeso tristemente a vista sul fondale) e una recitazione a tratti, a nostro avviso didascalica, ma non riesce a dare vitalità e corpo ad una storia fragile che avrebbe forse delle buone premesse e gli elementi per funzionare sia a livello spettacolare che contenutistico ma che non riesce, di fatto, a decollare.

Poteva essere uno spettacolo di narrazione ben riuscito “Le avventure di Giufà” di Rinoceronte Teatro. Giufà è un personaggio a noi molto caro proveniente dalla tradizione popolare orale le cui gesta sono state raccolte e scritte, come fece Calvino con le Fiabe Italiane, dall’etnologo Pitrè a cavallo tra l’ottocento e il novecento. Lo ritroviamo nei racconti orali di tradizione di molte regioni italiane, a volte con un nome diverso: si tratta della figura dello sciocco del paese a cui però la stoltezza, nonostante tutto, non si ritorce mai contro facendogli invece incontrare le fortune della vita. Ed ecco così che il narrastorie Gianluca Ladecola accompagnato dal musicista Lorenzo Capolsini e dai sui tanti e interessanti strumenti musicali ci porta in un mondo ormai perduto, quello contadino, raccontandoci degli incontri , delle coincidenze fortunate e dei comportamenti da sempliciotto che si rivelano colpi di genio, del nostro Giufà. Lo spettacolo molto interessante e divertente per le storie raccontate manca però dello slancio e dell’energia necessaria sia da parte del narratore che, a nostro parere, poco ha messo in luce le sue capacità di colorare con la voce la storia che racconta che del musicista che non è riuscito ad accentare e a valorizzare adeguatamente il racconto. Lo spettacolo però ha molte potenzialità, a partire dal testo, e ci auguriamo gli si conceda ancora tempo di lavorazione.

Un ritorno piacevole è stato quello di Giancarlo Vulpes che ha presentato lo spettacolo di teatro di figura “Via Charles Perrault” con la drammaturgia e la regia di Marco Lucci e le belle sagome di Ada Mirabassi. La storia che viene raccontata è dedicata ai bambini dai 4 anni e vuole addentrarsi nel tema, molto attuale, della paura del diverso. Lo fa raccontando di un personaggio, Barba-blu, che di mestiere raccoglie materiali vecchi nelle case e che, dall’accento che gli conferisce il suo animatore è, per l’appunto, straniero. Nella via abitano anche due bambini: una bimba con una madre un po’ petulante e un bambino con un padre molto severo, chiuso e antipatico. Più tardi prenderanno casa nella Via Perrault anche un poliziotto con il suo cane che, ogni volta che viene pronunciata la parola “razza”, perde ogni controllo e diventa aggressivo e dispettoso. Sarà infatti il cane a creare il problema: i bambini spariranno per seguire il loro aquilone portato via da lui e il papà del bambino penserà bene di dare la colpa di un ipotetico rapimento a Barba-blu, lo straniero. La polizia darà quindi la caccia al povero malcapitato che nulla c’entra con la sparizione dei bambini. Ma seguendo la sua vita ci accorgeremo che il nostro protagonista ha invece un meraviglioso mondo interiore che si esprime attraverso l’utilizzo di vecchi giocattoli per raccontare la favola della buona notte alla famiglia rimasta lontana. Nello spettacolo ci sono infatti due piani: quello del reale dove troviamo la via, le case e i protagonisti del racconto, che a nostro avviso necessita di maggiore spinta drammaturgica e di un lavoro ulteriore da parte dell’attore nel muovere i pupazzi, e quello della casa di Barba-blu dove il protagonista narra la storia parallela animandola con i giocattoli che è invece giocata interamente con le ombre e che è, a nostro parere, la parte più convincente. Lo spettacolo, se lavorato ulteriormente sulla manipolazione dei pupazzi e sul testo, crediamo abbia ampi spazi di miglioramento.

Non poteva non esserci una baracca nella fresca pineta di Pescara! Il Granteatrino di Bari ha portato un testo molto divertente “Il principe e il povero” dal celebre racconto di Mark Twain. Ha molto divertito il pubblico il racconto dello scambio di ruoli tra il principe e il povero che, trovandosi simili per aspetto e nati lo stesso giorno, decidono letteralmente di scambiarsi i panni con tutte le divertenti conseguenze che possiamo immaginare. Lo spettacolo, godibilissimo per la verità, ha purtroppo tralasciato l’importanza della scena portando una baracca poco curata nell’aspetto e che quindi lasciava trasparire una noncuranza che non si ravvedeva poi nella bravura dei burattinai.

Chiudiamo questa sezione con “Mago per svago” che abbiamo trovato molto interessante. L’Abile Teatro di Ancona ha portato in scena uno spettacolo di magia, giocoleria e clownerie con una buona intuizione drammaturgica: raccontarci la relazione tra il mago e il suo assistente da sempre alla ricerca di un suo successo personale che lo possa rendere indipendente dal mago stesso. Attraverso le videoproiezioni, ben inserite nel contesto narrativo, comprendiamo che il rapporto dei due protagonisti in realtà parte dalla condivisione della passione per la magia che li vedeva uniti già da bambini a scuola, negli stessi ruoli in cui li ritroviamo da grandi. Questo aspetto rende molto interessante l’intero spettacolo perché offre agli spettatori una chiave di lettura del rapporto tra i due anche estendibile al più ampio rapporto tra leader e gregario, che tutti noi possiamo aver vissuto o nell’una o nell’altra veste. Sarebbe necessario un ulteriore passo verso la cura della recitazione e delle gag, alle volte forzata ed eccessiva altre volte non troppo efficace, per rendere il lavoro ancora più interessante nei contesti teatrali dove merita di stare.

ROSSELLA MARCHI