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recensioni
IL GIOCO DEL TEATRO
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI /PENSIERI DI UNA GIOVANE OSSERVATRICE

Che bella emozione entrare finalmente nella nuova casa del Teatro Ragazzi e Giovani che a Torino dal 10 al 12 Aprile ha ospitato gli eventi principali de “Il Gioico del Teatro”, il Festival di Teatro per le nuove generazioni 2006!
Un luogo, agognato da tanto tempo dal Teatro Ragazzi piemontese e non solo, che finalmente ha visto la luce con le sue due sale, gli uffici per le compagnie che potranno ulteriormente portare avanti il loro progetto comune, un vasto luogo per la mensa ed una arena esterna, insomma un luogo dove il teatro ragazzi non è più figlio di un dio minore ma dove può finalmente sperimentare una nuova idea di teatro che si è concretizzata anche nella più recente produzione della Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani, l’ex Teatro dell’Angolo, “OM”.
Graziano Melano ha voluto infatti inaugurare la struttura reinventando per la Fondazione un proprio percorso teatrale, dopo la partenza di Nino D’Introna per i lidi francesi, con le certezze di due attori diventati ormai maturi come Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci e un drammaturgo come Remo Rostagno che ha immesso nello spettacolo il suo segno inconfondibile.
Ne è sortito “Om” uno spettacolo, coraggioso, dall’approccio volutamente misterioso che si affida a gesti, a sguardi a soluzioni improvvise e ad un tessuto musicale di notevole suggestione creato da Carlo Pavese ed Antonio Pizzicato, uno spettacolo che nel solco beckettiano ci consegna una porzione di teatro che è metafora del mondo dove l’altra metà del cielo interpretata da Francesca Brizzolara dà spessore e gusto alla vita.
Al centro della scena un’isola di Luce una specie di pianeta misterioso dove tre personaggi si confrontano si rincorrono cercando di dare senso alle loro azioni e da dove vogliono in qualche modo fuggire in un continuo alternarsi di situazioni Non tutta la partitura dei segni è nel medesimo modo accattivante e vi è qualche algidità di troppo nella reiterazione dei gesti, soprattutto nella prima parte, ma il risultato complessivo è intrigante e di notevole intelligenza visiva, un ottimo trampolino di lancio per il proseguimento del cammino artistico del centro torinese nel segno della reinvenzione.

Reinventare è questa la parola d’ordine non solo del teatro ragazzi piemontese ma di tutto il settore,reinventare non solo i modi del raccontare(ci sono evidenti problemi non tanto nella drammaturgia quanto soprattutto nella scrittura scenica)ma anche i modi di produrre e financo quello di stare insieme ed è quello che si deve fare per uscire dalle secche che il momento difficile propone. Ed è oltremodo sintomatico che la giuria della manifestazione non abbia assegnato il premio a nessuna delle creazioni in concorso, decisione condivisibilissima in quanto nessuno degli spettacoli proposti ci ha convinto nella sua totalità ,pur possedendo tutti alcune particolarità interessanti ed è da queste che vogliamo partire.

Guido Castiglia di NonsoloTeatro in “Un maialino tutto nero” dà il suo contributo al tema del bullismo inventando nel suo scattante raccontare un simpatico personaggio, Piggi detto Ciccio Schizzo.Lo spettacolo ha il grande pregio di vivere nel tessuto stesso dell’esperienza dei bambini riportandone gli umori e le incertezze. La stessa cosa succede con ” B come Babar B come Bambino” in cui la grande esperienza di Mariella Fabbris coadiuvata da Ilaria Schettini al pianoforte collima positivamente con la partecipazione dei bambini nel raccontare la celebre storia musicata da Poulenc. Due proposte semplici dove il teatro sfocia nell’animazione ma dove lo spettatore di riferimento si trova completamente a suo agio e non è poco di questi tempi.
“Assemblea Teatro” mette in scena il famoso bestseller di Sepulveda”La Gabbianella e il gatto” ponendo sul palco unicità di grandissimo spessore come gli attori Paola Roman e Pietro del Vecchio e le illustrazioni dal vero di Licio Esposito. Il risultato è un poco sfilacciato e a volte di maniera ma pensiamo che il lavoro sia solo all’inizio e debba essere continuato nella direzione di un racconto meno composito e più partecipato.
“Onda Teatro” in “Nero su Bianco” dal canto suo propone uno spettacolo assai coraggioso che tratta niente meno che il tema della creazione letteraria e lo fa con il suo stile tra racconto danza e visione collaborando non solo con uno scrittore come Andrea Bajani ma anche con un musicista come Ezra e avvalendosi delle animazioni di Gianluca Ciufoli e Irene Ruggero.
Il risultato non ha ancora lo spessore di un'opera completamente riuscita ma offre diversi spunti interessanti e propositivi per i piccoli spettatori. “La Portinaia Apollonia” conferma la vitalità del teatro del Piccione di Genova uno dei nuovi gruppi più interessanti riportandoci con grande sensibilità sulla scena le pagine del libro di Lia Levi vincitore del Premio Andersen ma lo spettacolo non riesce sino in fondo a restituirci tutto il disagio di una situazione come quella presupposta dalla storia. Il personaggio della portinaia,intelligentemente sempre evocato durante lo spettacolo, alla fine non riesce infatti a far lievitare lo sdegno e la pietà da parte dello spettatore per le vittime del nazismo.
Nel complesso positivo pur senza eccessivi slanci di creatività il contributo del Teatro di Figura con la proposta di due classici dell’immaginario infantile: “I Musicanti di Brema” del Melarancio gustosa versione della celebre fiaba dei Fratelli Grimm e” Pierino e il Lupo” da Prokofiev del Dottor Bostik dove Dino Arru rende protagonisti della scena anche gli strumenti in un gioco teatrale convincente.
“Il Gioco del Teatro” ha fatto un’incursione anche nel mondo del circo con due spettacoli “ Caffè Doppio” e” Klinke” per alcuni versi piacevole quest’ultimo nel voler entrare nella drammaturgia con gli elementi della giocoleria con esiti interessanti.

Un discorso a parte meritano i due spettacoli presentati a Torino in qualche modo per adulti che ci hanno pienamente convinto. Beppe Rizzo , che ha trovato in Manfredi Siragusa il suo compagno di lavoro ideale, ed il suo Oltreponte Teatro propongono un'originalissima versione del Faust di Goethe per attori pupazzi e musicisti che racconta tra innocenza e perdizione con l’arma dell’ironia ,spesso coniugata alla passione ,la esemplare vicenda di Faust e del suo tragico patto con Mefistofele.Su un semplicissimo piano scenico i due animatori interagiscono tra di loro, scambiandosi i ruoli, con al centro un umanissimo Faust burattino, costruito da Andrea Rugolo, mentre i musicisti accompagnano l'azione infondendo pathos ai vari momenti della vicenda.La forza dello spettacolo sta nell'estrema semplicità di tutto ciò che lo spettatore vede a cui fa da contraltare un'estrema sapienza dell'uso di tutti gli elementi scenici usati con sobria efficacia.
Di grande interesse anche “La casa di Bernarda Alba” della Piccola Compagnia Magnolia che in coproduzione con il Theatre de l’ Epee de Bois accetta la sfida di mettere in scena un testo così complesso come quello lorchiano Lo spettacolo ricrea perfettamente un mondo senza speranza costruito da sole donne ma dove il maschio aleggia sempre nel desiderio delle 5 figlie (e non solo) della dispotica protagonista.
Un omaggio al teatro di una volta con tutti i birignao del caso, rivitalizzato da una forma assolutamente coerente e geniale di derivazione barocca a cui le sette attrici vestite di nero e inginocchiate come per manifestare la loro disumanità aderiscono, pur con diversa capacità .
Un esempio coraggioso di come la tradizione possa essere coniugata alla ricerca e di come non possiamo permetterci di dimenticare i grandi testi del passato che possono ancora comunicarci brividi di intelligenza e di emozione.
Al Festival poi abbiamo rivisto “Bistouri” del belga Tof Teatro, spettacolo ormai diventato un piccolo cult ,dove l’operazione a “stomaco aperto” del povero lupo di Cappuccetto rosso diventa l’occasione per un gioco raffinatissimo ma nel contempo di divertente popolarità e a cui il teatro ragazzi italiano dovrebbe guardare come riferimento.

MARIO BIANCHI


b>ABBIAMO CHIESTO A SYLVIE VIGORELLI UNA GIOVANE OSSERVATRICE DE 'IL GIOCO DEL TEATRO ' DI PROPORRE A EOLO ALCUNE SUE CONSIDERAZIONI SU ALCUNI DEGLI SPETTACOLI VISTI DURANTE IL FESTIVAL.QUESTO PER PROPORRE UNO SCARTO GENERAZIONALE E UN DIVERSO SGUARDO ALLE RECENSIONI PROPOSTE.


LA PORTINAIA APOLLONIA

Un vivo grazie al Teatro del Piccione che in questo festival riempie la scena di emozioni, - seppure con uno spettacolo che non gira con altrettanta chiara limpidezza dei precedenti e non convince fino in fondo -, con la tensione del coinvolgimento sincero di chi non solo ci tiene a raccontare qualcosa, ma se ne sente in una certa misura coinvolto e partecipe. Va riconosciuto infatti al Teatro del Piccione un grande lavoro creativo che si interroga nell’emozione, nell’immaginario e nel pensiero, e ci restituisce una storia che va oltre alle pagine da cui parte per diventare teatro.
La portinaia Apollonia, liberamente tratto dall’omonimo libro di Lia Levi, racconta le inquietudini, il disagio, le paure, la confusione e le speranze di un bambino di nome Daniel durante la guerra. Il collage di piccole-grandi quotidianità ritagliate tra le righe e le illustrazioni della storia raccontata da Lia Levi (l’assenza del papà, il non andare più a scuola, il gioco con i bambini del palazzo e il credere che la portinaia sia una strega, l’uscire a prendere il pane e aiutare la mamma), costretta in una situazione che ci sorpassa e ci sta seduta sopra con un peso enorme, convive con una lettura della guerra, di tutte le guerre, come una di quelle esperienze che costringe a diventare grandi più in fretta mentre si è ancora bambini, a scoprire e far fronte alle cose che sono diverse da come vorremmo.
La lettura del Piccione non esita a denunciare la follia della violenza, dell’occupazione e del sopruso militare: cancella la divisa nazista per estendere la sua dichiarata accusa a qualsiasi divisa mascheri la stessa inaccettabile e aggiogante follia. E’ più contestabile l’immagine della danza di marionette ubriache, a mio avviso pericolosamente riduttiva e un po’ fuorviante, scelta per questa denuncia, soprattutto perché, nonostante la grande attenzione ad aprire alla generalizzazione, il quadro della storia è la seconda guerra mondiale e la presenza militare sulla scena rimane quella nazista, storica, indubbiamente folle, ma inquietantemente lucida.
Lo spettacolo si compone come di tante finestre, aperte una dopo l’altra, che si rincorrono senza fretta nel movimento delle quinte mobili, dipingendo a tratti figure e persone con brevi dialoghi, quadri e narrato. Uno spettacolo che lascia indovinare più di quel che racconta, giocato molto sulle assenze: quella del padre per prima, le preoccupazioni e i pensieri inespressi della madre, l’ombra dei tedeschi sull’uscita di Daniel a comprare il pane, e infine l’assenza scenica della portinaia Apollonia, forse l’unica di queste che trova forza e spessore in questo gioco di assenze parlanti.
Lascia un po’ perplessi il finale nella cui rapidità il palesarsi dell’umanità di Apollonia che salva Daniel e la sua mamma dal rastrellamento nazista viene tagliato lì, senza che si registri davvero uno svelarsi alla coscienza di Daniel. Segue l’aggiunta di un secondo finale aperto, ma poco parlante, la “finestra” si apre e si chiude sull’immagine della famiglia al completo, di spalle, sull’eco di poche parole sparse di Daniel che ci ritornano dallo spettacolo appena visto, come affidandoci disordinatamente qualcosa di non detto.

Un maialino tutto nero

Un buon tentativo poco riuscito la narrazione di Guido Castiglia che mette in scena una storia di bullismo infantile, tema spinoso da affrontare e abbastanza diffuso nel mondo della scuola. Guido ragazzino ricorda l’amico Piggi, un bambino/maialino vivacemente maldestro, e per questo sempre sporco, in una classe di maialini/bambini – una doppia natura che non pare giustificarsi drammaturgicamente – prima deriso, poi sempre più oggetto di angherie, che diventa progressivamente un bullo, trovando in questo nuovo atteggiamento sprezzante e violento il riconoscimento dei compagni. Ciccio Schizzo (Piggi) diventa così Ciccio la Iena, temuto, evitato e sempre più solo. Alla protesta piatta delle mamme dei compagni segue il primo e unico gesto generoso e attento verso Piggi: la maestra gli fa un regalo. Entra in scena la morale “simbolica e formativa” con un cubo di cubi luminosi e colorati ciascuno legato magicamente alle azioni di Piggi: per ogni azione da bullo un cubo si spegne e va restituito alla maestra (al di là dei cubi luminosi la figura e il gesto della maestra come possibile fondamento per una svolta è forse l’elemento - trascurato- più interessante del lavoro).
I cubi si spengono uno dopo l’altro fino a che Piggi viene sfidato da un bambino/maialino più grande e la sua banda di bulli. Svolta. Di punto in bianco Piggi raduna i compagni, (che fino ad un minuto prima lo rifuggivano terrorizzati), in una banda musicale, chiudendo la sfida e liquidando la sua trasformazione e la problematica stessa del bullismo infantile con trombe e tamburi. I cubi si riaccendono, tentano di brillare come un tesoro regalato da Piggi a Guido insieme alla soluzione musicale miracolosa. Ci si chiede cosa se ne faccia un bambino di questa brillante e inutile soluzione in tasca per affrontare la violenza e l’arroganza quando esiste realmente nel suo mondo bambino... senza parlare poi della degenerazione di questi fenomeni nell’età adolescenziale.
Tanto di cappello quindi per l’impegno, (quale luogo migliore per toccare l’argomento dell’esperienza emotiva intima e comunitaria del teatro?), ma siamo di fronte ad un’occasione forse mancata (soprattutto a fronte del bel lavoro condotto con bambini e insegnanti e i loro contributi raccolti): limitarsi ad esporre in narrazione la tesi adulta del bullismo che ha le sue radici nella solitudine, nella discriminazione e nell’impietoso giudizio degli altri, coronata da un’improbabile soluzione, ci sembra poco coerente. Oppure anziché rivolgerci ai bambini della scuola primaria inseriamo il lavoro in un progetto formativo per gli insegnanti.

La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare

Assemblea Teatro propone una lettura scenica del famoso testo di Sepulveda in una riduzione fedele e letterale, ma fin più edulcorata nell’evitare accuratamente molti dei conflitti, accompagnata da illustrazioni disegnate dal vivo nella sabbia e proiettate sullo schermo, e una serie di aggiunte a mio avviso superflue ingombranti. Le più sconcertanti sono gli interventi del personaggio di Pietro Del Vecchio, completamente estraneo al racconto... una figura che si riduce al travestimento e non si capisce da dove venga, né tantomeno dove voglia arrivare. Anche la scenografia del grande tavolo sorretto da colonnine trasparenti ripiene di acquari, il seggiolone da bar, la brutta pelliccia finta del terzo uomo fisso nell’ombra e inutilmente sul palco non aggiungono nulla di significativo ad interloquire col testo.
Paola Roman ci tiene comunque saldamente legati allo svolgersi della vicenda con una lettura poco emotiva ma ben caratterizzata in tandem con le illustrazioni di Licio Esposito. Senza nulla di eccezionale, la caratterizzazione timbrica e fisionomica dei gatti del porto scandisce il ritmo della vicenda a mo’ di cartone animato, con qualche trovata segnica particolarmente indovinata.

Valentina... molto più in alto delle nuvole

Santibriganti propone l’avventura spaziale sovietica di Valentina Tereshkova con un bel teatro danza con volo di valigie. Il tema, apparentemente poco coinvolgente, celerebbe invece spunti interessanti, anche se ben poco accessibili e per nulla sviluppati, nello scarto profondo che c'è nello spettacolo tra il sogno di un singolo, perseguito con tenacia e passione, e la realtà che lo circonda .
E la realtà in cui si inserisce in questo caso èil progetto di ricerca e partecipazione alla conquista spaziale del regime totalitario sovietico ,pronto a falsificarne pubblicamente i risultati a vantaggio della sua immagine calpestare il singolo individuo fino nei suoi più intimi progetti di vita. Sotto un aspetto più artistico, anche il movimento fluido e la complicità delle due attrici-danzatrici così somiglianti suggerirebbero spunti emotivi significativi sul tema del rapporto con se stessi, della compagnia, della confidenza intima tra corpo, sogno, esperienza e pensiero... ma la magia si rompe nella continua referenzialità ad un fatto storico.
Lo spettacolo rimane nel complesso di difficile interpretazione, soprattutto per i bambini italiani (dagli 8 anni) a cui il nome di Valentina Tereshkova non dice chiaramente nulla. Lo spettacolo, quasi senza parole (una voce fuori campo legge una lettera alla madre e poco altro), con qualche citazione radiofonica disturbata in russo, si risolve quasi interamente nel movimento armonico e affascinante di due corpi sovrapponibili, che dalla scheda di presentazione apprendiamo impersonare Valentina e il suo angelo custode (che si trascina a più riprese come un fardello due pesanti ali che chissà perché non indossa mai).
Una danza che vuole raccontare il sogno di volare e la girandola concitata dei ricordi (le famose valigie volanti) che per tutta una vita ruotano attorno a quest’unica grande avventura del suo storico volo - anche se nello spettacolo sono ben pochi gli elementi che ci aiutano a distinguere il sogno dalla storia e dal ricordo - Immagini già viste per raccontare di un’eroina che sta a cuore ai suoi connazionali come Giovanna d’Arco ai francesi.

Sylvie Vigorelli