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recensioni
ZONA FRANCA' A PARMA
Recensioni a cura di Mario Bianchi, Mafra Gagliardi e SylvieVigorelli

Come sempre ricco di proposte e di stimoli “ Zona Franca”,il Festival di creazioni artistiche per un pubblico giovane, giunto alla quarta edizione, che il Teatro delle Briciole e l’Associazione Micro Macro con il Comune di Parma hanno organizzato a Parma dal 15 al 19 novembre 2006.
Spettacoli italiani in prima nazionale e stranieri, interventi a sorpresa di artisti diversi, tra i quali Antonella Bertoni, Giulio Molnar, Morello Rinaldi e Bernardo Lanzetti , denominati quest’anno “Selvatici incontri”, preceduti dalla finale del Premio Scenario Infanzia di cui relazioniamo a parte, hanno come sempre caratterizzato una manifestazione che rimane centrale nel panorama italiano e non solo, vista la presenza di molti operatori stranieri e finalmente anche di parecchi italiani. Ed è curioso ed emblematico che proprio in questa edizione, in cui è stata data grande rilevanza al futuro, siano stati gli spettacoli dei giovani ad avere convinto di più, dando dunque speranza ad un cambiamento generazionale tanto auspicato nel teatro ragazzi italiano. Molti dei progetti presentati a Scenario reggerebbero infatti facilmente in ogni vetrina o festival, “Il lupo e la Capra” della giovane Compagnia Rodisio è stato lo spettacolo più apprezzato di Zona Franca , Carlo Ottolini si è ancora dimostrato narratore di sicuro avvenire e i ragazzi di “Teatro a pedali”hanno convinto con i loro versione del “Giro del mondo in ottanta giorni”. Molto bene dunque, anche se da parte di compagnie affermate abbiamo visto creazioni non sempre ineccepibili.

Il Festival è stato aperto da uno spettacolo che già nei suoi aspetti produttivi possiede motivi di grande interesse, infatti “SACCO & VANZETTI loro malgrado”, pur essendo presentato da “Oda Teatro” di Foggia , ha racchiuso in sé la collaborazione di alcuni degli artisti pugliesi più interessanti, provenienti da altre compagnie, gli attori Michele Sinisi. Ippolito Chiarello,Angela Iurilli e Christian Di Domenico , il drammaturgo Michele Santeramo, lo scenografo e regista Michelangelo Campanale,la regista Simona Gonella che abitualmente collabora con la compagnia pugliese e Franco Di Ippolito che coordina il progetto, un progetto che dovrebbe essere esempio per tutti i Centri di Innovazione non solo per una piccola compagnia.
“SACCO & VANZETTI loro malgrado”, è uno spettacolo che si pone in modo inequivocabile nel teatro di ispirazione politico sociale, del teatro necessario per capire il nostro tempo attraverso la memoria di quello che è stato, ripensato senza compiacimento e retorica, ed in questo lo spettacolo è pienamente riuscito. Peccato forse che il tentativo nobilissimo di svuotare di facile retorica e di cronaca spicciola il celebre martirio dei due anarchici, alla fine in qualche modo nuoce allo spettacolo che non riesce a trovare una sua dimensione emozionalmente precisa.
E se la vicenda umana e politica di di Sacco e Vanzetti è nel complesso ben delineata, non del tutto convincente ci è sembrato il contraltare del coro dove due personaggi innescano un contraddittorio forse tropppo poco incisivo nel definire contesti ambientali ed emozionali appunto. Lo spettacolo si fa amare anche per l’accurato e significante meccanismo scenografico e la resa perfetta dei due protagonisti, resi umanamente credibili da Michele Sinisi ed Ippolito Chiarello che si innescano comunque in un disegno generale costruito con grande accuratezza, attraverso vari e pregevoli contributi ,da Simona Gonella.

Ancora all’inizio di un percorso che ha bisogno di ulteriore approfondimento, i due spettacoli del Teatro All’Improvviso “Gigi” e”Cents” della compagnia di Roberto Corona
Il personaggio di Gigi Troll è ancora al centro di uno spettacolo del Teatro All’Improvviso, questa volta alla ricerca di una magica medicina. Lo stile ormai codificato di Dario Moretti e Cristina Cazzola ,qui con la collaborazione della danzatrice Bianca Papafava e le coreografie di Giorgio Rossi, con il grande schermo luminoso che si colora dal vivo si sposa con la recitazione e la danza, ma ogni forma va gracilmente un po’per conto suo complice anche l’estrema fragilità della storia che poco consente una costruzione solida del rapporto fra le arti. Ma la sfida è coraggiosa è aperta a nuove avventure.
Roberto Corona con Silvia Briozzo e la regia di Gigi Gherzi propone meritoriamente il tema contemporaneo del mito del denaro attraverso la storia di due fratelli, contrapposti nel vagheggiamento dei soldi e della santità ,che un’inattesa fortuna porterà finalmente e fatalmente allo scontro. Ma dopo un inizio fulminante lo spettacolo ristagna su due binari che faticano molto ad incontrarsi e anche le diverse invenzioni, dove come spesso accade negli spettacoli di Corona gli oggetti interagiscono in modo divertito e divertente con gli attori , paiono ripetitive,anche se lo spettacolo comunque possiede ampi margini di miglioramento.
Ha convinto e strappato sorrisi la curiosa collaborazione tra Carlo Rossi e Marcello Chiarenza con l’insostituibile presenza musicale di scena di Cialdo Cappelli, che hanno reso un loro particolare omaggio a Giufà, emblema dello scemo , suo malgrado sapiente, figura che ha attraversato tutte le culture del mondo e che la letteratura ed il teatro hanno visitato già altre volte con esiti positivi.
La stralunata figura di Rossi con la sua comicità che abbiamo imparato ad apprezzare da diversi anni si muove a suo agio in questo vero e proprio elogio della scemenza con un campionario dell’assurdo ben assecondato dagli oggetti creati da Chiarenza che ha curato anche il testo Si vede che lo spettacolo è ancora all’inizio del suo percorso ma già possiede la grazia delle creazioni leggere e significanti

Al Teatro Kismet di Bari e a Teresa Ludovico non riesce del tutto l’impresa di ripetere con ” La Regina delle Nevi “il notevole risultato seduttivo ottenuto con “ La bella e la bestia”.
Barocco nello stile e negli intendimenti, lo spettacolo si avvale di tutti i grandi mezzi che il teatro possiede dal grande numero degli attori, alle macchine degli effetti speciali che gli consente alcuni momenti scenograficamente ed emozionalmente potenti come l’apparizione della regina o la grande nevicata nel paese dei Lapponi ma la profusione di mezzi non riesce del tutto a coprire una sensazione di inconsistenza soprattutto nella resa dell’impianto narrativo che ti fa amare poco tutti i personaggi che via via si succedono tranne la renna cornuta interpretata con grande ironia da Augusto Masiello. Al di là di queste personali valutazioni è comunque positivo che “La Regina delle Nevi “ ribadisca il fatto che ad uno spettacolo per ragazzi debbano venir concesse tutte le possibilità che il mezzo teatrale può dare per la meraviglia e lo stupore dei bambini, e di questo forse ce ne eravamo scordati.

Resta alla fine delle giornate di Parma nella memoria lo spettacolo di Davide Doro e Manuela Capece, Il Lupo e La capra vera delizia per l’intelligenza e per il cuore. Uno spettacolo leggero ma che possiede dentro di sé tutta la profonditùà della cognizione di come il male sia molto spesso una entità imperscrutabile a cui dobbiamo porre rimedio con l’intelligenza e la tolleranza.

MARIO BIANCHI


Il lupo e la capra / (Compagnia Rodisio) in collaborazione con il Teatro delle Briciole

Storia di due ribelli inconsapevoli e quindi di un’utopia - dice il sottotitolo - chiarendo la chiave dello spettacolo che si ispira al racconto “In una notte di temporale” , del giapponese Y.Kimura, (vincitore in Italia nel ‘99 del Premio Nazionale Libro per l’Ambiente ). Un lupo e una capra, dunque, (lui Davide Doro, lei Manuela Capace), perfetti nell’incarnazione dello stereotipo che vuole il lupo tracotante e vorace, lei timida e vezzosa. Il lupo, quintessenza del nero. Lei, l’apoteosi del candore. Tra i due s’intreccia una schermaglia che ripercorre i paradigmi dell’immaginario collettivo e diffonde piccoli brividi di paura nel pubblico dei più piccoli. Ma accade che tra i tanti racconti che si rifanno ai luoghi comuni, se ne insinui uno diverso: in una notte di temporale, il lupo e la capra cercano rifugio nella stessa capanna, al buio non si riconoscono, e si scoprono più vicini di quanto si possa credere: entrambi vittime della stessa paura, entrambi stimolati a una reciproca curiosità. Si può dunque uscire dallo stereotipo? Esiste la possibilità di aprirsi a una relazione diversa? Questo, lo spettacolo non lo dice, ponendo alla sua conclusione un punto di domanda: saranno gli spettatori a cercare la risposta. Lo spettacolo, arrivato a conclusione di un percorso laboratoriale con bambini dai quattro ai sette anni nelle scuole Materne e Elementari di Parma, è un piccolo gioiello: un testo costruito con grande delicatezza, una scenografia essenziale e suggestiva, tempi teatrali perfetti. E poiché si presta a molteplici livelli di lettura, piace ai bambini e anche agli adulti.


L’amico immaginario /Spettacolo comico-filosofico per tre attori…fuori taglia di Letizia Quintavalla e Bruno Stori - regia di Letizia Quintavalla

Provate a immaginare che una striscia di fumetto improvvisamente si animi davanti ai vostri occhi; che i personaggi di carta acquistino spessore e movimento e le loro battute, uscendo dal balloon, si rivestano di sonorità: e avrete la cifra stilistica di questo Amico immaginario, che è l’ultima opera di Letizia Quintavalla eBruno Stori, regia di Letizia. L’amico immaginario, si sa, è un topos dell’immaginario infantile , sul quale si sono versati fiumi di dotte definizioni e di analisi psicologiche. Niente di tutto questo nello spettacolo: il tema si piega piuttosto a un’operazione ludica che dalla bande dessinée deriva l’icasticità delle battute e la saporosa deformazione caricaturale dei personaggi. Piero, il protagonista ( Piergiorgio Gallicani) è un ragazzino terribile, quanto meno irriverente e non ancora sottomesso ai dettami della buona educazione. Il suo amico immaginario è Caio, un giaguaro (interpretato dal corpulento Claudio Guain) : un semplice peluche quando sono presenti gli adulti, un animale in carne e ossa (“più in carne che in ossa”!), quando diventa l’alter ego di Piero, capace di raccogliere le sue confidenze e di rassicurarlo sulle sue paure. E di ascoltare le sue domande, anche quelle difficili sull’amore e sulla morte: perché l’infanzia di Piero, come tutte le infanzie, sa affrontare interrogativi esistenziali. Lo spettacolo segue il ragazzino con il suo giaguaro per l’arco di una giornata: dal risveglio, alla mattinata di scuola ( esilarante lo scontro con la maestra ), alla colazione, alla relazione con i genitori. Il ritmo è brillante, la recitazione impeccabile: le battute si susseguono serrate come quelle di una pallina in una partita di ping pong. Si ride e si sorride: del rapporto del bambino con il suo amico immaginario e di quel tanto - o poco - di grottesco che c’è al fondo in ciascuno di noi.

>br> Le poids du ciel - Compagnie Trafic de styles - coreografia di Sébastien Lefrançois -

L’ incrocio tra il “nuovo circo”, l’hip hop e “il teatro d’oggetti” crea un mix inedito. Quattro interpreti giovanissimi, tre danzatori e un acrobata, dotati di una energia contagiosa. E una storia che si ispira alla lontana al Barone Rampante, ma dal testo calviniano trae soprattutto la nozione di leggerezza. Leggerissimi, quasi aerei nell’ansia di sottrarsi al “peso del cielo”, i quattro si abbandonano al desiderio del volo, allo slancio nella verticalità.. La scena si popola delle forme primarie della geometria euclidea: sfere e cubi in nitidi contrasti di colore . Giocando con queste forme, i corpi costruiscono labili architetture in equilibrio tra acrobazia e immaginazione. Piccole gags comiche, storie di amicizie e di conflitti , sogni impossibili: tutto raccontato senza parole, affidato esclusivamente alle capacità espressive del corpo. E con questo linguaggio, lo spettacolo entusiasma un pubblico adolescente che all’ingresso si preoccupava :“ Uno spettacolo francese!Chissà come sarà difficile capirlo… ”


Grao de Bico (Cecino) regia di Joao Brites, Compagnia Teatro O Bando

La fiaba popolare non conosce frontiere, ignora la diversità delle lingue. Questo “Cecino” che il portoghese Teatro O Bando ha tratto dalla tradizione orale del folclore portoghese, è fratello gemello del personaggio che compare nella fiaba italiana “Cecino e il bue” nella raccolta di Italo Calvino: un bimbo piccolissimo come un chicco di cece, frutto del desiderio di una coppia senza figli, che la morale sovversiva della fiaba eleva al ruolo di eroe in grado di passare indenne attraverso le più avventurose traversie e di procurare ai poveri genitori grandi ricchezze. A raccontarci la storia di questo Cecino sono i due genitori, che la sapiente regia di Joao Brites colloca in uno spazio ristretto, a diretto contatto con il pubblico dei più piccini (dai tre ai sei anni): lui, il padre, massiccio, baffuto, lei piccola e tonda, entrambi in costumi paesani, sembrano usciti da una stampa popolare ottocentesca. La fiaba viene ripetuta due volte: prima con una semplice narrazione (in italiano), poi attraverso l’utilizzo di una telecamera che, puntata sul corpo dell’attore, lo trasforma nello scenario delle vicissitudini del piccolo Cecino (che non si vede mai come personaggio). Mi chiedo quanto sia utile questa seconda versione: la narrazione orale mi è parsa affascinante ed efficacissima, l’intervento tecnologico forse superfluo.


Antologie du Théatre d’Objet - Théatre de cuisine - scrittura e interpretazione di Cristian Carrignon

Lo spettacolo vuol essere un omaggio a quel “teatro d’oggetti” che - come scrive il marsigliese Carrignon, suo appassionato cultore - esprime una “rivolta contro il potere delle parole e allo stesso tempo contro le convenzioni delle marionette”. L’omaggio prende la forma dell’ antologia: cioè allinea una serie di citazioni di sequenze dai più grandi autori di quest’arte: a partire da Agnès Limbos , e da Jacques Templeraud fino a Alessandro Libertini e a Francesca Bettini. Lo spettacolo ha debuttato il mese scorso a Charleville Mezières, dove il “teatro d’oggetti” ( e il teatro di figura in generale) è di casa e gli artisti che operano nel settore sono molto conosciuti. Meno noti sono al pubblico comune, che quindi non è in grado di cogliere il rapporto tra la citazione dell’originale e la sottolineatura a volte ironica che ne fa Carrignon nella sua Antologia. Se gli specialisti del genere arricciano il naso davanti a queste imitazioni che non hanno la perfezione formale dell’opera originale, il pubblico “generalista” comunque si diverte e apprezza gli assaggi di un’arte -il “teatro d’oggetti” - che ha comunque molto da dire con il suo peculiare linguaggio.

MAFRA GAGLIARDI


IL GIRO NEL MONDO IN 80 GIORNI – TEATRO A PEDALI Il romanzo di Jules Verne prende forma nello spazio teatrale, con una messa in scena curata nei particolari e sospesa in un sapore tra l’officina di un artigiano e una trattoria polverosa. Nella prima scena la voce dell’autore, fuoricampo, comincia a tratteggiare il suo personaggio Phileas Fogg, dando vita e carattere ad un attore “vuoto” con la collaborazione improvvisata di un attore che si scopre coinvolto nel dare vita alle pagine di un romanzo. Da qui, come per gioco, lì dove sono e con quel che c’è, tre attori – Alessandro Calabrese, Matteo Rubagotti e Luca Salata - ripercorrono le avventure de Il giro del mondo in 80 giorni, impersonando Mister Fogg, Passepartout e il Detective Fix, con una vena comica e in qualche modo clownesca, per un’ora divertente di piacevole teatro. Senza grandi riletture o contenuti e motivazioni particolari, lo spettacolo si presenta come un bel lavoro, onesto, godibile e ricco di atmosfere e di gioco teatrale (aiutato dall’accompagnamento musicale dal vivo di Emanuele Barbareschi). I migliori auguri al giovane Teatro a pedali per un percorso di maturazione della loro ricerca in cui far entrare con più spessore pensiero ed emozione.

SYLVIE VIGORELLI