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recensioni
TRA SEGNALI E MAGGIO ALL'INFANZIA
Considerazioni sul teatro ragazzi italiano attraverso gli spettacoli presentati ai due festival di Mario Bianchi,Sylvie Vigorelli e Nicola Viesti

“Segnali e Maggio all'infanzia “,due manifestazioni storiche,si sono succedute, una dopo l'altra nell'arco di una settimana, dal 12 al 18 maggio, con più di trentacinque spettacoli,uno meraviglioso, alcuni belli, diversi interessanti,altri balbettanti, certi imbarazzanti ma nient'altro che come le forme della vita. “Segnali e Maggio all'infanzia” hanno comunque dimostrato che il teatro ragazzi italiano è vivo e vegeto, forse più al sud che al nord., ma che comunque si nutre di forme e contenuti diversi e stimolanti e che esiste soprattutto un mondo in continuo fermento che pensa in modo continuo all'infanzia e al suo immaginario. Il nostro resoconto vuole partire diversamente dalle volte precedenti dalle forme degli spettacoli più riusciti , non dai vari festival, proprio per testimoniare la ricchezza dei linguaggi che popola il mondo del teatro ragazzi italiano.


Iniziamo dalle fiabe ovviamente e da una delle più celebri. “Il gatto con gli stivali” . “Il gatto con gli stivali” è una delle fiabe meno praticate dal teatro ragazzi , forse per la presenza zoomorfa del protagonista assai difficile da praticare in modo convincente. Il teatro Kismet a “Maggio all'infanzia” ne ha presentata una versione molto riuscita e coinvolgente.
Lucia Zotti inossidabile e preziosa presenza storica della compagnia , qui in veste di regista, risolve in modo semplice ed accattivante il problema di un animale parlante in scena , regalando ad un attrice(Deianira Dragone) una maschera ben caratterizzata e ad un 'altra le impersonificazioni simpatiche di tutti gli altri personaggi importanti ( la sempre brava Monica Contini)che ruotano intorno all'unico elemento maschile del gruppo ( Nico Masciullo)che impersona il padrone dell'animale.
Lo spettacolo è inondato del colore assolato del sud ,dove un caseggiato a forma di felino nasconde un mondo brulicante di situazioni che fanno da sfondo alle avventure del povero figlio del mugnaio, diventato ricco per merito del nostro amato felino con gli stivali. Ogni situazione è risolta in modo semplice,gioioso ed essenziale attraverso un gioco teatrale divertente ed efficace.
Più facile,si fa per dire, mettere in scena Pollicino ed infatti sono innumerevoli le versioni di questa celebre fiaba fino a quella storica del trio Casadio Chiarenza Bissaca , a cui si aggiunge oggi quella vista a Pavia interpretata e musicata da Valentino Dragano ,ora sotto le insegne di Kosmocomico teatro .
Dragano da solo in scena la interpreta,la canta ,la suona, impersonando attraverso tutte le varie inflessioni dialettali i vari personaggi della storia che mantengono una caratterizzazione adeguata e coinvolgente. Solo sulla scena ,attorniato da pochi elementi scenografici e numerosi strumenti musicali, l'attore trasporta i bambini in tutti i meandri della fiaba restitendoli efficacemente in modo consono ai piccoli spettatori.
Ma non esistono solo le fiabe tradizionali,le fiabe si possono anche inventare! Rosario Sparno per lo spettacolo “L'acqua e la Noce “ della Compagnia “Le nuvole “ si inventa una storia bizzarra dove una potente maga ,forse la dea della terra che sparge le sue delizie di profumi nel mondo, e la figlia(Luisa Noli e Loredana Piedimonte) vivono su un piccolo scoglio dove piano piano vengono attratte dal mare, impersonato dal danzatore Gennaro De Masco, prima tanto temuto che alla fine le conquisterà. La storia è ben congeniata,solare e divertente con una esilarante e belliissima tiritera iniziale, anche se sono un po troppi i nodi da scegliere e da sciogliere ma lo spettacolo regge perfettamente formando un “distico compiuto” con il precedente “Mondo Rotondo” sul concetto di viaggio della mente e del cuore.
La fiaba è ancora protagonista ma attraverso un'altra e isolita angolazione in “La favolosa vita di H.C.Andersen” di Zaches. Abbiamo già segnalato questo gruppo come uno dei più interessanti della nuova scena italiana, proponendo nello spettacolo visto a Gioia il suo particolare teatro senza parole affidato solamente alla espressività dei corpi deformati da maschere intimamente espressive e al ritmo pacato delle immagini deve fare i conti in questo spettacolo con il pubblico dei ragazzi poco abituati a questa metodologia espressiva.
La vita del grande e inquieto favolista danese è narrata a capitoli, dall'infanzia sino all'arrivo a Copenaghen e alla scelta di fare lo scrittore. Il rapporto con i vari casi della vita solleticano la fantasia di Andersen che ne trae spunto perle sue fiabe ecco dunque che tra personaggi in carne e d'ossa che via via incontra, appaiono soldatini di piombo, ballerine,anatroccoli, vestiti che si muovono, in un caleidoscopio di immagini assai intrigante. Lo spettacolo è suggestivo e raffinato ma a nostro avviso lo sguardo bambino dovrebbe essere maggiormente sollecitato con una drammaturgia più ricca di forti soluzioni narrative .
Le fiabe sono ancora protagoniste attraverso i loro personaggi cattivi in “Mostry”degli Eccentrici Dadarò dove un povero mostro “Mostry” appunto deve fare i conti,lui intrinsecamente buono, con il volere della madre che lo vorrebbe più cattivo. Prova ad impersonarne alcuni ma ovviamente non ci riesce, ed infatti i veri mostri oggi sono altri e l'ultima immagine dello spettacolo ben ne rivela il vero e autentico orrore. Matteo Lanfranchi è molto bravo a rendere la fanciullesca fragilità del protagonista anche se lo spettacolo , del resto ancora alle prime repliche, avrebbe bisogno di una drammaturgia più compatta.

Molti anche gli allestimenti che derivano da testi celebri ed è qui che abbiamo visto lo spettacolo più bello, azzarderemo nel dire,uno dei più convincenti delle ultime stagioni , “I Paladini di Francia”di Koreja , ispirato all'Orlando Furioso dell'Ariosto ma non solo, con la regia di Enzo Toma.,una sorta di miracolo scenico dove tutto funziona benissimo dagli attori,alla drammaturgia, alla resa visiva di grande e accattivante meraviglia.
Tra Ariosto e Pasolini(Che cosa sono le nuvole ?) con uno sguardo ironico e affettuoso all'avanspettacolo, quattro attori, capitanati da Silvia Ricciardelli che riverbera la sua estrema duttilità ainche ai suoi tre giovani compagni (Angela De Gaetano,Carlo Durante e Fabio Tinella), interpretano tutti i personaggi dell'epica carolingia a mo di pupi siciliani in una baracca che sa di incanto, ricostruiti e ricostruita con conturbante ricchezza visiva da Iole Ciliento e Porziana Catalano, usando materiali poveri da pentole a battipanni.
Rinaldo Astolfo Angelica Bradamante attraverso l' intelligente drammaturgia di Francesco Niccolini e la sapientissima regia di Enzo Toma, piena di rimandi di squisita fattura, ritornano in vita ,ognuno diverso dall'altro, a raccontare la loro storia ma in definitiva come accade in Pasolini la storia di tutti noi, immersi in un mondo meraviglioso di cui possiamo solo sfiorare la bellezza.

Pino di Bello con il suo Anfiteatro che in passato ci aveva regalato preziose riduzioni teatrali di vari romanzi da” La guerra dei bottoni” a “L'Isola di Arturo” , questa volta si dedica al romanzo più celebre di Marc Twain “Tom Sawyer” restituendocene intatta l'atmosfera attraverso la narrazione e la caratterizzazione di diversi personaggi tra cui spicca la zia del protagonista interpretata con gusto autoironico da Gianpietro Liga. Ci vorrebbe forse una più asciutta drammaturgia sacrificando qualche episodio ripetitivo ma lo stile narrativo che si muove in una scenografia semplice è convincente e ben realizzato.
Non poteva mancare ovviamente Pinocchio e Maggio all'infanzia ce ne ha regalato uno veramente particolare “Pinocchio a Sud”. Pinocchio a Sud infatti vede all'opera in un progetto coraggioso,visti i tempi di vacche magre, tre compagnie, i burattinai di Burambò , gli attori de la Luna nel letto, gli attori musicisti di Casaarmonica, insieme, per un grande popolato e colorito spettacolo di pupazzi,burattini,trampolieri e musicanti che conferma le doti di regista di Michelangelo Campanale ancora una volta puntualmente fantasioso . La storia è agita in un gigantesco teatrino,quello di Mangiafuoco, dentro il quale si aprono diversi piani scenici dove una comunità di attori reinventa ancora una volta la storia del burattino di legno di Collodi. Il sud è presente con i suoi umori e sapori,con la sua voglia di festa che si esplicita in tutta la sua forza in uno spettacolo di grande e gradevole coinvolgimento.
Curiosa ma non ancora calibrata nelle varie forme con cui è proposta ci è parsa l'ultima coraggiosa creazione di Pandemonium “Cuore di pietra” con cui è narrato un complicato suggestivo racconto dello scrittore Willelm Hauf che vede in scena ancora e finalmente Bignamini, Manzini e Solazzo in uno spettacolo di attori che si svolge su diversi piani narrativi spesso non esplicitati con coerenza dalle connotazioni tradizionali, come si vede ancora e fortunatamente presente nel teatro ragazzi italiano.

Lasciato il campo più prettamente letterario visono state al Sud due produzioni che ci vogliono parlare dell'adolescenza e delle sue misteriose pulsioni.
Per far questo Robert Mc Neer con il suo “La luna nel pozzo” si ispira al Teatro di Shakesperare e più precisamente al “Sogno di una notte di mezza estate”. Pur pregevole sotto diversi aspetti con quattro giovani attori di ottimo livello (Elena Giove,Mirko Trevisan,Paola Calogero,Nico Masciullo) lo spettacolo ci è parsa occasione persa per raccontare in modo convincente il mondo dei giovani attraverso la clownerie. Se infatti i primi venti minuti sono veramente prodigiosi nel raccontare su una trama libera piena di folgoranti invenzioni il mondo contemporaneo attraverso gli occhi di quattro adolescenti con il loro linguaggio ed i loro stilemi , quando lo spettacolo, con un salto drammaturgico, forse non azzardato ma poco coerente nell'impostazione , si sposta su Shakespeare , perde la sua grande originalità, limitandosi ,a tratti anche poco efficacemente ,ad illustrare parte della complicata storia narrata dal grande bardo .
I Tumulti del cuore e non solo, ritornano in altro modo nello spettacolo di Rossana Farinati del Kismet “In Tumulto” , forse non uno spettacolo nel vero senso del termine ma una” visione” in presa diretta della “terra di mezzo”, quell' età tra infanzia ed età adulta dove tre convincenti giovani attori(Ilaria Congialosi,Bruno Sortino,Annabella Tedone) recitano sé stessi. Come si è detto non uno spettacolo perchè manca per ora di una convincente metaforizzazione teatrale ma ottimo per essere proposto direttamente senza orpelli seppur in uno spazio scenico concentrico , semplice ma ben costruito, ai suoi destinatari che si ritrovano perfettamente nei tumulti che l'azione teatrale suggerisce con garbo e immediatezza pur senza le necessarie asperità che il vissuto meriterebbe con un testo quasi sempre alieno da ogni banale caratterizzazione.

La ricerca ,diciamo tout court, nei due festival era presente in ” Uno “ dei romani del Teatro delle Apparizioni gia utore di un convincente “La stanza dei segreti”, anche qui vi è una stanza disseminata di oggetti che un personaggio “Uno “ (Dario Garofalo che con Fabrizio Pallara scrive lo spettacolo)vuole far rivivere con gli occhi di un bambino. Le intenzioni sono evidenti e stimolanti ma le invenzioni disseminate nello spettacolo,alcune di divertente inpatto, sono troppo diluite e alla fine tutto diventa troppo faticoso da vedere e francamente un po noioso.
Lo stile circense tra Clownerie e giocoleria è un altro degli stilemi ovviamente consoni al teatro ragazzi che abbiamo riscontrato in due spettacoli particolari “ Silente” visto a Gioia del Colle e “Ciarlatown” rappresentato nell'ambito di Segnali.In “Silente” di Maccabeteatro e Archelia si narra attraverso il gesto,l'azione muta, la musica, i giochi e gli oggetti , l'incontro scontro tra due esseri umani,forse una storia d'amore. Annalisa Legato ed Espedito Chionna rendono attraverso il gioco della clownerie umanamente credibili i due personaggi In “Ciarlatown” invece sono la giocoleria e la prestigitazione che servono ad un venditore e al suo aiuto musico per imbonire il pubblico all'acquisto di diversi prodotti atti alla risoluzione di ogni problema. Vi è forse qualche didascalismo di troppo ma lo spettacolo è divertente e ben giocato da Claudio Cremonesi e Davide Baldi sotto l'attenta regia di Giorgio Donati. Didascalico e nel complesso divertente, alla Erbamil tanto per intenderci ,anche se senza la straordinaria capacità di sintesi comica della compagnia di Fabio Comana, ci è parso Tre x due, consumare ci consuma di Campo Teatrale creazione incentrata sulla follia del consumismo che contiene ottimi spunti di riflessione giocati non sempre convincentemente dai quattro attori sulla scena.

Drillo di è invece uno spettacolo che sancisce l'incontro tra Silvia Civilla di Terramare Teatro con il regista Gianluigi Gherzi e che racconta la tenera storia d'amore tra una bambina con un cane,Drillo appunto. Su un testo molto bello, fatto di melanconico rimpianto, il rapporto è giocato tra un 'attrice la stessa Civilla e un attore che curiosamente si chiama Antonio Lupo con l'uso della lavagna luminosa. “Drillo” è condotto tra narrazione ed interpretazione con un raffinato uso dei vari registri teatrali,anche se a volte a nostro avviso lo spettacolo predilige troppo i toni concitati rispetto alla melanconia poetica che la storia forse maggiormente meriterebbe.
Per ultimo, ma non ultimo, lasceremo un curiosa messa in scena vista a Vigevano “Bum” dedicato al genio inventivo di Bruno Munari agito dalle tre “animattrici” (Anna Buttarelli Maria Pia Mazza Cristina Quadrio)del gruppo comasco Fata Morgana che in sintonia con il grande “fantasista” imbastiscono uno spettacolo saggio nel più nobile senso del termine che coinvolge, seppur a volte con qualche caduta di ritmo, in modo intelligente e godibilissimo il pubblico di riferimento. Uno spettacolo non da palco come è accaduto al Cagnoni ma che dovrebbe essere agito in stretto rapporto con i bambini. Guidate dal giovane regista Stefano Andreoli, raccontano la vita di Munari, contaminano teatralmente i suoi fantastici oggetti ,imbastiscono storie, riempiendo con la sua creatività un pastiche originale di immediata adesione con lo sguardo bambino .
Dunque dopo questa lunga dissertazione possiamo ben dire che i il teatroragazzi italiano è vivo,ci sono giovani attori di grande livello, la diversità di accenti è forte e convincente,c'è qualche segnale di ricambio generazionale e come più volte abbiamo riscontrato l'anello debole è l'aspetto drammaturgico sul quale andrebbe operata una seria e ragionata considerazione.
Mario Bianchi


CONSIDERAZIONI PERSONALI :IL TEATRO RAGAZZI A SEGNALI

Una premessa.Terminato il festival Segnali anziché scrivere qualche recensione preferisco condividere alcune considerazioni personali, pensieri sparsi, nello spirito di dare un mio contributo alla riflessione in corso sul nostro Teatro Ragazzi, riferendo le mie considerazioni ad osservazioni sugli spettacoli e sperando di non fare così un discorso totalmente astratto. Vorrei anche in questo modo che quelle che sono impressioni e opinioni mie personali non fossero lette come giudizi sui singoli spettacoli che andrò a citare o sul lavoro delle singole compagnie e persone coinvolte. Semplicemente credo sia sano e costruttivo, nel contesto di un ragionamento che vuole abbracciare in qualche modo il nostro settore, essere onesti ed esprimere apprezzamenti e critiche sinceri. Mi scuso fin d’ora con tutti coloro che a Segnali non c’erano e che probabilmente, se non hanno visto gli spettacoli in questione, troveranno queste considerazioni intraducibili.
Uno sguardo generico sui titoli di quest’edizione di Segnali dice di un teatro ragazzi che si vuole per la maggioranza significante in termini di contenuto e di attualità nei temi trattati: eccellente, ma non basta. Credo sia necessario essere molto esigenti quando si propone un contenuto significativo, per vari motivi: occorrono passione sincera, onestà intellettuale, un bagaglio di competenza e di approfondimento “a perdere” e padronanza del linguaggio scelto per comunicarlo (o per lo meno occorre un buon equilibrio tra questi elementi!) Provo ad illustrare questo pensiero in esempi.

Il primo che mi viene in mente è il caso di Mappamondi , che personalmente mi è sembrato deficitario sotto molti aspetti. Con questo vorrei dire a titolo di principio che credo che un contenuto non possa essere un pretesto per una produzione di teatro ragazzi, ma che quando si sceglie di fare uno spettacolo di valore contenutistico, allora il contenuto deve esserne il motore, e anche quando ci rivolgiamo a bambini piccoli, non possiamo mai permetterci la superficialità di una semplificazione che falsa le carte... loro sono bambini, ma noi siamo adulti. Aggiungerei che non possiamo permetterci neppure di sfruttare l’interesse che a priori può suscitare il contenuto di uno spettacolo come pretesto per una deroga in fatto di qualità del prodotto artistico… stiamo parlando di teatro, e il teatro è un’arte, lo credo sinceramente, anzi è molte arti: la clownerie è un’arte, la coreografia e il movimento anche, ecc. , ed è bene che ciascuno maturi la propria. Ci vuole magari più tempo, ma fare come… non è la stessa cosa!
Contraltare nello stesso filone contenutistico mi è parso, per un pubblico di giovani e adulti, Ciarlatown , di cui personalmente ho apprezzato moltissimo l’arte e l’efficacia comunicativa. Credo sia utile notare all’interno di questa riflessione, come lo spettacolo perda presa nella parte finale, proprio quando rimane più messa da parte l’arte, per fare spazio a quel che si ha tanto a cuore di dire. Paradossalmente, in tutta la prima parte dello spettacolo ad esempio, la critica al mercato globale e alla precarietà del lavoro, che punge con umile ma feroce ironia passando per poche indovinate battute, è più efficace della trasformazione del personaggio e del suo discorso più direttamente rivolto ad interpellare il pubblico. Personalmente credo che quando si ha a cuore di comunicare qualcosa, come in questo caso, è importante farlo, ma occorre non aver paura di dire meno per comunicare di più, e più efficacemente, rimanendo fedeli al proprio linguaggio e al proprio campo d’azione.

Un altro esempio, diverso: Beata gioventù, I diritti dei bambini spiegati dalle maschere . Non è difficile accorgersi della sincerità di Carlo Ottolini quando decide di trattare un tema del genere, è sufficiente guardarlo negli occhi. Ma non basta. Lo spettacolo è fragile e poco coinvolgente. Eppure non è il talento d’attore e narratore che manca. Con questo vorrei dire che bisogna essere esigenti tanto da saper riconoscere dove arriviamo noi, dove magari sanno arrivare altri, e dove invece si può arrivare insieme: tante volte molto più lontano…
Ho sentito una fragilità drammaturgica anche in Tre x due, consumare ci consuma , e mi sembra che questo spettacolo offra preziosi spunti di riflessione. Aldilà dello stile recitativo che può piacere o non piacere (io personalmente lo trovo un po’ tanto “urlato”), lo spettacolo rivela una genesi laboratoriale molto interessante, che dà spazio a nodi di verità esperienziale in cui tutti possono riconoscersi immediatamente (penso ad esempio al quadro dedicato al fast food) che hanno il sapore della spontaneità e dell’improvvisazione di gruppo dei laboratori teatrali. L’efficacia comunicativa del coinvolgimento che questo procedimento riesce a creare si brucia nella giustapposizione di quadri più o meno riusciti (riuscitissimo anche il quadro del the) senza una vera struttura drammaturgica che porti a un tutt’uno compiuto (che non significa necessariamente una risoluzione). Personalmente ho trovato il finale “appiccicato lì” senza alcun senso, e non per l’assurdità della città sepolta sotto una neve di dentifricio, ma perché mi è parso una maniera qualsiasi per chiudere lo spettacolo. Tutto il contrario per Cuore di pietra. Tanta scena,tanta storia,tante energie spesso non calibrate....per un risultante che pecca di credibilità.Ripenso a Destinatario sconosciuto sempre di Pandemonium Teatro, lì sì che c’era Cuore di pietra: vero e percepibile. Qui dov’era la sincerità? Non sempre funziona inventare storie per raccontare qualcosa. Credo sia un dono. Quando non funziona ma si sceglie comunque di non affidarsi fedelmente alla letteratura, beh, spesso la realtà e l’esperienza aprono alla metafora molto più dell’invenzione.

Al festival poi, come sempre, ci sono spettacoli che funzionano, come Pollicino , spettacoli che hanno ottime premesse ma anche bisogno di essere rivisti per girare molto meglio di quanto non facciano ora, come Tom Sawyer , e spettacoli su cui mantenere la riserva di giudizio perché hanno bisogno ancora di tempo, lavoro e soprattutto di confronto con il pubblico giusto, come Mostry . La valutazione di questi spettacoli dipende, a mio parere più che per altri, dal gusto, dalle affinità nell’approccio adottato, dal contesto e dalla singola replica. Ci sono poi produzioni senza grandi necessità, come Andersen charlatanz. Per quanto mi riguarda, penso che in un teatro ragazzi che desidera avere valore, non dovrebbe esserci posto per spettacoli senza perché: che sia un perché relazionale, artistico, emotivo o di contenuto, un perché di valore lo deve avere. Personalmente ho visto un equilibrio interessante tra tutti questi “perché” nello studio La quinta stagione (che per la verità ha già molto di uno spettacolo). Mi piace nel teatro ragazzi quando uno spettacolo diventa “occasione per”, quando è potenzialmente propulsore di sinergie. Credo fermamente che il teatro ragazzi non sia, e non debba mai essere, un settore che produce, propone o distribuisce spettacoli confezionati pronti al consumo, ma un settore che produce cultura, ovvero pensiero, relazione, espressione e dialogo, una cultura che chieda di essere vissuta. E’ stato bello vedere Mucche ballerine. Uno spettacolo riuscito, di spessore, efficace. Tanta vita, valori veri, zero “-ismi” vari e nessun’ideologia!

Ultimi pensieri sparsi. Prendiamo Bum (senza neppure entrare nel merito dello spettacolo), ovvero: illustriamo ai bambini Bruno Munari. Perché? Perché invece non li facciamo crescere e giocare con Bruno Munari? Un laboratorio sarebbe di sicuro più incisivo e fecondo. Se un progetto come Bum personalmente non mi interessa, mi turba invece uno spettacolo come Only you. Lo spettacolo, straordinariamente ben fatto, mi lascia addosso un disagio profondo per il puro compiacimento estetico che offre mettendo in scena la violenza fisica come quella psicologica. Di mio, trovo questo compiacimento estetico estremamente pericoloso. Dove vogliamo arrivare proponendolo ai ragazzi? Quali strumenti di lettura gli stiamo offrendo attraverso lo spettacolo stesso per leggere la violenza che stiamo mettendo in scena? In questo caso, a me pare non ne venga offerto nessuno.
Non si tratta di negare la violenza, né tantomeno di evitare ingenuamente di affrontarne l’esistenza e la diffusione. Dal mio punto di vista si tratta della necessità di riconoscerci una responsabilità anche di tipo educativo, soprattutto ogni qual volta andiamo a coinvolgere l’emotività dei ragazzi. Non si tratta di essere moralisti. Si tratta di avere a cuore coloro per cui lavoriamo.
Sylvie Vigorelli


2008 MAGGIO ALL’INFANZIA

Un “Maggio all’infanzia” tutto all’insegna della varietà delle proposte questo appena conclusosi a Gioia del Colle. Una novità è stata la tappa a Brindisi sponsorizzata dal Comune della città e dal Teatro Pubblico Pugliese, segno che una manifestazione dedicata al teatro per i ragazzi comincia qui in Puglia ad essere ambita attirando l’interesse di altre realtà istituzionali. Molto vasto il programma che, al di là del risultato di ogni singolo spettacolo anche per il gran numero di prime nazionali bisognose quindi di adeguato rodaggio, ha offerto non solo un ritratto esauriente del lavoro dei nostri gruppi ma ha toccato anche molteplici tematiche.

Sembra imporsi una riflessione tramite la scena sui problemi dell’adolescenza sfiorata da “Rondini e Pinguini” di Enzo Toma per Thalassia, affrontata con ironia e con esplicito riferimento “classico” al “Sogno” di Shakespeare da Robert McNeer nel suo “Sogno di mezzo”, scandagliata nella sua più intima profondità da Rossana Farinati per il Kismet. “In tumulto, nei moti dell’adolescenza” è un’operazione che rivela un grande impegno e che ha tutto l’aspetto di uno stimolante work in progress. Una fiaba arcinota come quella di Pinocchio consente a Michelangelo Campanale , con la complicità di Burambò, di creare un kolossal per grandi spazi : “Pinocchio a Sud” è una coloratissima e coinvolgente messa in scena che guarda alla tradizione popolare fatta per divertire grandi e piccini. Straordinario i “Paladini di Francia” della ormai rodata coppia costituita dal regista Enzo Toma e dal drammaturgo Francesco Niccolini. Una proposta trasversale che si ispira al mondo pasoliniano e che affonda le sue barocche radici nel “nobile” avanspettacolo italiano, talmente ricca di piani di lettura da affascinare ogni tipo di pubblico, un grande spettacolo targato Koreja.
Molto bello il testo di “Drillo” scritto da Silvia Civilla e messo in scena con troppa veemenza da Gianluigi Gherzi per Terrammare Teatro. La storia del rapporto tra un cane ed una bambina diviene il pretesto per una riflessione affatto banale sull’ amicizia e sulla morte.

Sul versante di opere che rivelano ferrea professionalità , solidissima costruzione e conseguente infallibilità di gradimento sono da annoverare “Il gatto e gli stivali” di Lucia Zotti per il Kismet – ovviamente tratto dalla celebre fiaba - e “L’isola del tesoro ( rock) “ di Simona Gonella che completa per il Cerchio di Gesso la trilogia dedicata alla letteratura inglese dopo “Alice e le meraviglie” e “La leggenda di Peter Pan”. La Gonella firma anche “Le storie di Orso” dedicate al pubblico piccolissimo. “L’acqua e la noce” di Rosario Sparno per le Nuvole di Napoli è un omaggio al Mediterraneo ed ai suoi misteri anche attraverso un’accentuata fisicità mentre strepitosissima si è rivelata “La battaglia dei cuscini” che la Compagnia il Melarancio ha scatenato nelle piazze solleticando gli istinti combattivi di tutti
Nicola Viesti .