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recensioni
VIA PAAL 2009
LE RECENSIONI DI MARIO BIANCHI CON UN INTERVENTO DI FABRIZIO VISCONTI SU 'FRATELLI '

Vivace e molto diversificata la programmazione quest'anno di ViaPaal , lo spettacolo dei bambini , il festival diretto da Adriano Gallina a Gallarate, giunto alla quarta edizione e che si è tenuta dal 18 al 20 giugno 2009 nella cittadina lombarda.
Edizione che oltre alle molte novità conteneva spettacoli esemplari già per altro recensiti come “.H.G.”di Trikster Teatro o “Il Principe Mezzanotte” di Teatro Persona, riedizioni come “Avanti permesso” di Monica Mattioli, produzioni d'annata come “Vita da Timidi” creazione tenera e beffarda, quanto autobiografica di Guido Castiglia,momenti di culto come “Fratelli” di cui parlerà diffusamente Fabrizio Visconti e altro ancora.
Oltre a tutto ciò Via Paal conteneva “Vuoti di memoria”, il primo momento di un percorso teatrale del I corso di Linguaggi e Tecniche per il teatro Ragazzi, promosso dalla Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi , curato da Bruno Stori che è stato lanciato proprio in occasione di Via Paal 2008 dalla tavola rotonda “Quale formazione per il Teatro Ragazzi”. Lo studio, con la drammaturgia e regia a cura di Giulio Molnar e Bruno Stori, messo in scena da Marta Erika Arosio, Virginia Cerqua, Marco Colabraro, Paolo Colombo, Roberto Capaldo, Lorenzo Piccolo, Eleonora Ribis, Damiano Augusto Zigrino, ha dato l'occasione agli otto giovani autori-attori, di misurarsi con successo sul tema dell'oblio davanti ad un pubblico di operatori, attraverso brevi momenti teatrali che mescolavano il pianto al riso .
Ma veniamo a parlare delle novità viste a Gallarate che ci hanno più interessato, cominciando da ” Moon Amour, L'ombra del cuore “di Teatri Soffiati di Trento , spettacolo finalista del Premio Scenario Infanzia 2008 con Soledad Rivas e Klaus Saccardo per la regia di Alessio Kogoj . Lo spettacolo intende raccontare l’innamoramento e la separazione dal punto di vista dei bambini, attraverso un linguaggio leggero, divertente che utilizza anche la gestualità in modo poeticamente significante.
I due protagonisti Marco e Lisa, ora piccoli ora grandi, si misurano con le gioie e i dolori dell'amore. I primi giochi, le prime paure dell'altro sesso, i primi turbamenti, mescolati con arguzia a quelli dell'età adulta, offrono al pubblico dei ragazzi attraverso il teatro coniugato in tutte le sue forme un cospicuo ventaglio di possibilità, intrigante e necessario, su come destreggiarsi con scioltezza in un ambito così contraddittorio e difficile come quello dei primi turbamenti amorosi.
“E luce fu. AC/DC la guerra delle correnti” omaggio a Nikola Tesla di Pandemonim Teatro è uno spettacolo di servizio nell'accezione nobile del termine, che ci illumina nel vero senso della parola sullo scienziato Nikola Tesla, genio misconosciuto, giunto in America da Sarajevo nella seconda parte dell'Ottocento e che ha inventato tra le altre cose, la corrente alternata, il generatore di energia idroelettrica, l’illuminazione a fluorescenza, il motore rotante e la turbina senza pale.
“L'uomo che ha inventato il ventesimo secolo” è narrato in modo semplice e misurato, tra narrazione e rappresentazione da Albino Bignamini con Rosa Galantino e Giuseppe Buonofiglio, in un ambiente curato da Marcello Chiarenza .
Nello spettacolo seguiamo il protagonista sia nei suoi trionfi scientifici, sia nella lunga serie di disastri commerciali, sia nei rapporti contrastati con Edison ,Westinghouse e Marconi. Lo spettacolo alla fine risulta essere un commosso ed affettuoso omaggio a tutti gli sconfitti del mondo, a tutti quelli che hanno passato la loro vita ad inseguire un sogno ma anche il racconto dell’intreccio tra industria, finanza e ricerca scientifica di cui anche noi ben conosciamo i guasti.
Molto intrigante “Due “ dei romani 'La Fiera ' con la drammaturgia scenica diretta da Luciano Colavero con Andrea Pangallo Francesco Villano liberamente ispirato a 'Emigranti ' di Mrozek
In un luogo indefinibile, tra valigie, cartoline e biglietti del treno, due uomini aspettano di partire, molte volte cercano di andarsene e altrettante volte sono interrotti da una misteriosa forza, legata ad un motivo musicale cantato da Mina.
Lo spettacolo risulta essere una vera e propria partitura di gesti, sguardi, parole accennate, segni teatrali che parlano dell'attesa e che vive sulla ripetizione ossessiva dei temi e delle situazioni.
Pensiamo che la parola Emigranti sia fuoviante parlando dello spettacolo, in definitiva i due sono esseri umani. Vivono e attendono. Attendono che un’invisibile forza dia loro il permesso di partire. I due, tra complicità e competizione, affetto e cinismo, debolezza e forza conducono un gioco raffinatissimo sempre in bilico tra il comico e il tragico e viceversa. Ma non sono Estragone e Vladimiro, non portano dentro di sé domande angosciose, è solo il teatro che parla. Forse tutto avrebbe bisogno di più misura ma Andrea Pangallo Francesco Villano conducono con grande abilità di mezzi questa vera e propria maratona di segni poetici.
Uno degli spettacoli di punta del festival è stato “Montedidio” , prima produzione interamente a carico della Fondazione Culturale di Gallarate, creazione tratta dall'omonimo libro di Erri De Luca con la regia di Valentina Maselli, la drammaturgia Sara Mignolli con la supervisione artistica di Luciano Colavero, interpretato da Samuel Salamone, Gabrio Monza, Paola Ferraguto, Gianna Emmanuello.
Il romanzo di De Luca è ambientato a Montedidio,un quartiere di Napoli, dove un ragazzino di tredici anni, solo con il suo boomerang, si ritrova a crescere per diventare uomo, imparando un lavoro, scoprendo l’amore e il dolore. Intorno a lui, Mast’Errico, il falegname presso cui fa il garzone, e Rafaniello, un misterioso calzolaio con un' altrettanto misteriosa gobba arrivato da non sisadove per aggiustare le scarpe ai “puverielli”.
E poi c’è Maria, una ragazzina, insidiata dal padrone di casa, che forte e fragile nello stesso tempo gli insegnerà l'amore. E sono appunto gli incontri dei due ragazzi, interpretati con grande intensità da Paola Ferraguto e Samuel Salamone, a dare il ritmo allo spettacolo, a punteggiarlo di emozioni, dando il senso a tutta la storia, imbevendola di quello sguardo puro ed innocente che contraddistingue per fortuna ancora l'adolescenza, almeno nello spettacolo. I grandi restano volutamente sullo sfondo in uno spettacolo per molti versi coraggioso che, pur alla ricerca ancora al suo debutto di un equlibrio drammaturgico più compatto, tenta con successo di mescolare i toni del realismo sociale con quelli della fiaba per parlare di un età così complessa e contraddittoria come quella che ci fa abbandonare l'infanzia per immergerci in un mondo troppo spesso crudele da cui si può uscire solamente attraverso l'utopia del sogno.

Il momento più emozionante del Festival è stato la visione di Fratelli , lo spettacolo del teatro La Ribalta del 1992 con Antonio Viganò e Michele Fiocchi scritto da loro con Remo Rostagno dall'omonimo libro di Carlo Samonà con la collaborazione drammaturgica di Gigi Gherzi. Abbiamo chiesto a Fabrizio Visconti, giovane regista e drammaturgo della compagnia Eccentrici Dadarò che non aveva ancora visto lo spettacolo di parlarci delle sue sensazioni e delle sue emozioni davanti a questo vero e proprio cult del teatro ragazzi italiano

E' sera. Prima serata. Si entra in teatro. L’appuntamento è di quelli che spingono alcuni a restare ed altri a scappare per la paura di vedere che il tempo passa, che quello che ha segnato le nostre motivazioni a fare il Teatro e a continuare a combattere per difenderlo e per crederci nonostante tutto, nonostante le Regioni, le agibilità e la Gelmini, è stato toccato dagli anni.
Per alcuni meglio conservare un ricordo, per altri meglio ritrovare un album di famiglia, con le foto più care, di quelle che un po’ ti fanno piangere, un po’ ti fanno guardare avanti e dire: beh, siamo passati di là, forse non era tutto sbagliato quello che abbiamo fatto.
Per altri, come per me, che quel passato non l’hanno vissuto e si trovano oggi a tentare di scrivere un presente e un’ipotesi di prospettiva sensata, c’è la netta sensazione di partecipare ad un rituale importante, di consumare uno di quei tanti “ingressi in società” che ogni tanto, inaspettatamente, ti accorgi di compiere, forse solo dopo che sono avvenuti e ripensandoci dici: ecco, è successo.
E così entro in teatro, in quella strana scatola che racchiude tanto delle nostre vite e sento che intorno, in questa serata, c’è molto di tutto questo.
Antonio Viganò, Michele Fiocchi, Remo Rostagno: Fratelli; fratelli loro e fratelli di tutti coloro che, lì presenti, hanno costruito il teatro per i ragazzi e non solo, hanno combattuto per un Teatro per tutti in questi anni e stasera sono ancora una volta lì, a provare a sentirsi un po’ più famiglia, come le famiglie nobiliari di un tempo, che costruivano un’identità per intere comunità, che, con il loro modo di essere famiglia e di porsi obiettivi, influenzavano modi di vivere e dinamiche di società intere.
Allora ecco lampadari di cristallo, alti, bassi, alcuni riposti in casse di legno ed altri ancora sospesi, che non accettano ancora di traslocare, di lasciare spazio al fallimento di una dignità e di un sogno per i quali tanto si è combattuto, per i quali si è data tutta la propria vita.
L’alto e il basso, il sogno e la realtà, lo spirito e la materia a combattere ancora, ed in mezzo a loro il tempo ad arbitrare la battaglia. Un abito che non si può toccare, un fallimento che non si può accettare, o forse solo la scelta dell’egoismo e di sé stessi invece che di un sé più largo, ai quali non ci si vuole piegare.
Cosa è giusto e cosa è sbagliato? C’è in questo spettacolo, come in tutto il grande teatro, solo la battaglia ed il chiaro racconto della lotta tra gli opposti, l’uomo in mezzo, tra i suoi limiti, che non sa come consumare la propria vita, perché la verità non ci appartiene e tutto, sempre, è meravigliosamente mescolato.
Si sogna, si sogna che un giorno potremo andare via da questa malattia del non sapere, che un giorno potremo metter via tutto ed essere felici: forse le casse sono pronte anche per questo, ad archiviare questa insanabile incapacità di trasformare il sogno nella realtà, di far coincidere l’amore con la felicità.
E invece ci si trova sempre a scegliere, o uno o l’altro, o il sacrificio per un fratello amato o la propria vita, libera di camminare alta, verso orizzonti lontani di felicità, alla luce del sole, via da quel tripudio accecante di lampadine e cristallo. E poi l’abbraccio di un fratello, e la sua testa che si china fino alla pancia a cercare casa, solo casa, non la felicità, solo casa. Ed un pugno che si alza per colpirlo: maledetto amore che mi tiene qui!
E poi però si abbassa, perché non sa vincere su quella testa di fratello china a consumare il rito della nostra imperfezione fino all’ultimo sacrificio, crudele fino alla morte finale nell’imporlo. Perché l’amore a volte sa essere più crudele della vita. E allora il pugno si abbassa, non si consuma l’atto della libertà e si corre in tutta disperazione verso il mondo del sogno.
Pinocchio cerca una carezza da babbo Geppetto e quando la trova si scioglie come un sole di cera e il burattino diventa uomo e diventa bellissimo. Forse possiamo ancora farcela a mettere tutto insieme, forse tutti questi anni che ti ho regalato serviranno a qualcosa, forse l’amore può ancora fare il miracolo e trasformare il burattino in bambino, forse la felicità non è ancora perduta!
E allora si riprova. Ma si fallisce.
Ti ho regalato i migliori anni della mia vita e per che cosa? Casse piene di tempo, di rinunce, di possibilità non colte, di ricordi che non contano più nulla per che cosa? Ora basta! Non siamo più fratelli ,ora quel vestito te lo metti, buona avventura con la realtà. Basta credere ai sogni, basta credere nella forza di una carezza. Pinocchio non si scioglie al calore di una carezza come un sole di cera. Non esistono le fiabe! Addio, ora vado e cerco quegli orizzonti che vedevamo da in cima alla scogliera. Ognuno per sé. Non sarà casa, non sarà amore, ma sarà la vita, la mia vita!
E invece ancora nulla, perchè la nostra natura ci vince, e se siamo anime amanti non possiamo praticamente nulla, siamo noi a scioglierci al sole di questo amore che vince. Allora metti via quel vestito, restiamo qui e riproviamo, maledetto tu e l’amore! Ma i corpi sono sempre più stanchi, il tempo è passato, ci si sente ormai vecchi.
Si prende in mano tutta la propria vita e sta tutta in un pugno, in quello stesso pugno non dato. Casa, vince casa!
E non c’è più forza per riprovare, ma solo per salire su quella scogliera dalla quale guardare la vita che avrebbe potuto essere, la felicità che avrebbe potuto venire e.. tuffarsi.
Si respira un attimo, si applaude, ci si domanda se Pinocchio diventerà mai bambino nella realtà, se il nostro rito collettivo di chiuderci nelle sale a raccontare non accompagni a quel salto dalla scogliera.
E, se sarà così, ci domandiamo se non sia già molto di più di una vita passata a correre verso il vento, se aver scelto una casa non sia già molto, se trovare che noi siamo quella casa non sia già trovare noi stessi, se non sia già la felicità. Forse dovremmo chiederlo a quei due corpi che giacciono a terra mentre si spengono le luci: noi e loro Fratelli?