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Eolo
recensioni
MAGGIO ALL'INFANZIA
Le recensioni di Mario Bianchi,Cira Santoro,Nicola Viesti con un omaggio a Romanzo d'infanzia di Tonio De Nitto

Il festival “Maggio all’Infanzia”, trasmigrato tre anni fa da Gioia del Colle, è tornato dal 19 al 22 maggio a Bari ( con due piccole puntate ad Adelfia e a Bitonto) con oltre quaranta appuntamenti fra spettacoli e iniziative di piazza dedicate al meglio del “teatro ragazzi” italiano e arricchite da eventi paralleli in diversi spazi della città.La lodevolissima iniziativa del Teatro Kismet, sostenuta dall’assessorato alle Culture e al Marketing del comune di Bari e dall’assessorato alla Cultura e al Turismo della regione Puglia, con il contributo del Teatro Pubblico Pugliese, diretta da Cecilia Cangelli, ha come sempre visto alternarsi davanti alle tante famiglie baresi e ai numerosi organizzatori giunti da tutta l'Italia proposte teatrali di diversi generi e forme, dal teatro di figura al teatro d'attore, dalla performance all'evento di strada.
Tra le numerose proposte presentate abbiamo anche visto il debutto alla regia di Mariaantonietta Mennuni in una curiosa ma irrisolta versione della celebre fiaba de “I Musicanti di Brema”, coproduzione del Cerchio di Gesso e Teatro dei Cipis , lo spettacolo di Paolo Comentale”Passamare” che ci fa' però rimpiangere il suo storico Polcinella e la nuova “sovrabbondante” di segni e stili creazione di Teatro-danza di Menhir in coproduzione questa volta con Res Extensa. Il palco del Teatro Piccinni tra le altre iniziative è stato animato nell'ultima giornata del festival da due appuntamenti di grande interesse, il primo, la mattina, in collaborazione con Puglia Sounds, lo spettacolo concerto “Il gigante egoista”, curato dall’associazione MusicaInGioco, con i bambini partecipanti al progetto musicale ispirato a “El sistema” del maestro Abreu che in Venezuela ha cambiato l'esistenza di migliaia di bambini.
Una giovanissima orchestra, preparata dai docenti del conservatorio e guidata da Andrea Gargiulo ha musicato il racconto “Il gigante egoista” di Oscar Wilde, letto e animato da Teresa Ludovico. Il secondo di sera, sempre al Piccinni, dove è stato proposto uno dei più acclamati spettacoli di teatro ragazzi degli ultimi anni “Romanzo d’infanzia” di Abbondanza/Bertoni, memorabile creazione di teatro danza .Il Festival che ha presentato dopo Torino il vincitore del Premio Scenario Infanzia “Hansel e Grethel” è stato inaugurato con “Voci di vento” l'intenso e commosso omaggio dedicato da Annalisa Legato e Chiara Liuzzi a tutti i bambini morti nei campi di concentramento.

Edizione forse non folgorante come quella dell'anno scorso ma piena di suggestioni e forme teatrali molto diversificate,che conferma,se ancora ce ne fosse bisogno,la vitalità del teatro pugliese dove gli attori delle varie compagnie si mescolano tra loro per sperimentare, dove si intrecciano lingue e linguaggi dove la ricerca di innovazione è sempre viva e costante, un esempio per tutto il teatro-ragazzi e non solo.

Daniele Lasorsa e Bruno Soriato in “La creazione delle storie”, progetto semifinalista del premio Scenario Infanzia, portano per mano i piccoli spettatori sino ai primordi del mondo per raccontarne le origini.
Ecco Dio che crea il cielo, la terra, gli animali, ma quello che interessa soprattutto al generatore di cotante meraviglie è la sua creatura più preziosa, l'uomo, l'uomo che con la possibilità della parola può rompere il silenzio e la solitudine che lo avvolge ma soprattutto gli concede la possibilità di tramandare tutte le imprese meravigliose che ha compiuto e quelle che da esse verrano generate, Ed è infatti così che la parola solo allora potrà prorompere nel grande pentolone delle Storie che egli stesso ha preparato.
Utilizzando una cornice che rimanda al vecchio mondo contadino, dove si soleva narrare le storie intorno al fuoco, i due giovani interpreti, intersecando i loro corpi alle parole di dialetti e lingue diversi con le molteplici modalità gestuali che la narrazione possiede, ci restituiscono efficacemente.il sapore di storie antiche dove ancora una volta il racconto si fa teatro diventando fonte di meraviglie per i cuccioli d'uomo.

E' assai raro che il teatro- ragazzi ritorni sui suoi spettacoli per rammendare ciò che all'inizio era sfilacciato in troppi rivoli, non riuscendo quindi a realizzare compiutamente ciò che si prefiggeva. Monica Contini e Lucia Zotti del Kismet, dopo lo zoppicante esordio dell'anno scorso del loro Viaggio di Arjun, ce ne hanno regalato in questa edizione del Maggio una nuova versione molto più equlibrara ed intrigante.
Ritornando ai moduli assai consoni alle due interpreti che mescolano la lezione brechtiana con i meccanismi del teatro orientale, lo spettacolo si configura come un viaggio di formazione dove Arjun, il ragazzo protagonista della storia narrata, diventa adulto..L''eroe è infatti un adolescente coraggioso che aiuterà il padre cantastorie a sconfiggere il principe Silente crudele e potente signore della città, Arjun sarà capace di affrontare e risolvere, con intelligenza e coraggio, situazioni molto difficili, ricongiungendo la famiglia e riconquistando la serenità personale.
Le due interpreti trasmigrando da un personaggio all'altro, utilizzando pochissimi elementi per il camuffamento se non la propria grande capacità interpretativa e l'incanto di diversi strumenti musicali di rara suggestione, riescono adeguatamente a narrare una storia senza tempo, vista attraverso gli occhi puri dell'adolescenza.

Non è un caso che due tra gli spettacoli più significativi del festival parlino ancora una volta, seppur in modo assai differente, di scuola e delle regole della democrazia . Abbiamo detto spettacoli di diversa natura, due esempi assai diversicati tra loro che però ci riconducono ad un teatro nobile e qui veramente necessario per i tempi bui che stiamo attraversando.
Di scuola dicevamo ma non solo ci parla il progetto “Lezione di classe” con Gigi Gherzi e Silvia Civilla ideato e diretto da Gigi Gherzi, prodotto Terrammare Teatro , che prosegue dopo “La Strada di Pacha” il percorso del regista milanese per una nuova idea di pubblico cosciente e teatralmente ed umanamente condiviso.
Per parlare di scuola, ma non solo, perchè, come si sa ,da essa discendono molti principi fondanti della nostra società, i due attori, come veri e propri insegnanti, conducono il pubblico in due classi di scuola distinte, sarà li che gli spettatori rivivranno i riti e i meccanismi primordiali del conoscere ( appelli, interrogazioni, esercizi di memoria, dettati alla lavagna, temi) ritornando forse bambini ma dovendo gioco forza, attraverso la condivisione di storie, aneddoti, di parole di scrittori, riflessioni condivise, ricordi emozioni,. riposizionare i loro concetti di scuola, educazione, apprendimento.
Il teatro così senza che quasi gli spettatori se ne accorgano diventa “occasione d'incontro e rito di civiltà, stimolando le reazioni, spingendoli alla scrittura e alla parola, ne valorizza i pensieri e le emozioni.”li spinge a ricordare le proprie radici e i propri maestri di vita.
Al centro di ogni discorso viene posto il somaro con tutte le sue problematiche, non per giustificarlo, si intende, ma perchè forse lo siamo tutti un po somari, perchè ognuno di noi ha le sue competenze, i suoi tempi, le sue esigenze, perchè ognuno di noi ha bisogno di maturare per dare i suoi frutti migliori.
L'altro spettacolo nobile è stato “ La repubblica dei bambini” il secondo progetto di teatro ragazzi che il Teatro delle Briciole ha affidato ad un giovane gruppo della ricerca italiana, in questo caso il Teatro Sotterraneo, convinto dell’importanza che il teatro per l'infanzia debba confrontarsi con esperienze teatrali differenti rispetto all’universo tradizionalmente definito come tale. La prima creazione di questo progetto, a cura di Babilonia Teatri, è stata “ Baby don’t cry” che aveva come tema il pianto. Qui invece si parla di un tema caro alle Briciole, di democrazia, di definire la Polis.
All'inizio la scena è uno spazio vuoto da reinventare, i due attori che lo debbono fare si trovano subito in difficoltà, quali confini dare al territorio in cui devono agire, quali le regole a cui devono sottostare perchè la libertà di uno non vada a cozzare con le esigenze dell'altro?
Tutti i tentativi che fanno per dare un senso a queste domande vanno a vuoto, sarà dunque il pubblico dei bambini, per una volta protagonisti di decisioni più grandi di loro, a cercare di dare risposte a queste domande attraverso stimoli diversi, sollecitazioni che di volta in volta i due attori propongono alla loro attenzione
Lo stile del Teatro Sotterraneo che abbiamo cominciato ad amare da tempo, tutto intriso di ironia purificatrice e di interattività, dove l'icona del cellulare fa anche qui mostra di sé, induce i bambini a scegliere i confini, le regole, la forma di governo, chi li dovrà governare, le modalità di lotta da intraprendere contro chi se ne approfitta, accorgendosi loro malgrado che la democrazia, almeno quella che conosciamo, è imperfetta ma che dobbiamo metterci di impegno a sperimentare nuove occasioni di condivisione per vivere più serenamente nella la comunità in cui viviamo.

E se abbiamo parlato di teatro necessario, con una parola ormai abusata, cosa c'è di più necessario della spettacolo visto ad Adelfia “Di questo sogno che chiamiamo vita”, il lavoro nato all’interno del carcere minorile “N.Fornelli” di Bari, con l’ormai ex detenuto Ignazio Dimastropasqua, diretto da Lello Tedeschi per il Kismet.
Necessario per Ignazio che lo fa mettendoci dentro tutto se stesso, necessario per noi che lo vediamoil teatro e che soprattutto lo facciamo perchè qui ne sperimentiamo il pregio più evidente. Ignazio, ex detenuto, che se te lo vedi vicino così indifeso e minuto non gli daresti un soldo di cacio, e che invece sulla scena è un portento,te lo vedi perfino, più grande, un gigante, forse perchè Ignazio finalmente può parlare di sé stesso agli altri, forse perchè dentro di sè ha un fuoco grande che vuole distruggere il ghiaccio degli incubi di una vita sbagliata, un fuoco che forse solo il teatro ti può trasmettere. Balla Ignazio, si appoggia al muro sotto una spada crocefisso che ad un certo punto brandisce contro un altro se stesso invitando gli spettatori a partecipare al suo sogno che il teatro ha trasformato in realtà.

Altri due spettacoli visti a Bari possono in qualche modo possono essere accomunati “Sogno di una notte di mezza estate” di Tonio De Nitto per la compagnia Factory Transadriatica e “Cuore, Come un tamburo nella notte” di Roberto Corradino perchè ambedue diretti da giovani registi pugliesi e ambedue rappresentati da una formazione di attori poco convenzionali. Più facile certo il compito da Tonio De Nitto che, avendo a disposizione tale assunto drammaturgico, può giocare facilmente nella trama collaudatissima del bardo inglese, restituendocene una versione pop godibilissima dove ogni tipo di pubblico può entrarci ma soprattutto si diverte in una babele di lingue e linguaggi.
De Nitto, dopo un’attività ultradecennale con Koreja, assistente alla regia nell’allestimento dell’Otello di Arturo Cirillo, è qui infatti impegnato nella direzione di una factory di attori italiani (di cui tre pugliesi), serbi, croati e montenegrini.Tra passato e presente, personaggi che diventano cartoons, Rita Pavone, travestimenti e pubblico sulla scena, gli incantesimi del più famoso e visitato bosco scespiriano si materializzano sul palco.
Iimporta poco se gli attori e le soluzioni non sono tutti dello stello livello, importa che in ogni momento si percepisce nitido il piacere di giocare con il teatro che si coniuga perfettamente con il gioco di Puch di mescolare destini e sentimenti, dove l'amore, forse e diciamo forse, potrà ritornare a ricomporsi.
Diverso il discorso per Roberto Corradino che ha sì a disposizione un testo conosciutissimo ma poi totalmente ignoto alle nuove generazioni e poi poi, come si sa, al giovane regista, che si è sempre misurato con se stesso, piace giocare con il senso di quello che fa, distrutturandolo ogni volta, per riconsegnarcelo diverso e capovolto. Ed è appunto così che anche qui si comporta, proponendo alle nuove generazioni, appunto, un testo a loro sconosciuto, per di più, spesso, diciamo così, ampolloso e retorico. E tutto ciò lo fa avendo a disposizione cinque giovani convicenti interpreti ed uno stuolo di volonerosi comprimari.
Gli spettatori, avvisati opportunamente da didascalie luminose, ripercorrono alcuni momenti salienti del libro: Garrone, Dagli Appennini alle Ande, La piccola vedetta lombarda, Lo scrivano fiorentino, Il tamburino sardo.
Ne è venuto fuori un ora e mezza di immagini, in cui i capitoli scelti del libro vengono ribaltati in un marasma continuo di immagini,voci, spesso confuse ma portatrici sempre di un disagio che ci dice come il nostro paese che doveva essere “fatto” ancora non lo è.
Ci sono almeno due momenti di grande teatro, il racconto del “tamburino sardo” con quella processione funebre di morti consegnati ad una patria matrigna ed il racconto all'inverso dell'adolescente peruviano venuto oggi,ovviamente, a Genova alla ricerca della madre, recitato da una voce bambina in corpo di uomo.
Forse, a nostro modo di vedere, la nuova chiave di un lavoro rischiosamente coraggioso, già per molti versi interessante e pieno di molte suggestioni, è un'ulteriore ricomposizione di un effluvio immaginativo senz'altro intrigante ma che ha ancora bisogno di meglio individuare alcuni suoi fuochi centrali.

MARIO BIANCHI


Le Nuvole/Teatro Mercadante
L'AVARO

Il progetto è straordinario : un teatro stabile, il Mercadante di Napoli, invita gruppi storici del teatro ragazzi napoletano a creare spettacoli ispirati ai grandi classici che vengono programmati nella sala grande. Le nuove opere vengono replicate in contemporanea nel ridotto e così mentre papà e mamma si gustano i loro testi preferiti i più piccoli fanno altrettanto. Poi ci si potrà scambiare opinioni e tentare, perché no, di invertire i ruoli. Sembra che il successo sia stato grande e se la qualità degli adattamenti è come quella dell'”Avaro” - tratto da Molière da Rosario Sparno per Le Nuvole visto al “Maggio all'infanzia”- non c'è da stupirsi.
Sparno elabora una nuova drammaturgia con grande intelligenza individuando nella liaison amorosa tra la figlia di Arpagone, Elisa, e il valletto Valerio la chiave di volta per accedere al mondo adolescente – o anche infantile – svelando sentimenti immediatamente percepibili che si scontrano irrimediabilmente con la figura dell'avaro che, con vero colpo di genio, cambia sesso e diventa una madre taccagna e rancorosa magnificamente interpretata da Nunzia Schiano.
Così il divertimento è assicurato ma anche la possibilità di aprirsi a problematiche più profonde che sapientemente il regista riesce a veicolare con mezzi tutti teatrali come un ritmo sostenuto e avvincente e efficaci chiaroscuro che servono a portare l'azione a sfiorare il contemporaneo. Il resto lo fa un cast – con la Schiano anche Stefano Ferraro e Loredana Piedimonte – che sta al gioco con una leggerezza che svela anche un non comune rigore. Una proposta assolutamente per tutti.

Crest
CENEPENTOLA

Diciamolo subito : ci si alza dal proprio posto dopo aver visto questa “Cenepentola”, che il Crest ha affidato a Gaetano Colella alla sua prima regia per il teatro ragazzi, con una grande consolazione nel cuore. Con la speranza che per tutti – ma proprio tutti – ci sia qualche principe – anche se imbranato, ma sempre principe – pronto ad innamorarsi follemente e senza chiederti nemmeno una dieta o qualche lifting miracoloso.
Così mentre i piccoli si divertono, noi adulti abbiamo un moto di fiducia, se non in noi stessi, almeno nel fato benigno. Perché Cenepentola è una bella ragazza cicciotella che, dopo aver perso la madre, deve combattere contro due sorellastre perennemente urlanti consolandosi ingozzandosi di cibo.
Arriva il bando per la festa a palazzo e la nostra, come fiaba vuole, crede di trasformarsi in una bellezza esotica mentre invece arriva al ballo così com'era e qui incontra un principe pieno di insicurezze che cade, comunque, estasiato ai suoi piedi. Il resto rispetta il copione originale sino al lieto fine con matrimonio incorporato e stizza e punizione delle sorelle cattive.
L'idea è molto bella e i piccini sembrano apprezzare uno spettacolo con qualche scompenso che sarà possibile, forse, mitigare durante le repliche. Interpretazioni un po' sopra le righe, qualche spunto che resta in sospeso e che potrebbe ben svilupparsi come l'albero magico che una volta abbattuto non si sa più che fine fa, una scenografia mastodontica che sottrae ritmo all'azione.
Insomma una Cenepentola che, date le premesse, poteva essere leggermente più problematica e meno “facile”, ma forse è un giudizio troppo da “adulti” e saggezza vorrebbe porre ascolto ai ragazzi e tener conto dei loro commenti.

Teatro delle Apparizioni
PINOCCHIO

Non è semplice dire cose nuove con una favola come il “Pinocchio” di Collodi ma Jöel Pommerat riesce a riscrivere il grande racconto di Collodi con una originalità e uno struggimento che emozionano e disorientano. Un burattino immerso nella confusione dei nostri giorni, una giovinezza che si aggrappa testardamente alla vita e che riesce infine ad accettarne la spietatezza ma anche l'ineluttabilità.
Pinocchio si trasforma in ragazzo ma il lungo percorso iniziatico porta infine ad una consapevolezza che è dolore e lucida visione : eccolo infatti salutare Geppetto finalmente ritrovato perché i figli non possono essere come i padri li vogliono ma devono trovare la propria strada anche a costo di sacrificare affetti. Bisogna affrontare l'esistenza da soli assumendosi la responsabilità anche di fallire. Pommerat in Francia ha diretto il suo testo con dovizia di mezzi in una edizione di straordinaria e severa spettacolarità.
Ora, nel nostro paese, tocca al Teatro della Apparizioni affrontare il non semplice compito ma il lavoro alla regia di Fabrizio Pallara e dei suoi compagni in palcoscenico è notevolissimo. Anzi possiamo affermare che Pallara firma forse il suo spettacolo più maturo e nervosamente affascinante, una messa in scena che riesce a scavare nel testo fornendolo di una potenza visionaria di assoluto fascino e coinvolgimento.
Nel bianco della scena si muove un Pinocchio sperduto nel suo essere aggressivo ma nello stesso tempo disarmato, preda dell'ombra e di un mistero più grande di lui, maschera tra maschere che paiono girare intorno nel vortice di un carnevale che esplode e poi si raggela, come accade in qualsiasi esistenza preda della sofferenza e di barlumi di felicità. Un esito bellissimo, uno spettacolo da vedere e rivedere.

Annabella Tedone
AI MIEI TEMPI

Il rapporto tra una nipote e un nonno, il filo della memoria che è quello dei sentimenti si dipana sorvolando il tempo, lo scavalca, ne fa un'unica linea circolare dove possono incontrarsi due voci, una ormai lontana l'altra qui e ora. Una che è eco di saggezza, l'altra che ha bisogno di parole per conoscere se stessa, sentirsi. In uno spazio delimitato da tante scarpe l'assunto quasi proustiano della drammaturgia si svolge secondo ritmi cadenzati da moti di insicurezza che portano la protagonista a nascondersi in una grande scatola di cartone.
Il racconto di due vite si misura sulla ricerca di un senso, proprio quello del tempo, e arriva alla conclusione che il Tempo, con la maiuscola, “è quel che c'è dentro”. “Ai miei tempi” di Annabella Tedone è una lieve e pensierosa riflessione che, per paura di farsi troppo seriosa, gioca con pochi elementi sfiorando il profondo e preferendo affidarsi a parchi gesti, a moti improvvisi, ad una altalena su cui adagiare due paia di scarpe, quasi due fantasmi gentili volessero lasciarsi andare al vento, alla spensieratezza.
Lo spettacolo è come appare l'attrice, carina, accattivante nelle incertezze, con un che di furbizia che a volte viene fuori, e non guasta. Tutto forse troppo corretto, troppo buono, privo di contrasti ed allora ci viene voglia di vederla impegnata in un “Ai miei tempi” in cui possa scatenarsi ad interpretare le cattive, le streghe delle favole più terribili, belle fuori ma tremende dentro. A volte il teatro nasce dalle contrapposizioni, dal fare violenza a se stessi – come interpreti ovviamente – e qualcosa ci dice che la giovane attrice avrebbe tutte le carte in regola, e il talento, per farlo.
NICOLA VIESTI


IL TEATRO DI FIGURA AL MAGGIO

Molto nutrita la presenza del teatro di figura al Maggio all’Infanzia 2011, segno forse di un rinato interesse per questo linguaggio che ha messo al centro del Festival l’artigianato teatrale, il saper costruire e dare anima a pezzi di legno e oggetti quotidiani, a pupazzi e sagome fino alla più ostica plastica da riciclo, difficilissima da trattare e da trasformare in oggetto poetico. Questi i materiali visti e utilizzati dalle compagnie, con delle punte di perfezione da far pensare che nessuna “nuova tecnologia” potrà mai sostituire la poesia della materia che si anima nelle mani di un burattinaio.
Lo spettacolo di teatro di figura più apprezzato del Festival è sicuramente stato Secondo Pinocchio della Compagnia Burambò, che ha presentato un burattino così credibile e ricco di sfumature da sembrare vivo. Secondo Pinocchio è uno spettacolo raffinatissimo, tutto costruito sul doppio: se da una parte il rapporto tra burattinaio e burattino è non solo svelato ma anche rivelato come relazione tra creatore e creatura, dall’altra il burattino si guarda da fuori, si commenta, si narra e mette a disposizione tutte le sue doti istrioniche per autoassolversi, per raccontare i suoi incubi e le sue visioni, per reclamare attenzione ed empatia col pubblico. E lo fa con la furbizia di cui solo lui è capace, come quando prova la scena in cui è costretto a fare il cane legato alla catena.
I suoi creatori Daria Paoletta e Raffaele Scarimbolo quella scena l’hanno tagliata, ma lui sa che quello è uno dei momenti più strazianti della sua storia che gli permetterà di conquistare fino in fondo gli spettatori già inteneriti dalla sua innocenza birichina. Gli episodi del libro sono narrati con leggerezza e con trovate che solo la testa di un burattino potrebbe immaginare, come gli scarponi con gli occhi: con i gambetti abbassati sembrano tanti somarelli tutti uguali. Bellissimo il finale. Il burattino sparisce e il bambino Pinocchio è tra i piccoli spettatori. Chi di loro sarà? Il burattinaio/mangiafuoco conosce bene il particolare battito del cuore di quel bambino, molto vicino al rumore di una sega che taglia il legno. Ecco … forse laggiù in platea sentirà quel battito e Pinocchio, incorreggibile burattino – bambino sempre in fuga, tornerà nella baracca, la sua vera casa.

Sempre di Burambò, questa volta in coproduzione con La luna nel pozzo, va segnalato L’Isola, ispirato alla Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica che si è formata nel Pacifico a causa delle correnti vorticose che raccolgono in un unico punto la spazzatura galleggiante. C’è ancora molto mistero intorno a quest’isola che pare sia grande come la penisola iberica, e lo spettacolo di Daria Paoletta e Pia Wachter con le musiche dal vivo del bravissimo Mirko Lodedo, ovviamente suonate su inventivi strumenti di plastica, parte proprio da quel mistero. C’è una vita su quell’isola? E se c’è che forme avrà? Di bottiglie per l’acqua o di tappetini per il bagno? Di sacchi neri per la spazzatura o di bidoni? E com’è la musica suonata sulla plastica? Può avere le stesse armonie della musica suonata con strumenti tradizionali? E’ raro che questi materiali riescano a trasformarsi in scena, raro che riescano ad animarsi, eppure è tutta qui la magia di questo spettacolo che forse non avrebbe bisogno di parole né dell’unico grande foglio di plastica verde che serve da fondale e che rimane fisso e terribile nella sua “plasticosità” . Il gabbiano costruito con grande un foglio di plastica da imbiancatura che cerca di capire cos’è quel disco di legno che ha trovato tra la spazzatura, racconta moltissimo e lascia immaginare un futuro in cui anche gli animali, mangiando la plastica disciolta nel mare, saranno più simili ad esseri mutanti destinati a vagare in un mondo sempre più artificiale.

Dal Premio Scenario Infanzia arrivano invece i 7/8 chili, la compagnia marchigiana che ha ricevuto la menzione speciale per lo spettacolo presentato a Bari, Piano. Come accennava la menzione, lo spettacolo è un incrocio tra teatro di figura e arte concettuale, in cui oggetti quotidiani, lasciati su un tavolo da cucina si animano per fare festa. Protagoniste scatenate sono soprattutto arachidi e noci. Un coniglietto rosa e un uomo nero (non in senso antropomorfico) escono da un libro illustrato per andare a curiosare, e quando si accorgono l’uno dell’altro, non possono che iniziare una fuga e un inseguimento.
Nella confusione che si crea sul tavolo, finiscono per rimanere imprigionati nel televisore, dove si trasformano in disegni animati. In una sequenza forse un po’ troppo lunga i due cercheranno una via di fuga, finché il presunto padrone di casa che abbiamo visto solo all’inizio abbandonare un cellulare sul tavolo, unico oggetto inanimato, non cerca di aiutarli.
Nel tentativo di salvarli riamane intrappolato con loro nello schermo e chiederà aiuto alle arachidi e alle noci, che dopo vari tentativi spegneranno il televisore con un telecomando, anch’esso mero strumento privo di anima. Uno spettacolo divertente e ritmato, per piccoli spazi, che riporta in vita il teatro d’oggetti, da tempo assente sulle scene del teatro ragazzi.
Tra gli spettacoli dedicati alle figure va inoltre citato Piume del CTA di Gorizia, uno spettacolo per piccolissimi che racconta le favole di Esopo con l’aiuto di grandi cuscini, pupazzi e sagome di legno tutte ispirate al segno inconfondibile di Altan. Le storie sono raccontate con garbo da Elena de Tullio, che con l’aiuto di una radio invita all’ascolto delle voci degli uccelli e canta piacevoli filastrocche in musica di Aldo Tarabella.. Uno spettacolo delicato, di cui va segnalato anche il pregio di una fonica ben equilibrata, dopo i volumi assordanti sentiti spesso durante il festival.
Infine un accenno a Nina e le nuvole, dei bravi Nico Masciullo e Deianira Dragone. Un tentativo di animare scope e ramazze per raccontare la bellissima storia de “Il nuvolo innamorato” di Nazim Hikmet ai due inservienti rumeni del teatro. Spettacolo piacevole nella sua estrema semplicità ma ci piacerebbe molto di più riascoltare questa bellissima storia solo con le voci dei due interpreti e il talento musicale di Nico Masciullo.
CIRA SANTORO

Abbiamo chiesto al giovane regista Tonio De Nitto di regalarci un omaggio a Romanzo D'infanzia,un occhio di oggi ad uno dei molti capolavori del teatro-ragazzi di ieri.

Mamma e papà ci vogliono sempre bene?Può uno spettacolo emozionarci ancora dopo averlo visto una decina di volte?
Romanzo d’infanzia, si.
La storia di Nina e Tommaso, il loro romanzo di formazione, la storia della loro complicità, delle loro scoperte li porta a comprendere anche, come d’altronde accade nelle fiabe, come non sempre i propri genitori siano esattamente quello che si vorrebbe fossero, come non sempre abbiano orecchie e cuore da dedicare ai figli, non sempre mettano da parte la propria vanità, i propri troppi io.
Sono pochi gli spettacoli che rischiano mettendo in discussione un fondamento inattacabile come quello della famiglia e della genitorialità, quella linea d’ombra sottesa al rapporto genitori-figli di cui molto spesso si ha paura di parlare e tanto più di metterla in scena.
Eppure Romanzo d’infanzia è uno spettacolo che fa bene ai genitori e ai figli assieme, diventa un rito esorcizzante, una liberazione per entrambi. Non sono lontani dai genitori di Hansel e Gretel o da quelli di Giulietta, quelli di Nina e Tommaso, una madre isterica ed un padre un po’ smidollato e succube di una madre che è troppo, mentre lui è per lei, troppo poco.
La crescita, l’affetto e la semplicità dei due fratelli tocca corde di grande sensibilità, il loro legame si rinsalda sempre più nel gioco e nel curarsi vicendevolmente le “ferite” e li porta a proiettarsi in un futuro senza genitori, senza scuola, senza regole. Le fughe allora diventano metafora di un’avventura reale e ideale, la ricerca della libertà fatta di scoperte, di paure come quella della morte che può essere superata diventando un gioco, del saper far a meno di, dell’apprendere come e della certezza dei due fratelli di non volersi separare mai.
La danza si fa poesia e i corpi di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni diventano l’infanzia, l’ingenuità, il gioco, le passioni che attraversano Nina e Tommaso e allo stesso tempo le asprezze, le spigolosità dei loro genitori. Ci catturano non solo con la magia dei loro corpi ma anche con l’innocenza delle loro parole, semplici, scarne ed efficaci che la drammaturgia e regia di di Bruno Stori e Letizia Quintavalla gli hanno cucito addosso.Insomma, grande regalo per tutti ma soprattutto per le nuove generazioni di bambini, genitori e perchè no, di operatori presenti nella magnifica chiusura dell'ultimo Maggio all’infanzia.
Tonio De Nitto




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