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Eolo
recensioni
GIOCATEATRO 2017
IL REPORT DI MARIO BIANCHI E ELENA SCOLARI CON DUE RECENSIONI DI LAURA BEVIONE E MATTEO TAMBORRINO

Dal 18 al 20 Aprile a Torino si è svolta la ventunesima edizione del Festival “Giocateatro”, l' appuntamento primaverile che dà inizio alla lunga programmazione delle vetrine dedicate al Teatro per le Nuove Generazioni, un' edizione, quella di quest'anno, che ha visto tra l'altro rafforzarsi la collaborazione con la Fondazione Piemonte dal Vivo, attraverso la quale,in sintonia con le Compagnie del Progetto Teatro Ragazzi e Giovani, è continuata la capillare opera di diffusione dell’educazione teatrale in tutto il territorio regionale,

Giocateatro quest'anno ha ospitato 19 diversi spettacoli, una animata e coinvolgente tavola rotonda, incontri, presentazioni di progetti e momenti di festa, la maggior parte dei quali sono avvenuti nella Casa del Teatro Ragazzi e Giovani, che per tre giorni, si è animata, ospitando artisti, operatori provenienti non solo dall' Italia, insieme a un folto pubblico di genitori e bambini.

La manifestazione è promossa e organizzata dalla Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani onlus, dalle Compagnie del Progetto Teatro Ragazzi e Giovani Piemonte e dalla Fondazione Piemonte dal Vivo, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Piemonte, della Città di Torino, di I.T.E.R. – Centro di Cultura per l’Arte e la Creatività, della Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT e della Fondazione Paideia Onlus.


Sono stati presentati 19 spettacoli, molti rivolti ai più piccoli, come la delicata performance di danza “Le foglie e il vento” dell' Associazione Didee, il fragile omaggio in rima all'universo di “Voglio andare sui pianeti” proposto dal Dottor Bostik, l' “Alice” dell' Unione Musicale Onlus, composta in collaborazione e con Tecnologia Filosofca/Refrain, spettacolo di teatro, musica e danza tratto dai racconti di Lewis Carrol e “ Piccola Foresta” della Fondazione Teatro ragazzi e giovani, ennesima e poco convincente favola ecologica, che ha come protagonisti una foresta di lamiera e un uccellino,

Diversi anche gli spettacoli dedicati a momenti e personalità della Storia come “Naufraghi nella tempesta della pace”, lezione spettacolo, che con giusta sensibilità Giorgio Bocassi e Donata Boggio Sola di Coltelleria Einstein hanno voluto dedicare ai profughi della Venezia Giulia, della Dalmazia e dell'Istria e “Rais” di Assemblea teatro, incentrato sulla figura di Gheddaffi con in scena un inedito Sax Nicosia e perfino divertissement per adulti come “ Bottoni” della compagnia Cuocolo Bosetti, qui in una veste diversa da come l'abbiamo sempre conosciuta.

Molto apprezzata da tutti è stata poi la rimessa in scena di “Nina due passi nell'adolescenza “ di Gatto Vaccino teatro che Eolo ha seguito con favore fin dalla sua prima rappresentazione.

E dulcis in fundo abbiamo rivisto Michele Cafaggi che in “Controvento” ha immesso la sua arte di creare bolle di sapone nella mitologia del volo, impersonando un maldestro e spericolato aviatore .

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Azzurra e Sole “, Storie di tutti i colori, di Onda Teatro, di Francesca Guglielmino e Bobo Nigrone con Claudia Appiano e Giulia Rabozzi attraverso i movimenti coreografici di Stefano Mazzotta della compagnia di danza Zerogrammi su regia di Bobo Nigrone conclude la trilogia del progetto  “Crescere” attraverso un elogio del gioco, il gioco che tutti noi almeno una volta abbiamo fatto da piccoli, il “ Facciamo che io ero”.

In scena Azzurra e Sole sono due amiche, molto diverse fra loro, una, timida e volubile, spesso si lancia in imprese ardite con coraggio e tenacia, l’altra, esuberante e sorridente, a volte è timorosa e insicura, insomma contengono in loro tutte le forze e le fragilità che i bambini posseggono.

Ognuna di loro a sorpresa estrae dai propri giochi elementi con cui vogliono caparbiamente trastullarsi. “Facciamo che io ero rossa, avevo le scarpette rosse ed ero una principessa.No! Facciamo che ero rossa io. Facciamo che io ero la principessa bianca e tu la strega.Sempre io la strega? Facciamo che eri tu!”Insomma litigano come accade tra i bambini che giocano, ad un certo punto però Azzurra e Sole trovano un accordo e nasce l'esigenza del narrare, insieme, questa volta, però !

Ecco allora Cappuccetto Rosso che prende vita attraverso piccolissimi meccanismi teatrali mentre poi ancora insieme su una lavagna luminosa narrano la storia di Leo Lionni che ha come protagonisti “Piccolo blu e Piccolo giallo”. Seguendo il filo dei colori fondamentali, le storie si schiudono e si trasformano dunque in un gioco, dove ogni conflitto è seguito da una ricomposizione. I piccoli spettatori, divertendosi, attraverso una mappa multicolore di parole, azioni, immagini, luci e suoni, si vedono in questo modo riflessi in quello che vedono, una specie di Abecedario del gioco come esperienza dello stare insieme, della vera e autentica amicizia, durante il quale ognuno dà quello che ha, accettando nello stesso modo di condividere quello che l'altro ti vuole donare, senza voler mai mettersi in lizza come unico giocatore.


Dopo aver affrontato con profondità e delicatezza il tema della disabilità e della malattia in “Yo Yo Piederuota” eAhia ! Ahia! Pirati in corsianel progettoPiccola trilogia degli altri bambini” Santibriganti Teatro, in collaborazione con Fondazione Paideia Onlusche in “ Fratelli in fuga” affronta con altrettanta profondità il tema dell'autismo sempre su ideazione e regia di Maurizio Bàbuin

“Fratelli in fuga” racconta il meraviglioso e. l'apparente tormentato, rapporto tra Lorenzo, detto Lollo, e suo fratello Michele, detto Michi, affetto da sindrome autistica.

Lollo ora diventando grande vive da solo, ma Michele, non può fare a meno di lui e, quindi, scappa da mamma e papà raggiungendolo nella sua nuova casa di giovane scapolo. E' qui che i ricordi si affastellano e ritornano ad un 'altra fuga avvenuta anni prima, quando Lollo era fuggito di casa, stanco di non avere mai un minuto di libertà, sempre a “correre dietro” alle esigenze di un fratello asfissiante. E anche là era successa la medesima cosa, Michele, sul far della sera, lo aveva raggiunto, rovinandogli la festa e la libertà così tanto agognata.Ma quella notte era stata una notte speciale, una notte passata in una specie di Campo Giochi dove i due fratelli, dopo una iniziale diffidenza da parte di Lollo, si erano divertiti, dove avevano passato,uno a contatto stretto con l'altro, una notte del tutto speciale in cui i sentimenti di ognuno di loro si erano espressi in tutte le sue diverse sfaccettature che vengono riportati fedelmente ai piccoli spettatori, i quali entrano in modo semplice ma fecondo, non solo in una storia di fratellanza, ma anche nelle pieghe di una sindrome che condiziona, seppure in modo diverso, il rapporto tra le persone. Sì perchè Michi ha bisogno di Lollo, della sua “ normalità” per aiutarlo a capire attraverso di lui il mondo in cui vive, ma Lollo ha forse più bisogno dell'altro per comprendere meglio quello che non si vede, che sta nei risvolti dei sentimenti, non detti, tra gli esseri umani.

Così Michi sarà capace di esternere a voce tutto l'amore non detto che sente per il fratello e l'altro anche capirà che, poi, il fratello, tutto scemo, non è !

Luca Busnengo, Michele e Andrea Fardella, Lorenzo, muovendosi tra le scene inventate da Giovanni e Marco Ferrero in collaborazione con Siyana Mihova, danno piena credibilità alla caratterizzazione dei due fratelli, costruendo un nuovo notevole sincero tassello per un tema già trattato negli anni scorsi in modo molto convincente da due perle sceniche come “Fratelli” del Teatro la Ribalta e “ Zigulì “ di Teatro di Lina.Lo spettacolo ha però, secondo noi, ancora, bisogno di qualche aggiustamento, eliminando i troppi finali, qualche buio e qualche parola di troppo che appesantiscono uno spettacolo molto necessario nel teatro ragazzi italiano, lasciando maggior spazio all'azione teatrale e aumentando in questo modo i diversi punti di forza che lo spettacolo già possiede.


Dopo aver reso omaggio a Mozart in “Mio Fratello Amadè “, a Bach in “ Johannesburg e Sebastian Bach “ Pasquale Buonarota, Alessandro Pisci con il pertinente aiuto musicale di Diego Mingolla attraverso le scene di Alice Delorenzi in “ Va, va, va, Van Beethoven “ si avvicinano al grande Ludwig Van Beethoven in uno spettacolo prodotto dall' Unione Musicale Onlus in collaborazione con Fondazione Teatro Ragazzi e Giovani e l' Associazione Culurale Tzimtzum, terzo tassello di un percorso di avvicinamento alla musica,tramite il confronto tra le forme musicali classiche e le forme narrative teatrali.

Lo spettacolo racconta, in forma di ‘Tema con variazioni’, uno degli innumerevoli e avventurosi traslochi che il maestro dal 1792 al 1827 dovette organizzare durante il suo soggiorno a Vienna. cambiando almeno 80 case.

In scena Pasquale Buonarota impersona un credibilissimo Beethoven che entra in scena mentre due fidi compagni servitori trasportano il suo pianoforte e i suoi bagagli, subendo ciò nonostante gli improperi di un padrone dal carattere difficile, solitario, che pensa solo alla sua “ Amata immortale” la musica e che egli non tradirà mai, anche quando diverrà sordo.

L' op. 35 di Ludwig van Beethoven, tema, variazioni e fuga su motivi dell’ “Eroica” riempie la scena di suoni e di significati che illustrano a meraviglia i caratteri della sua musica, una musica che doveva sempre sperimentare, come perfettamente dimostrano le sue sinfonie e soprattutto le 32 sonate per pianoforte così innovative da essere difficilissime da interpretare. Lo spettacolo in questo mondo porta gli spettatori in modo immaginifico, con un uso degli oggetti e delle scenografie, puntualmente efficace, ad approfondire la personalità di un autore che ha rivoluzionato l'arte musicale, sottolineando anche le criticità del non facile carattere. Attraverso un rapporto che in qualche modo ricorda quello tra il Bianco e l'Augusto, Alessandro Pisci cerca di assecondare tutte le bizzarie di un padrone, tutto preso da una follia inventrice, venata dalla tragica consapevolezza della sordità che incombe, mentre Diego Minghella non pronuncia parole ma ci rende consapevoli con le note di tutta la grandezza del genio musicale tedesco.


Andrea Bettaglio, Claudio Cremonesi, Rossana Mola, Alessandro Pozzetti in “Tragicomic Heroes” di Pem Habitat Teatrali, su Regia di Rita Pelusio, sono rispettivamente Lepore, Fulmine, Spada e Stefano Galbiati, quattro sfigatissimi creativi chiusi negli scantinati della loro ditta di entertainment, e costretti dal loro capo, la terribile Lady Mac, a progettare un videogioco che abbia per protagonisti i personaggi shakespeariani. Tra discussioni, ripicche e battibecchi da ufficio, i quattro scoprono pian piano di avere molto più in comune con questi di quanto avrebbero mai pensato.

Infatti Stefano Galbiati, come Amleto, vive in perenne dubbio sul suo futuro, all'ombra di un padre troppo bravo e famoso, Lepore, il meno strutturato dei 4, vive la vita in modo basico senza mai approfondire niente ed in più, come Otello, sempre gelosissimo di ogni sua amante, rischia di essere sempre solo, Fulmine, come il matto del Lear, getta qua e là perle di saggezza, utilizzando giocoleria e clownerie, mentre Spada, sempre alla ricerca di una costante felicità sentimentale, allo stesso modo di Ofelia, soffre e si dispera anche se ambirebbe ad un amore simile a quello di Giulietta.

E' dunque logico che lo spettacolo viva sempre in simbiosi tra vita e finzione, collegando spesso in modo ironico ma sempre pertinente e quel che conta mai parodistico, le esigenze e i desideri quotidiani dei 4 protagonisti con i sentimenti che il Bardo dissemina nelle sue opere. In questo modo il pubblico degli adolescenti, a cui lo spettacolo è destinato, come in uno specchio si riflette e riflette sulle cose del mondo in uno spettacolo scritto in maniera scoppiettante a 6 mani di fresca e immediata godibilità. E in questo modo, mescolando commedia e tragedia spesso in stile colloquiale, come avviene tra ragazzi, senza che nemmeno ce ne accorgiamo, riusciamo a comprendere che Amleto, Ofelia, Otello, Il matto, Romeo e Giulietta fanno parte di noi stessi, avendo sofferto e gioito come noi, perchè tutti noi siamo almeno un po' Amleto, Ofelia, Otello, Il matto, Romeo e Giulietta

MARIO BIANCHI


IL PARADISO DEGLI IDIOTI | LA BALLATA DEI LENNA

L'arena del teatro ragazzi può essere severa e a volte anche ingiusta. E' il caso de "Il Paradiso degli idioti ", presentato inopinatamente alla vetrina di Torino come uno spettacolo adatto per i ragazzi dai 14 anni in su, sembra senza che questo dato sia stato condiviso dalla (questa sì, giovane) compagnia. Qui il peccato originale che ha messo in cattiva luce (perchè non la "sua" luce) il lavoro de La Ballata dei Lenna, effettivamente fuori contesto e giudicato assai duramente dagli operatori presenti. 
Lo spettacolo racconta di un fratello e una sorella che si riuniscono dopo lungo tempo per via della morte del padre. Il riflessivo figlio maschio gli è stato accanto e lo ha assistito nella malattia mentre l'esuberante e internazionale figlia femmina non è nemmeno tornata dal suo soggiorno di lavoro in Canada (che - per inciso - lascerà per l'Argentina dove andrà a vivere con il suo fidanzato giapponese). Il fratello (che vuole fare lo sceneggiatore di cinema) richiama la sorella con la scusa di una lettera lasciata dal padre, un "testamento morale" che l'uomo voleva i due figli leggessero uno accanto all'altro. E' chiaro da molto presto che in questa lettera non c'è niente, il trucco del fratello è infantile e fa leva sui sensi di colpa della sorella. La questione importante è il rapporto tra i due giovani, come ognuno dei due affronta lo smarrimento e "la linea d'ombra" che ormai devono attraversare. 
Il testo è interessante, gli attori un po' acerbi ma troviamo sia da apprezzare la scelta di riflettere sul pensiero, con dialoghi non banali, non limitandosi all'azione e all'affastellare di fatti. 
Lo spettacolo non è privo di difetti, primo tra tutti il confuso e velleitario (e lungo) inizio, un'introduzione pretenziosa nella quale simboli surreali e codici non ben definiti mostrano il giovanile timore (infondato) di essere troppo leggibili.

Per non rischiare di risultare trasparenti e poco originali si inseriscono , in modo sconnesso, elementi che formano un'architettura astrusa e, a nostro parere, dannosa al resto del lavoro (una donna scimmia, personaggio della prima sceneggiatura del fratello, stroncato dalla sorella saccente e un danzatore vestito solo di una buffa mutanda bianca... ), che invece diventa man mano più intelligibile e mostra spunti che possono senz'altro essere fruttuosi. 


Ora, crediamo che ripulire i 20 minuti iniziali sia indispensabile, ma "Il paradiso degli idioti" non è uno spettacolo per ragazzi, è giusto che la compagnia provi a mescolare diversi registri, anche chiedendo qualche sfrozo allo spettatore (adulto) fin quando troverà il giusto equilibrio. Il nostro parere è che si debba poi lavorare ancora sul testo, cercando di apparire meno assertivi e cercando di dire qualcosa di personale rispetto al tema dei "padri", tanto assenti quanto colpevoli, in questi ultimi anni teatrali. 
Anche quando accusano i figli senza appello.


TRAGICOMIC HEROES | PEM HABITAT TEATRALI


Pensavamo di aver fatto indigestione di Shakespeare nel 2016, anno del quattrocentesimo, e invece troviamo con piacere produzioni fresche a lui dedicate anche nel 2017. Il gruppo PEM e il suo Tragicomic heroes sono stati una presenza molto molto apprezzata nel festival, una compagnia in grado di rivolgersi al pubblico giovane parlando del grande drammaturgo in maniera intelligente, coerentissima con lo stile del bardo. 
Come spiegato da Mario Bianchi nel suo pezzo, i 4 giovani sono costretti dalla loro temibile superiore a inventarsi un'app per ragazzi che parli di Shakespeare, in una scena/scantinato fatta di tubi Innocenti (che consentono la battuta tubi or not tubi...) come quelli dove tanti creativi hanno cominciato la loro carriera. Così come i quattro - in scena - si devono inventare un modo per raccontare dell'autore inglese agli adolescenti. Lo spettacolo prosegue con un ritmo perfetto, incastrando le trame delle tragedie e le vite dei personaggi di Amleto, Romeo & Giulietta, Otello con quelle dei giovani attori, che  - insieme al pubblico - scoprono di avere profonde affinità con quei personaggi: sentimenti, paure, passioni e difetti sono gli stessi loro. 
Il monologo di Shylock ne Il mercante di Venezia, vale non solo per le differenti etnie o religioni ma anche nei differenti tempi nei quali l'uomo vive, nel seicento come ora:
Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi,
affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse
armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo,
non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un
cristiano?
Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci
avvelenate noi non moriamo?
E se ci fate un torto, non ci vendicheremo?
Se noi siamo come voi in tutto vi assomiglieremo anche in questo.

Alcuni dei passi pià famosi sono anche recitati in inglese, nell'ottima pronuncia di Rossana Mola, dopo averli citati in italiano. Non si dimentica quindi nemmeno la musicalità della lingua originale. In scena c'è anche il fool, il matto di corte, che fa da raccordo tra le storie come un saltimbanco letterario, un giocoliere tra le vite vere e quelle di carta, gli è lasciato di raccontare, da solo, anche Re Lear, quest'ultima forse un po' sacrificata e meno concatenata rispetto alle altre tragedie citate. E' però bella l'idea di far chiudere lo spettacolo al fool, come in una poetica sopensione tra realtà e finzione.


UNA STORIA DISEGNATA NELL'ARIA | NONSOLOTEATRO

Guido Castiglia affronta con determinata lucidità la storia di Rita Atria,
giovanissima Testimone di giustizia, morta suicida a 17 anni. Ci documentiamo (perché non tutti i dati vengono forniti nello spettacolo) e scopriamo che Rita perde il padre, mafioso, all'età di 11 anni, si stringe così il suo legame col fratello Nicola - pure mafioso - e con sua moglie Piera Aiello. Nicola confiderà alla sorella Rita numerose informazioni sui meccanismi di Cosa Nostra, poi nel 1991 anche Nicola sarà ucciso e Piera deciderà di denunciare gli assassini e di collaborare con la magistratura. La ragazza la seguirà in questa decisione e si legherà profondamente al giudice Paolo Borsellino, al quale renderà preziose testimonianze che porteranno ad arresti importanti. Rita non reggerà però alla morte di Borsellino e dopo la strage di via d'Amelio si lancerà nel vuoto dal settimo piano del palazzo romano dove viveva in incognita.
Una storia dolorosissima. Che nei modi ci ha ricordato il bellissimo racconto di Buzzati Ragazza che precipita, nel quale una donna cade da un grattacielo, vede lo scorrere della vita nelle case del palazzo e invecchia mentre precipita.
Castiglia scrive - con la collaborazione di Piera Aiello - un testo molto bello, in una lingua curata e ricca, quasi poetica (un italiano che si vorrebbe sentire più spesso nel teatro per ragazzi) e racconta questa tragica vicenda senza mai indulgere alla commozione facile, quasi freddamente. È una scelta che privilegia la forza del contenuto e che parla al pubblico senza filtri emotivi che non scaturiscano spontaneamente dall'attitudine dello spettatore. Teatralmente però, questa "distanza" rende il racconto troppo regolare, il ritmo ha un andamento lineare, piano, documentaristico, a nostro avviso a discapito dell'utilità drammaturgica di sottolineare alcuni punti chiave della narrazione. 
Le scenografie sono scarne: una sedia, alcuni spigolosi pannelli geometrici traslucidi che l'interprete sposta come paraventi forse alludendo al nascondersi di alcuni personaggi e al mostrarsi di altri. Non abbiamo trovato convincenti luci e musiche che intervengono in modo irruente nello spettacolo, come a bilanciare lo stile austero di scene e recitazione, una sorta di correzione non del tutto riuscita.
Una storia disegnata nell'aria è un lavoro che, con la consueta professionalità di Nonsoloteatro, si arricchisce di un percorso didattico che Castiglia tiene con i ragazzi che vedono lo spettacolo, tempo nel quale si approfondiscono i temi della legalità e della storia della mafia. Allo spettatore che si limita alla visione in teatro possono però mancare alcuni riferimenti che ci sembrano importanti anche in scena: non si disegnano le figure di Falcone e Borsellino e non si spiega qual è stato il loro ruolo politico e sociale, il perché è importante ricordare il loro operato e il loro coraggio civile. Lo spettacolo si concentra sulla storia di Rita, sulla sua condizione di adolescente che vede sgretolarsi violentemente il proprio terreno di affetti e perde con sofferenza la fiducia nel prossimo e nel mondo, quasi come se il contesto storico e la decisione di Rita Atria di collaborare con la giustizia fossero solo uno sfondo, ininfluenti alla situazione personale e psicologica della ragazza. Troviamo invece che la scelta di Rita, scelta difficile e adulta, e il successivo assassinio dell'uomo che l'aveva fatta sperare in una vita più libera e più giusta siano un punto focale indispensabile a completare e capire la sua storia.

NON TI VEDO NON MI VEDI | FABER TEATER

"In una notte nera tutte le vacche sono nere". Così diceva Hegel nella sua Fenomenologia dello spirito. Faber teater tratta della fenomenologia giapponese di pecore e lupi. Ma anche questi animali sono al buio. E non si vedono tra loro. E così non sanno cosa sono, chi sono. Secondo la fiaba In una notte di temporale di Yuichi Kimura, un lupo e una pecora si rintanano in una grotta per ripararsi dal maltempo e l'oscurità impedisce loro di riconoscersi come avversari, si annulla il rapporto naturale di preda e predatore e si sviluppa una relazione di solidarietà e amicizia basata su ciò che unisce e non sulla meccanica opposizione di ruoli. 
Faber teater sceglie di rivolgersi ai bambini chiarendo due aree spaziali della scena: la prima è quella dove le attrici (Paola Bordignon e Lucia Giordano) non recitano e spiegano con quali oggetti costruiscono l'ambiente narrativo e la seconda è la zona del racconto, nella quale le interpreti si travestono e si trasformano nei due animali (segnaliamo una spassossima parodia delle pratiche di rilassamento yoga ad opera dell'ovino), appoggiandosi a una marcatura di toni recitativi che risultano forse più accentuati del necessario. Riteniamo però che il punto dello spettacolo da risolvere sia un'incoerenza drammaturgica, manca una vera conclusione della storia: i due protagonisti si danno appuntamento alla luce del giorno successivo per "conoscersi" davvero ma lo spettatore non saprà quale sarà l'esito di questo incontro. Capiamo la volontà di lasciare aperto il finale, che è anche nel racconto origianle di Kimura, ma crediamo che serva almeno alludere a quale potrebbe essere il risultato "ribaltato" del senso comune e il possibile frantumarsi dei pregiudizi. Senza dirlo ma suggerendolo in moda lasciare la vicenda meno tronca.
ELENA SCOLARI


Abbiamo chiesto a Laura Bevione di darci il suo sguardo su "Tempo" di Tardito Rendina spettacolo  per noi ancora in via di definizione.

TEMPO

Idea, regia e musica di Bruno Franceschini.Coreografia e interpretazione di Aldo Rendina e Federica Tardito.Ideazione scenografica di Cristina Daneo.

Prod.: Compagnia Tardito/Rendina (Torino); Associazione Sosta Palmizi (Cortona)


Due personaggi che paiono carnali materializzazioni di una raffinata bande dessinée, figurine sognanti in 3D inizialmente spaesate su un palcoscenico abitato soltanto da essenziali e multifunzionali scatole di legno. Al polso di lei, un piccolo cilindro di carta che presto svela la sua “magica” identità: un rullo traforato che, inserito in una sorta di organetto meccanico, produce musica; quella che accompagnerà questo piccolo ma prezioso spettacolo, costruito con grazia e poesia dalla coppia torinese Tardito/Rendina.

Il concetto di “tempo” viene evocato e sviscerato, concretizzato ed esemplificato in brevi – ma mai concitate, anzi il ritmo è quello dilatato dei sogni – azioni, che consistono in semplici coreografie, spostamenti di oggetti – il cappello inizialmente sulla testa di lui; le due sfere trasparenti attaccate a sottili bastoni che vengono delicatamente fatte roteare – suoni e parole mutati in armonici vocalizzi. Il “tempo” evocato in scena dalla coppia di performer non coincide tanto con il passare dei giorni e delle stagioni quanto con quello che disegna il ritmo delle singole azioni quotidiane. Il tempo cadenzato e regolare della musica che naturalmente accompagna l’esistenza dei due personaggi i quali, con grazia e schiettezza, si muovono lentamente sul palco, invitando implicitamente gli spettatori – e non solo i più piccoli, benché lo spettacolo sia indicato per un pubblico dai due anni in su – a mettersi in ascolto di se stessi, così da rintracciare il “tempo” dei propri movimenti quotidiani e, nel caso esso risultasse sincopato ovvero disarmonico, da riaccordarlo nuovamente, seguendo magari quel precisissimo metronomo che è il nostro cuore.

LAURA BEVIONE


La stessa cosa abbiamo fatto con Matteo Tamborrino per lo spettacolo che inaugura il nuovo percorso artistico di Daniel Gol di Teatro Distinto.

 “IN PUNTA DI PIEDI” TEATRODISTINTO

Uno spettacolo – quello scritto e diretto da Daniel Gol (interpretato magistralmente dall'intensa Daniela Tusa, con Fabrizio Ofria e la giovanissima Irene Barberis) – che sa emozionare, con delicatezza e profondità, consigliato ad un pubblico dagli 8 anni in su. Nel suo farsi, l'opera sembra materializzare quel detto non troppo antico dell'eccentrico scultore rumeno Constantin Brâncuşi: «I nonni, grazie alla loro presenza semplice, temperano i coniugi e ne istradano la progenie sul sentiero della vita, passandole la fiaccola dell'esperienza propria e dei loro predecessori». E questo “sentiero della vita” rievoca l'incedere lento della sequenza finale: le luci, già fioche, si spengono con timore. È il cerchio dell'esistenza che fa incontrare chi ha appena cominciato a camminare e chi invece ritorna da un lungo viaggio. È la relazione “inesauribile” tra bambini e anziani, tra due estremi perennemente in comunicazione.


“Racconti d'amore in punta di piedi” più che sulla drammaturgia – sia pur molto curata e ponderata – investe principalmente sulle cromie degli oggetti e sui significati simbolici di cui essi si fanno portatori: in un nero diffuso che incornicia e polverizza lo spazio scenico, si stagliano tinte ora vivaci, ora pacate. Nel primo dei quattro racconti di cui si compone lo spettacolo, i bottoni variopinti, lasciati scivolare dai pugni chiusi della Tusa, colpiscono il banchetto legnoso come una pioggia d'autunno. Vi sono poi due foglie d'un verde quasi irreale, che metonimicamente – insieme ai legnetti incastonati nel tavolo – alludono alle radici di una pianta costantemente sdradicata e ri-trapiantata, figura di un imperituro rapporto tra nonna e nipote.


Nel quadro successivo – di drammatica afasia – compare un personaggio dalla lunga barba bianca (Fabrizio Ofria), mestamente seduto accanto ad un cavalluccio a dondolo: è «un silenzio incolmabile, cui solo il recupero di tracce d’infanzia può dare senso». Dalla stanza dei giocattoli si passa poi alla finestrella di legno, che racchiude il corpo, dapprima solo, della protagonista, in attesa di qualcuno, di qualcosa. E infine, gli incontri bizzarri nel bosco, in un territorio liminare tra realtà onirica e realtà empirica. Il continuum recitativo è spezzatocome in una short-story alla Joycedal ripetuto ingresso in scena della piccola Irene, che nell'ultimo quadro, ad esempio, gioca con l'omonemostruosoa chi fa più paura.


Lo spettacolo, alternando malinconia e immaginazione, racchiude in sé un'aura poetica: grazie all'impeccabile maschera facciale di Daniela Tusa e alla fisicità imponente del suo compare, si percorre – sempre “in punta di piedi” – un lungo sentiero di mattoni neri, in cui tempo, ricordo, ed emozione diventano un tutt'uno.


MATTEO TAMBORRINO









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