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Eolo
recensioni
ARRIVANO DAL MARE 2018
IL REPORT DI MARIO BIANCHI CON UN APPROFONDIMENTO CRITICO SU "LA GINEVRA DEGLI ALMIERI" DI ALFONSO CIPOLLA

Quarantatre edizioni, fanno del Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure “Arrivano dal Mare!”, uno dei Festival di Teatro di Figura più importanti e longevi, non solo in Italia. Il Festival quest'anno si è svolto dal 21 al 30 settembre in diverse località della Romagna: Ravenna, Cervia, Gambettola, Longiano e Gatteo, ospitando più di quaranta compagnie, e con loro, artisti, studiosi, direttori di Festival, organizzatori e appassionati di questo particolarissima e antica forma teatrale, per assistere a 70 repliche di spettacoli di marionette, burattini, pupi, ombre, pupazzi, ma non solo, mostre, convegni ed incontri, dedicati al Teatro di figura.

L' edizione di quest'anno, con la rinnovata direzione del Teatro del Drago, è stata intitolata “GenerAzioni”, definizione mutuata dalle generazioni della Famiglia Monticelli che imbeve di sé il Teatro del Drago e le cinque dita della mano che muove il Burattino.
Ravenna ha visto nei primi giorni alternarsi diversi maestri e compagnie di teatro di figura da Mimmo Cuticchio ai Colla, da Claudio Cinelli a Laura Kibel, a Drammatico Vegetale, Is Mascareddas, Rocamora Teatro e chi più ne ha più ne metta, realizzando un programma di grande varietà e valenza.
Ma non è tutto, a Ravenna si è tenuto anche un importante Convegno Internazionale sulla formazione, con la presentazione del progetto “Per una Scuola Nazionale di Teatro di Figura in Italia” che intende riunire 4 strutture: Teatro del Drago, Teatro delle Briciole, Teatro Giocovita, Teatro del Buratto. Dulcis in fundo, oltre alla presentazione dell' Almanacco Unima Italia, “strumenti e azioni per la promozione e valorizzazione del Teatro di Figura “, Palazzo Rasponi ha ospitato anche la bellissima mostra “La crudele storia” con i personaggi dell’Opera dei Pupi a Napoli. Per la prima volta in Emilia-Romagna è stata presentata una mostra sull’opera de i Pupi a Napoli con esemplari originali che provengono dal museo Ipiemme – International Puppets Museum- di Castellammare di Stabia, che ha sede presso la prestigiosa Reggia Borbonica di Quisisana, risalente al 1200, curato amorevolmente dalla compagnia degli Sbuffi.

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Noi, come è nostra usanza, siamo stati presenti gli ultimi tre giorni di “ Arrivano dal mare”, a Gambettola, dove abbiamo proprio goduto nel vedere una vera e propria adunanza di Burattinai che, per la prima volta, coordinati da Alfonso Cipolla, si sono riuniti insieme per raccontarci e raccontarsi come sia nata in loro l'intenzione di intraprendere un'arte così particolare.
Romano Danielli, Marco Iaboli, William Melloni, Bruno Niemen, Gaspare Nasuto, Mattia Zecchi, Riccardo Pazzaglia, Paolo Comentale, Enrico Spinelli, Daniele Cortesi, Patrizio Dall ' Argine, Moreno Pigoni, Paolo Papparotto, Cristina Cason, Vladimiro Strinati, Paolo Saldari, Massimiliano Massari, Walter Broggini, Alberto De Bastiani, gli eredi della famiglia di Otello Sarzi, Andrea e Mauro Monticelli, Grazia Punginelli, Angelo Aiello, ( e ci scusi chi ci siamo dimenticati) hanno riempito con i loro ricordi il giardino dell'ex macello di Gambettola. Un primo momento indimenticabile che speriamo si possa ripetere, questa volta, per intraprendere un cammino, non più rivolto al passato, ma al futuro, con l'intento di proporre nuovi percorsi a chi nel tempo presente volesse intraprendere il loro stesso cammino.
Per quanto riguarda l'editoria vi è stata la presentazione del libro: “Tragedie e commedie per tavoli e baracche” di Gigio Brunello e Francesca Di Fazio. Anche qui per la prima volta sono stati riuniti gli straordinari testi degli spettacoli di Gigio Brunello, spesso messi in scena con l'inseparabile ausilio di Giulio Molnar.
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“Arrivano dal mare” è stata l'occasione per assistere a tutte le varie diramazioni in cui la tradizione burattinesca si esprime nel nostro paese.
Ecco la Scuola bolognese con l'allievo ventisettenne, ormai quasi maestro, Mattia Zecchi e il suo intramontabile mentore ottantenne Romano Danielli in “Le avventure di Fagiolino”, la Compagnia “Fuori Porta” con Marco Iaboli e William Melloni, esponenti della mitica compagnia del Pavaglione ne “ La legge del più forte “ e Moreno Pigoni con I Burattini della Commedia in “Fagiolino nel bosco incantato”. Ecco i burattinai pugliesi Paolo Comentale in un curioso rifacimento del pasoliniano” Otello e le nuvole” e i Burattini Al Chiaro di Luna in “Pulcinella dalla brace alla padella”. Ecco poi Bruno Niemen e il Teatro Medico Ipnotico, il cui nome la dice lunga sull'arte intrigante di Patrizio dall'Argine e i Pupi di Stac con il loro eroe Stenterello. In piazza, davanti al Comune, in pieno sole, ecco il formidabile maestro napoletano Gaspare Nasuto, che rinnova la tradizione delle Guarratelle, e, vicino a lui, in una fiaba, eseguita con perfetta maestria, Paolo Saldari della compagnia Aprisogni, sotto l'occhio vigile di Cristina Cason “ Il Castello di Tremalaterra”.
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Nella corte della biblioteca di Gambettola abbiamo passato un pomeriggio meraviglioso davanti a due grandi burattinai, il lombardo Daniele Cortesi e il veneto Paolo Papparotto, due artisti dallo stile differente, ma forieri di un'arte radicata in modo magistrale nella cultura dei loro luoghi di origine.
Daniele Cortesi con i suoi grandi burattini ha raccontato, purtroppo solo per venti minuti, il suo “Arlecchino malato d’amore” durante il quale Brighella, con il suo solito cinismo, invita il suo padrone, il marchese d’Almaviva, a chiedere la mano della figlia del ricco Pantalone, per avere la dote della bella Smeraldina, la fidanzata di Arlecchino, in modo da poter risanare le sue dissestate finanze. Sarà ovviamente Gioppino, la maschera tipica di Bergamo, a risolvere l'intricata vicenda, aiutando con il suo buon cuore l'amico in difficoltà. Impeccabile e da autentico manuale burattinesco lo stile di Cortesi, che da anni incarna, con la sua arte, la nobile tradizione bergamasca, con al centro il famoso burattino dai tre gozzi.
Paolo Papparotto invece immette la sua storia, “Arlecchino e il bragosso fantasma”, nella cornice della normale vita di Campo della Misericordia a Venezia, dove è attraccata, durante la notte, nel canale, sotto la casa di Pantalone che si trova proprio davanti a quella di Colombina, una barca misteriosa, “ La Vongola Nera “. Tra apparizioni magiche e dissertazioni sulla vera natura della barca misteriosa, si consuma una storia davvero esilarante, ricca di colpi di scena, dove Arlecchino ed il maldestro ladro Brighella vivono avventure di ogni genere in riva alla laguna . Sarà la Fata Palmira, sorta dalle ceneri di un terribile basilisco, a fare in modo che il nostro Arlecchino possa impalmare la sua Colombina, dando una sonora lezione al ricco Pantalone e a Brighella, che però ha in serbo per lui una piccolissima vendetta, che non possiamo svelarvi. I piccoli burattini di Paparotto popolano in modo impareggiabile la grande baracca, intrufolandosi in ogni dove, attraverso una storia di grande godimento per tutto il pubblico, condotta con abilità, estro e fantasia.

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Uno degli spettacoli più ispirati a cui abbiamo assistito ad “ Arrivano dal mare” è stato senza dubbio “ Angelo”, dovuto all'estro di Daniele Debernardi del ligure “Teatrino dell'Erba matta “, uno degli spettacoli vincitori dell'ultima edizione dei teatri del Sacro, tratto da un famoso racconto di Gabriel Garcia Marquez, già fonte di ispirazione in passato di altri importanti spettacoli.
Debernardi, lascia le amate fiabe per catapultarsi con grande perizia in un racconto dal sapore surreale, ma dai significati altamente simbolici, attraverso pupazzi mossi a vista, di tutte le fogge. La storia narrata è quella di uno strano essere che un giorno cade dal cielo. E' un angelo, forse !? E' lui al centro dello spettacolo, un grande pupazzo, orribile a vedersi, ma che possiede delle grosse ali pennute, sì, ali che potrebbero farlo volare, se non fossero sporche e spellacchiate; inoltre l'essere non parla, proferisce solo pochissime parole all'apparenza incomprensibili.
La scenografia, volutamente arruffata, crea un ambiente disadorno, con ai bordi casse, cassette di tutte le forme, corredato da diversi tipi di illuminazione, carrucole, paranchi, posti per suggerire un ambiente marino. Dai diversi contenitori, l'animatore estrae i personaggi che compongono la storia, i padroni della casa dove lo strano essere è caduto, le donne del vicinato, il prete, il dottore : un piccolo grande microcosmo, dove tutti sono pronti a trarre guadagno da quell'improvviso arrivo. Solo un bambino con il suo cane e una vecchia povera si interfacciano con lui, riuscendo anche a parlare con lo strano essere , anzi la donna si sforza perfino di fargli imparare qualche parola, “pane “, prima di tutto, che poi generosamente divide con lui. E' un mondo poggiato sul mare ed infatti sentiamo sempre il suono delle onde che si infrangono sulla riva, sul suo sentire si mescolano poi canti polifonici della tradizione ligure, suoni di strumenti a corda e altre sonorità che accompagnano le varie emozioni del pubblico.
Sono personaggi multiformi, quelli che De Bernardi muove quasi distrattamente, composti in maniera diversa, a volte solo facce che compaiono da piccoli contenitori, a volte esse si formano avendo un corpo fatto solo di tela, altre volte sono piccoli pupazzi che creano un mondo dal sapore antico, che restituiscono perfettamente al pubblico in modo semplice e coinvolgente la storia di Marquez. L'Angelo come misteriosamente è arrivato, così altrettanto misteriosamente se ne va, lasciando l'amaro in bocca a tutto il paese, che in qualche modo ne rimane mutato.
Mescolando sapientemente il mestiere dell'attore con quello dell'animatore, da vero istrione, De Bernardi crea ancora una volta un teatro originale, unico nel panorama del teatro di figura italiano.

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Jessica Leonello su Regia Manuel Renga ha presentato un originale spettacolo dal titolo accattivante” Nuovo Eden”. Uno spettacolo di trasformismo dove l'attrice interpreta ben tre personaggi e che nel contempo persegue un'indagine sul tempo e come esso, il tempo, trasformi i luoghi, in questo caso, Brescia, dove l'interprete vive e lavora. L'attrice ci accoglie sotto le mentite spoglie di Gurpreet, l'inserviente del teatro, ma poi sul palco, con una maschera e una postura di grande effetto, si trasforma in Cesare, un uomo alle soglie della vecchiaia, che si risveglia dopo quindici anni, trovandosi in un mondo del tutto cambiato. La sua città, Brescia, che vediamo spesso in video, è totalmente cambiata: ora al cinema Eden, che era l’ultimo locale a luci rosse, rimasto in città, che il nostro frequentava assiduamente, si è trasformato in un cinema d’essai, il cricket è diventato uno degli sport più praticati, e i suoi giocatori sono tutti o pachistani o indiani di seconda generazione, come Gurpreet. Ogni semaforo si è trasformato in rotonda, nelle periferie della città solo scheletri di vecchie fabbriche abbandonate e, al loro posto, centri commerciali, anch'essi abbandonati. Poi Jessica si sdoppia, ed ecco apparire Dolores, una vecchia amica del nostro protagonista che cercherà di aiutarlo ad affrontare questa nuova realtà, ballando persino con lui.
Cesare così compie un viaggio di ricerca che lo porterà a scoprire che. come il protagonista de “ Il Cielo sopra Berlino “, in programmazione ora al Nuovo Eden, anche lui possiede un paio di ali.
Ma sono i luoghi che cambiano le persone? O le persone che cambiano i luoghi? Ci sembra suggerire lo spettacolo.
La giovane, trasformista Jessica Leonello, muovendo uno schermo su cui vengono proiettati i video realizzati da Nicola Zambelli, dove Brescia vive nei tempi narrati dallo spettacolo, schermo che all'occorrenza crea spazi sempre diversi, realizza uno spettacolo melanconico, dove lo spettatore può immergersi a riflettere sul tempo e sulle sue valenze, cogliendo in esse tutti gli aspetti che in qualche modo paiono appartenergli.
MARIO BIANCHI

LA GINEVRA DEGLI ALMIERI

Esiste un tesoro di storie antiche, raccontato nei secoli migliaia e migliaia di volte e con tutti i linguaggi del teatro: dalla narrazione al melodramma, dalla prosa alle marionette e ai burattini. Sono storie potenti, drammaticamente coinvolgenti, che spesso vertono su un sopruso di cui il protagonista è vittima innocente con scarse possibilità di riscatto, dato che il lieto fine è sorte riservata a pochi. Si salva in gloria Genoveffa di Brabante, fedelissima moglie ripudiata, ma per quell’attimo solo che la separa dalla santità del Paradiso. Non ha scampo invece il Fornaretto di Venezia, che una giustizia ipocrita conduce diretto al patibolo. Fiumi di lacrime sono state versate su quelle storie fatte, a ben vedere, della stessa pasta di Giulietta e Romeo, ma che non hanno incontrato uno Shakesperare che le abbia consacrate all’immortalità.
Ginevra degli Almieri è una di quelle storie.

Siamo a Firenze alla fine del XIV secolo. La bellissima Ginevra viene obbligata dal padre a sposare Francesco, della nobile casata degli Agolanti. Ginevra obbedisce, ma in realtà è innamorata di Antonio, di modesti natali. Ora accade che la peste infuria e Ginevra si ammala a tal punto da essere creduta morta, per cui viene tumulata in gran fretta in un sepolcro per timore del contagio. Risvegliatasi con orrore nella tomba, Ginevra riesce fuggire, ma viene scambiata per fantasma, e sia il padre che il marito ne rimangono atterriti e nessuno la soccorre, anzi la scacciano. Compiuto invano il suo dovere di figlia e di sposa, a Ginevra non resta che recarsi dal suo amato Antonio, che ovviamente l’accoglie e lei guarisce e l’amore trionfa, dato che il matrimonio con Francesco verrà sciolto, per averla lui ripudiata nel momento del bisogno.

Quanto la storia sia vera non è dato sapere, certo è che dal XV secolo il racconto della “sepolta viva” diventa popolarissimo, grazie alla tradizione orale e a un poemetto che ne ha tratto Agostino Velletti. Di racconto in racconto la vicenda cambia, si arricchisce, prende caratteri diversi. Il melodramma ne se appropria, tanto che nel 1815 approda persino alla Scala con la musica di Giuseppe Farinelli. Ma prima di lui compose una Ginevra anche Ferdinando Paër (1802) e poi diversi compositori minori, tra cui ultimo in ordine di tempo Mario Peragallo (1937) su libretto di Giovacchino Forzano. 

Sono le scene popolari, però, a rinnovare continuamente la memoria di Ginevra. Probabilmente fu Luigi del Bono, il creatore di Stenterello, a ridar fiato al soggetto, pubblicando nel 1795 la sua versione della sepolta viva di Firenze, dove al dramma si aggiungeva l’elemento comico. Chissà quanti prima di lui l’avevano già fatto, nelle più diverse piazze e nei più diversi teatrini, ma quel testo a stampa ne accoglie l’eredità e la rilancia, diventando fonte per nuovi copioni e nuovi spettacoli. Ginevra degli Almieri diventa così un classico di sicuro successo nei teatri di marionette e nelle baracche dei burattini.

La sua riproposizione ad Arrivano dal Mare, diventa quindi un vero e proprio evento, che da progettualità e nerbo al festival. Tanto più che a resuscitarla dal limbo delle opere dimenticate è il grande Romano Danielli, che forte della sua lunga memoria e della sapienza del mestiere antico ne appronta una riduzione di straordinaria vitalità. Il dramma in quanto tale viene prosciugato, della vicenda originale resta ben poco in verità, ma già i copioni storici per burattini se ne erano allontanati tantissimo, prediligendo gli intarsi farseschi. Romano Danielli in questo non si pone limiti, anzi rafforza la dose, perché può contare su una compagine d’eccezione e lancia a briglia sciolta le maschere burattinesche. Insieme a lui in baracca si uniscono infatti i migliori burattinai emiliani. È già raro oggi vedere due burattinai lavorare insieme, ma vederne addirittura sette è assoluta rarità. Per sé Romano Danielli riserva la parte di Sandrone e il cammeo di Lanternin Patata, caricatura del medico ammazza ammalati. La coppia Fagiolino-Sganapino è appannaggio degli affiatatissimi Marco Iaboli e William Melloni. Balanzone, qui padre di Ginevra, è affidato a Riccardo Pazzaglia. Tartaglia, Brighella e Pulonia sono interpretati da Moreno Pignoni, mentre le parti serie sono riservate a Grazia Punginelli (Ginevra) e a Mattia Zecchi nel doppio ruolo del Conte Almieri e di Roberto, che sarebbe l’innamorato di Ginevra, qui trasformato rodomontescamente in Capitano.

Quello che succede in baracca è un fuoco d’artificio continuo fatto di ritmo serratissimo, dato che fin dai primi istanti trapela chiaro che sono i sette burattinai a divertirsi per primi, dando sfogo a tutto il loro estro e alla loro maestria. Ogni scena è memorabile, in un gioco d’invenzioni sceniche e linguistiche che pare non avere fine. Irresistibile, quanto surreale - ma è un esempio tra i tanti - è la controscena intorno al catafalco di Ginevra, dove i ceri si accendono e spengono a turno non lasciando requie a Sganapino. 

Insomma di ride ininterrottamente dall’inizio alla fine, per poi dar luogo, spettacolo nello spettacolo, al tripudio festoso del colpo di scena della Sandronata di commiato. Un autentico esercito di Sandroni si affastellano alla ribalta, dove diretti niente meno che da Giuseppe Verdi redivivo, tentano di cantare un improbabile Va, pensiero, con tutta la più sanguigna “sandronaggine” immaginabile. Ed è subito ovazione. Ed è subito desiderio di rivedere tutto da capo.
ALFONSO CIPOLLA








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