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Eolo
altrisguardi
CASTIGLIONCELLO 2017
I NOSTRI 3 GIORNI AL FESTIVAL TRA DANZA E TEATRO

Ed eccoci ancora una volta, come da più di dieci anni a questa parte, qui al Castello Pasquini di Castiglioncello, per seguire alcuni giorni, quest'anno gli ultimi tre, dell’edizione del ventennale, inaugurata il 21 giugno, del Festival Inequilibrio, diretto come sempre, con dedizione immutata, da Angela Fumarola per la danza, incentrata nei primi giorni con un focus sulla giovane araba e da Fabio Masi per il teatro.

E noi abbiamo subito iniziato alla grande con la Danza, con un ensemble che seguiamo con amore da più di trent'anni, la compagnia Abbondanza e Bertoni, che ha presentato nel solco della tradizione “La morte e la fanciulla” che, come si evince dal titolo, si ispira al quartetto e al lied schubertiani, capolavori assoluti della musica da camera, anche da noi tra i prediletti.

Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas e Claudia Rossi Valli danzano le note schubertiane completamente nude, mentre di controcampo dietro le quinte una telecamera le riprende in un bianco e nero sgranato, registrandone le imperfezioni dello sforzo. Le immagini, proiettate sul fondo del palcoscenico, fanno da pandant a una danza meravigliosa che fa volare il nostro sguardo verso spazi infiniti che, tra luce e buio, rincorrono Raffaello, Goja, Matisse, Canova e Klimt.

Danza pura che dialoga con le immagini e che si contrappone alla morte testimoniandone la forza e la creatività.

La danza dunque presa nella sua potenza classicità ma che piano piano, nelle altre coreografie da noi viste al Festival, si trasmutano verso orizzonti più quotidiani. Della compagnia canadese di Virginie Brunelle abbiamo visto “Foutrement” con Isabelle Arcand, Claudine Hébert e un danzatore, in qualche modo “fuori formato “, Simon-Xavier Lefebvre. In “Foutrement” il rapporto amoroso, nel continuo gioco delle coppie, viene espresso coreograficamente mescolando il desiderio sensuale con la delusione di un rapporto che non può durare, l'ossessione per il corpo dell'altro con l'impossibilità di possederne l'anima.. Ma lo spettacolo è estremamente ripetitivo e sfiancante, finendo per annoiare anche lo spettatore più armato di buone intenzioni. Il corpo fuori formato, fuori da ogni evidente classificazione che la nostra società con successo ci ha inculcato è al centro dell’indagine che Silvia Gribaudi da parecchio tempo conduce nelle sue performance, il corpo dunque come denuncia di tutte le sovrastrutture che covano dentro il nosro sguardo. A ricordarcelo in “R.osa” è lo splendore assoluto di Claudia Marsicano in “What age are you acting? “ sono Domenico Santonicola, 66 anni e la stessa Gribaudi anni 40, mostrandosi nudi con ironica presenza a ricordarci che non dobbiamo avere paura a mostrare il nostro corpo che dolorosamente invecchia o imperfetto a qualsiasi età. E così ci vengono subitanee le domande. Quante età ci sono dentro ognuno di noi? Quanti anni ci sentiamo? Quanti anni abbiamo davvero? Quali segni lascia il tempo su di noi? Cosa significa rimanere giovani? Cosa significa eternità? Come viviamo la giovinezza?… e la vecchiaia?

Claudia Marsicano invece non esita a giocare in modo ironico e liberatorio la propria importante ed evidente fisicità anche con il pubblico, prendendo lo spunto dalle vecchie lezioni di aerobica di Jane Fonda. Marsicano in perfetto inglese propone dieci esercizi di virtuosismo coreografico e teatrale che catturano lo sguardo del pubblico che dimentica il suo corpo anzi il corpo di Claudia si illumina di luce nuova e portentosa facendosi capace di proiezioni fantasmagoriche che ci illuminano e ci incantano.

Due gli spettacoli che a Castiglioncello hanno destato il nostro interesse “Rzeczy/Cose, di Deflorian/Tagliarini “ e il primo studio di “ Luciano” la nuova creazione di Danio Manfredini, creato come la coreografia della Gribaudi nella coraggiosa fucina della "Corte Ospitale ".

Rzeczy/Cose, di Deflorian/Tagliarini si configura come una specie di prequel di un'altra loro originale e bella creazione di cui avevamo già goduto “ Reality “, dove Daria e Antonio inseguivano poeticamente la memoria di Janina Turek, una semplice e sconosciuta donna polacca che per oltre cinquant’anni aveva annotato minuziosamente ‘i dati’ elementari della sua vita, da quante telefonate aveva fatto e ricevuto a dove e chi aveva incontrato per caso e salutato con un “buongiorno”, tutto annotato nei 748 quaderni trovati alla sua morte nel 2000.

Qui invece gli oggetti che i due attori raccattano dal pavimento dove sono accatastati, spesso riposti in grandi scatoloni, in qualche modo appartengono ai due attori che li hanno trovati nelle loro case o comprati nei mercatini. Ma in modo metaforico quelle cose parlano a tutti noi. Le cose tutte le cose ci parlano e anche quelle cose ci parlano.

Daria Deflorian e Antonio Tagliarini con la loro semplice voce, in una sorta di non teatro ma di colloquio piano e denso con il pubblico le riportano in vita restituendo a loro e d'incanto a noi una memoria che credevamo perduta.

E poi c'è “Luciano di Danio Manfredini, che ritorna al suo mondo che abbiamo riamato da poco rivedendo quel capolavoro assoluto di “Cinema Cielo”. E' un mondo di solitudini che cercano un amore anche fugace. Ma qui quel mondo che avevamo visto racchiuso in un piccolo cinema a luci rosse è amplificato, trasportato vicino a noi in un universo dove la speranza è morta, da dove il divino se ne è fuggito. Tutto è meno poetico, è più trucido e smargiasso, perchè tutto oggi è più trucido e smargiasso. Luciano, Manfredini, sempre meraviglioso nel coprire con la poesia del suo sguardo e delle sue parole il dolore del quotidiano andare e venire, osserva travestiti, marchettari, masturbatori di bagni pubblici di soppiatto, aiutato da comprimari Vincenzo Del Prete, Ivano Bruner, Giuseppe Semeraro, Cristian Conti che si susseguono coperti da maschere a evidenziare un mondo senza speranza alcuna.

MARIO BIANCHI



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