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IL PICCOLO TRA FREUD E ARLECCHINO VISTI DA MARIO BIANCHI
AL PICCOLO TIEZZI /MASSINI E LATINI

Non sappiamo se è stata solo una fortuita coincidenza, ma il fatto che contemporaneamente il Piccolo Teatro di Milano abbia messo in cartellone nello stesso periodo” Freud o l'interpretazione dei sogni” di Tiezzi/ Massini e “Il Teatro Comico, di Carlo Goldoni” firmato da Roberto Latini ci sembra, come si dice, caduto a fagiolo, per una discussione sul concetto di Teatro in tutte le sue forme. Due spettacoli assai differenti tra loro, uno (Freud) che affonda il suo stile in una tradizione classica che in qualche modo si rifà a Ronconi, l'altro ( Teatro Comico) che passando da De Berardinis, arriva a Strehler, ovviamente, imbevendosi dell' 'impronta inconfondibile di un attore -autore come Latini. Latini che del resto avevamo già visto nel ruolo di Arlecchi-no ( e non poteva che essere così) nello spettacolo di Latella, che aveva osato reinventare, rispolpandolo a suo modo, “ Arlecchino servitore di due padroni”. Due spettacoli nella loro differente cifra stilistica che il Teatro Milanese aveva in qual modo il dovere di produrre e ospitare. “Il Teatro comico di Carlo Goldoni” è, come è noto, un testo-manifesto, una delle sedici commedie “nove” che l’Autore presentò in un solo anno, il 1750, per assodare la sua riforma del teatro, per testimoniare come il teatro dovesse e potesse passare dalle piazze dove si improvvisava, ai teatri, dai Caratteri della Commedia dell'Arte ai personaggi reali in carne ed ossa, che vivevano il loro tempo, un po' come fecero Masaccio e Giotto per la pittura. Qui per far rinascere il Teatro dunque bisognava uccidere Arlecchino, e Arlecchino è fatto a pezzi, ucciso subito da Latini per spiegarne anche dopo le ragioni, impersonando in qualche modo lo stesso Goldoni.

Abbiamo citato De Berardinis non a caso, se tra gli attori dello spettacolo troviamo Marco Manchisi, Marco Sgrosso (immensi) e Elena Bucci,formidabile, che formarono l'ossatura della sua compagnia e se l'atmosfera dello spettacolo ci rimanda a “Il ritorno di Scaramouche “,ricordo che rimane ancora indelebile nella nostra memoria.

E dunque la tradizione della Commedia dell'Arte ( che fu innovazione) viene sbriciolata attraverso l'avanguardia degli anni 90 di Leo ( che affondava nella tradizione) e attraverso quella contemporanea, in un gioco di rimandi che a qualche parte del pubblico forse è sfuggita, se un cospicuo numero di spettatori se ne ito alla fine della prima parte.

Questo al Grassi, dall'altra parte allo Strehler, dove tutto è esaurito e dove tutto il numerosissimo pubblico è rimasto sino alla fine, ecco invece ” Freud o l'interpretazione dei sogni”, spettacolo monstre, dove a Gifuni /Freud, come in un sogno, appunto, appaiono i suoi pazienti con le loro vicende umane, narrate tra conscio e inconscio, suscitando dubbi e discussioni e dove piano piano il metodo, il “ sistema interpretativo del mondo” del grande austriaco viene rappresentato sul palco.

Tutto eccellente, a cui partecipa il meglio del teatro italiano, Stefano Massini ( troppe ne pensi e scrivi Stefano !), Federico Tiezzi e Fabrizio Sinisi per l'ideazione e la scrittura , le funzionali scene di Marco Rossi, i bellissimi costumi di Gianluca Sbicca, le luci Gianni Pollini, i video di Luca Brinchi e Daniele Spanò, i movimenti Raffaella Giordano. Anzi potremmo usare per il tutto la parola misurato, che ci sembra più consono, la regia, le scenografie, gli attori tra cui, oltre Gifuni,che regge bene le tre ore di spettacolo, ci è piaciuta molto Sandra Toffolatti che dà spessore a un personaggio in qualche modo minore e Marco Foschi che porta Freud a misurarsi con i suoi incubi, rappresentati sul palco da grandi Lucertole in maschera che gli interpreti di quando in quando portano in processione sul palco.

Siamo davanti a due visioni completamente diverse di Teatro, una che stimola sempre e comunque lo spettatore a capire cosa avviene sul palco, a ragionare su se stesso, sulle forme in cui l'arte si esplica e quindi sui mondi che abbiamo vissuto e che viviamo, sul passato e il presente, un teatro che permette anche al suo autore, a tratti di compiacere sé stesso, attraverso la sua voce riverberandola per il palco, l'altra che naviga su canali prestabiliti, da cui non si può uscire, dove lo spettatore che mediamente dal Piccolo si aspetta queste cose, si adagia comodamente invitandolo ad una rappresentazione di alto “artigianato”, dove può navigare tranquillamente in un mondo a tratti sconosciuto e di cui può approfondirne le ragioni, senza troppo stupirsi. Ma a quello spettatore vorremmo anche dire che per il pubblico e, pur anche per l'attore, andare a teatro è come essere sul lettino del dottor Freud. Sempre, soprattutto quando è grande teatro,il pubblico e l'attore escono dalla sala e dal palco, avendo conosciuto meglio se stessi . Sarà avvenuto ?

MARIO BIANCHI