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recensioni
FIABE PANDEMICHE
ROSSELLA RAPISARDA DI ECCENDRICI DADARO' RISCRIVE PER EOLO "LA REGINA DELLE NEVI" PRIMA PARTE

Eccoli, arrivano! Sussurrò una voce tra le rose”

Non li sopporto, stanno tornando! Rispose una voce tra le ortiche”

Ma sono così belli! E dolci! Aggiunse la voce tra le rose”

Da carie ai denti! Ringhiò la voce tra le ortiche”

Oh, come vorrei … sospirò la voce tra le rose”

Smettila! La interruppe gelida la voce tra le ortiche. Sei nata strega, sorella. Come me.”

Cari lettori, scusate, ma devo fermarmi un attimo.

Prima di cominciare a raccontare questa storia, devo assolutamente svelarvi un segreto.

Credo che nessuno di voi sappia che la Regina delle Nevi, strega potente del Gelido Regno del Nord, nota a tutti per la sua crudeltà, aveva una sorella. Una sorella gemella, per di più. Uno specchio! Una sorella gemella uguale uguale a lei dalla testa ai piedi, ma diversa diversa da lei dai piedi alla testa. Pensate, era così delicata e romantica che, appena poteva, scappava dal suo sontuoso Regno per inseguire la primavera, ovunque fosse in quel momento! Oh, come amava il profumo dei fiori! Ah, che vergogna per la Regina!

Una vergogna non solo per me, ma per tutta la nostra stirpe! Tant’è che, per tenerla ancora più nascosta, - si intromise tagliente la voce tra le ortiche - non le abbiamo neanche dato un nome” - e continuò - “La sorella sbagliata, la Gemella, chiamatela così! È solo un inganno: la mia stessa faccia, le mie stesse mani, tradite però da un cuore disgustosamente puro. Puah!” Concluse, con ribrezzo, la voce tra le ortiche.

Ora sarà più facile per voi, cari lettori, capire perché la Regina si sentiva condannata a rincorrere continuamente la sorella e a riportarla al castello: era eternamente terrorizzata che potesse combinare qualcosa di tremendamente buono. Con la sua stessa faccia, poi! E i suoi stessi occhi color del ghiaccio! E con la sua stessa pelle scintillante come la neve! Avrebbero scoperto tutti il suo segreto, la sua vergogna, la sua debolezza!

Sa-sarebbe la fi-fine del mi-mi-mio Regno!” Balbettò, stridula, la voce tra le ortiche, che non riusciva mai a non intervenire su questo doloroso argomento.

E facendo sbucare l’indice sinistro dalle ortiche e indirizzandolo verso le rose minacciò: “Ti guarirò io, sorella orribile! A modo mio! Strega sei nata e strega morirai!”

A questo punto dovete anche sapere, cari lettori, che la Regina già da molti ma molti anni provava di tutto per farla “guarire” e vederla a lei somigliante non solo nell’aspetto. Così aggiungeva, nelle gustose pietanze che venivano puntualmente ed elegantemente servite a tavola, zuppe di denti di draghi infuriati, fegati trifolati di gnomi coraggiosi, decotti di bile di megere vendicative, lingue caramellate di serpenti bugiardi e crostini bicolori di cuori neri e di cuori secchi, ma nulla! Nessuna di queste potenti pozioni magiche sembrava scalfire l’animo della gemella, sempre intenta a leggere, di nascosto, libri di favole a lieto fine (proibite alle streghe) e a inventare come scappare di nuovo, all’improvviso, appena il suo naso riusciva a distinguere, tra i fiocchi di neve e il vento di ghiaccio, quel richiamo lontano, lontanissimo, dello sbocciar dei fiori.

Oh, nascondersi tra le rose e conoscere il mondo degli uomini…”

Intervenne con voce tremula - dopo tanto silenzio - anche la voce tra le rose, che invece non riusciva a star zitta quando si parlava di primavera.

Ecco, amici lettori, ora siete davvero pronti per questa storia, che comincia in un giardino pieno di rose appena sbocciate.

E sono sicura che, a risentirlo, quel misterioso dialogo iniziale vi sembrerà molto più chiaro e, soprattutto, so che riuscirete a indovinare da soli chi, tra le rose di quel giardino, sussurrò:

Eccoli, arrivano! Sono così belli! E dolci!”

Ad arrivare, annunciati dalla voce sottile che avete appena sentito, erano Gerda e Kai, due bambini che si volevano molto molto bene. I due amici, inseparabili, venivano, come tutte le sere di ogni primavera, a giocare tra i fiori e a dissetarsi con l’acqua fresca del pozzo, posto al centro di questo bel giardino colorato.

Da carie ai denti!” Ringhiò una voce tra le ortiche, scavalcando la voce tra le rose che canticchiava:

E che bello il tramonto stasera! E che bello questo giardino con il pozzo!”

Odio queste tue stupide frasi, le tue rose e quei due bambini” alzò il volume la voce tra le ortiche

Oh, come vorrei …” sospirò noncurante la voce tra le rose

Smettila o chiedo al pozzo di inghiottirli!” sibilò la voce tra le ortiche

Ci fu un attimo di silenzio. Poi due mani spostarono le rose. E altre due mani, identiche, le ortiche.

Poi due occhi color del ghiaccio si affacciarono tra le rose e, un istante dopo, gli stessi occhi tra le ortiche.

Le due gemelle guardavano fisse il pozzo.

Una con paura, l’altra con un ghigno diabolico.

La Regina delle Nevi aveva avuto un’idea degna della sua fama, che la dipingeva bella e crudele.

E quella diabolica idea le venne proprio vedendo Gerda in piedi sul bordo del pozzo come fosse sul palcoscenico, intenta a recitare una poesia, scritta da lei, dedicata al suo amico Kai per il suo compleanno:

Le rose non perdono il profumo mai e amici per sempre saran Gerda e Kai

Mai? Amici per sempre?!”

La Regina rideva di gusto; queste “sciocchezze umane” - come lei amava definirle con una smorfia beffarda - le avevano dato l’idea per un maleficio senza precedenti.

Ma come ho fatto a non pensarci prima!” Si chiese volgendo lo sguardo verso la gemella, poi le accennò un sorriso e pensò:

Uguale, ma il mio contrario”

La Regina sorrise di nuovo, mordendosi leggermente il labbro inferiore, pregustando la sua vittoria. Era tutto improvvisamente così chiaro!

Per “guarire” quella scomoda sorella e farla diventare una strega degna del suo nome, doveva prima “ammalare” il mondo che lei amava così tanto. Quello degli uomini. E così fu.

“…e amici per sempre saran Gerda e Kai... Kai e Gerda, Gerai e Kaierda… sì, Kaierda!”

I suoi perfidi pensieri furono interrotti, all’improvviso, da un singhiozzare disperato tra le rose - “Stupida sorella” mugugnò la Regina - e dalle voci dei due bambini, che ripetevano, sempre più veloci, sempre più veloci, le parole della poesia e mischiavano i loro nomi, ridendo forte, girando, fino a cadere a pancia in su nell’erba, mano nella mano.

Felice com - singhiozzo- compleanno Kai!” si distinguevano appena appena, tra le rose, frasi interrotte, sussurrate e confuse come “… che bella po - singhiozzo - poesia Gerda, vorrei cambiare - singhiozzo - il mio destino, restare qui - singhiozzo - odio - singhiozzo singhiozzo - il mio regno - amo le vostre rose - sospiro - le rose… oh misera me - singhiozzo sospiro e singhiozzo”.

La Regina non si fece scappare l’occasione. Era il momento perfetto per mettere in atto il suo piano malvagio.

Sorellina buona - e sottolineando questa parola deglutì sonoramente - non posso più sentirti piangere così. Tu mi commuovi!”

La Regina delle Nevi era assolutamente convincente, con quelle sue mani bianchissime appoggiate al cuore, il capo leggermente reclinato a destra e gli occhi rivolti al cielo. Rimase in quella posizione quasi un minuto - voleva creare la giusta “suspance” - poi continuò:

E allora ho deciso che, per onorare il compleanno di quel Kai che ti piace tanto e rendere meno “lacrimoso” il tuo ritorno obbligatorio - le disse “obbligatorio” minacciandola con l’indice della mano destra - al nostro Regno, fissato per stanotte, al primo canto del gufo - era intanto tornata falsamente gentile - beh, ho deciso che, oggi e solo per oggi, sarò… b u o n a – e, scandendo questa parola, quasi soffocò per un improvviso attacco di tosse - anche io.”

La gemella sbucò di colpo dal cespuglio di rose, sgranò gli occhi e si mise ad ascoltare, con il fiato sospeso.

La regina delle Nevi disse - gesticolando con entusiasmo - che aveva avuto un’illuminazione e che, per lasciare un segno indelebile nella storia degli umani, aveva pensato di trasformare l’acqua del pozzo in uno specchio magico, in grado di materializzare i desideri di chi vi si fosse riflesso.

Un pozzo dei desideri, che attrazione! Un regalo non solo per Kai, ma per tutti quelli che ne verranno a conoscenza!” E continuava a ripetere ossessivamente: “Pensa, sorellina, pensa a come cambierà il mondo degli uomini grazie a noi!”

Ormai esaltata, sicura di non destare alcun sospetto, la Regina portò di scatto la testa all’indietro e fece la classica risata da strega: “Ahahah! Ah! Ah!” che a voi, cari lettori, ormai non fa più paura, tante le volte che ve l’hanno recitata le nonne e le mamme prima di dormire, e le maestre a scuola.

Poi, fermandosi di colpo promise solennemente: “E, sorellina cara, se ti comporterai finalmente bene al castello… avrai il permesso, allo sbocciare dei primi fiori della prossima primavera, di tornare qui, da sola, al giardino delle rose, per rivedere Gerda e Kai e come il mondo sarà meravigliosamente cambiato grazie al meraviglioso, meraviglioso e meraviglioso pozzo dei desideri…”

La Regina stava esaurendo gli aggettivi. Aveva parlato abbastanza. Ora toccava alla gemella.

La guardò. Lei, confusa, sembrava ancor più fragile delle rose che la circondavano, ma disse “Sì!” di slancio, senza pensare a nient’altro se non al fatto che sarebbe ritornata qui, al giardino di Gerda e Kai, la prossima primavera!

La Regina strappò quindi un capello dalla testa della sua gemella e lo intrecciò a uno dei suoi.

Guarda, identici! Chi potrebbe mai dire, adesso, qual è il mio e quale il tuo?” E aggiunse tra sé e sé: “Che grande idea mi hai dato - senza saperlo - gemella mia!”

Poi si avvicinò al pozzo, da sola.

Non chiedetemi dunque, cari lettori, la formula completa per trasformare l’acqua in uno specchio magico, perché nessuno ha potuto ascoltare; l’unica cosa che posso dirvi, però, è che, nel suo bisbigliare, si sentivano chiaramente queste due parole: “Il brutto è il bello e il bello è il brutto”, parole non nuove nel mondo delle streghe famose, ma questa è tutta un’altra storia.

La Regina, a un tratto, sollevò la mano sinistra al cielo, la chiuse in un pugno e il sole sparì dietro alle nuvole. Poi riaprì la mano lentamente dentro al pozzo e si alzò un vento gelido, improvviso, che fece rabbrividire i due bambini distesi a ridere nel prato. Si alzarono d’istinto e decisero di tornare a casa. Appena vide il giardino vuoto, iniziò a scuotere le braccia come fossero attraversate dalla corrente elettrica e l’acqua del pozzo comincio a bollire, a borbottare, a sibilare al ritmo incessante delle sue parole: “…ilbruttoèbelloilbelloèilbruttoilbruttoèilbelloilbelloèilbrutto…”

Poi tacque. Si sentì uno stridere e un lampo di luce uscì dal pozzo. Tornò il sole.

La sorella della Regina corse verso il pozzo, curiosa e anche un po' spaventata. Si affacciò. Ci volle un attimo per abituare gli occhi a quell’intensa luce riflessa, poi vide nitidamente: l’incantesimo era riuscito e, al posto dell’acqua fresca, sul fondo del pozzo c’era un enorme specchio!

La prima cosa che fece fu salutare, sorridendo, la sua immagine riflessa, come fanno i bambini; ma poi, improvvisamente, si ritrasse e con un grido soffocato, portandosi le mani al volto, disse:

Quella non sono io! Voglio dire… sono io! Ma non sono io!”

Mi sembri un po' confusa sorella, cosa vuoi dire?” Incalzò la Regina con un ghigno che non lasciava presagire nulla di buono.

Mi sono vista fredda e crudele, proprio come te! Anzi, nel mio riflesso, ho visto te, io ero te, ma io non voglio essere te!” E urlando queste ultime parole, scappò lontano dal pozzo.

Ah, mi ero dimenticata di dirtelo!” La Regina arrestò la sua corsa afferrandola per un braccio e le confidò, stringendo la presa, “…questo specchio è così magico che non solo ha il potere di riflettere in maniera identica ed opposta, come ogni altro specchio, ma… come dire - si schiarì la voce come prima di un discorso pubblico - diciamo che… che amplificherà gli… opposti.”

La sorella della Regina era talmente spaventata che non riusciva a seguire quel discorso complicato, ma sentiva, e una vocina dentro di sé continuava a ripeterlo, di essere stata ingannata e che lei, senza volerlo, era stata complice di quell’inganno.

Essendo poi uno specchio nato in un pozzo - la Regina intanto non aveva mai smesso di parlare - porterà alla luce i lati più nascosti e bui di chi si rifletterà e realizzerà tutti desideri più… come dire… odiosi… sì, quei desideri che, magari, non sappiamo neanche di avere! AHAHAH! AH! AH!”

La Regina sembrava aver concluso il discorso con la solita risata da manuale, invece aggiunse trionfante: “E se è vero quello che racconti sempre del mondo degli uomini… “Oh come sono beeelli, oh come sono dooolci” - scimmiottò la gemella ormai in lacrime - non c’è nulla da temere, sorellina! Vedrai… chiederanno solo cose buooone” - Tornò a prenderla in giro - e lasciò andare il suo braccio, che ricadde senza forze lungo il fianco.

Potete immaginare, cari amici, quante emozioni, tutte insieme, stavano attraversando la povera sorella della Regina, che era passata, in un secondo, dalla felicità alla tristezza più assoluta e alla paura, tanta paura. Si sentiva come paralizzata: voleva rompere quel maleficio, ma non ne era capace. Voleva avvertire i suoi piccoli amici gridando loro nel sogno “Gerda, Kai! Distruggete quel pozzo! Non fatevi contagiare dallo specchio!”, ma non ne era capace. Intanto era arrivata la notte e il gufo aveva appena cantato. In un attimo, una folata di ghiaccio avvolse le due sorelle e uno slittino bianco le portò via, prendendo la direzione del Gelido Regno del Nord.

Lettori cari, approfittiamone: abbiamo un attimo di tempo solo per noi; la Regina e sua sorella stanno tornando al castello e Gerda e Kai stanno dormendo. Prendo questo tempo prezioso per svelarvi un altro segreto, che purtroppo Gerda e Kai non conoscevano. Quello che dovete sapere è questo: se dovesse mai apparirvi, in sogno, una ragazza dagli occhi color del ghiaccio e dalla pelle scintillante come la neve, che dice di essere la sorella buona della regina delle Nevi - quella che insegue le rose a primavera - e vi dicesse di fare qualcosa per lei… ecco, non lo fate! Solo la crudele Regina delle Nevi conosce la formula per entrare nei sogni dei bambini, quindi tappatevi gli orecchi o svegliatevi subito. Altrimenti vi suggerirà di fare sempre qualcosa di malefico o pericoloso, come successe a Gerda e Kai che, quella notte, ebbero lo stesso sogno nello stesso momento…

Era tutta vestita di bianco” aveva cominciato a raccontare la bambina

Anche la mia!” l’aveva interrotta Kai, iniziando a correre verso il giardino delle rose

Io per prima! Io per prima! Me l’hai promesso!” Gerda lo raggiunse con uno scatto felino

Il sogno era cominciato, per entrambi, con un’abbondante nevicata. Poi, dietro i fiocchi di neve - come dietro a un sipario bianco - appariva una ragazza bionda, con gli occhi color del ghiaccio, che si presentava facendo un inchino gentile e dicendo: “Sono la buona Regina del Nord” richiamarono alla memoria Gerda e Kai, guardandosi con lo stupore negli occhi.

Poi la Regina andava a sedersi su una sedia di ghiaccio e si pettinava davanti a uno specchio. Ad ogni colpo di quel pettine color del fuoco, apparivano pietre preziose, monete d’oro, gioielli, giocattoli, prelibatezze di ogni genere e vestiti di ogni colore. Man mano che aumentavano gli oggetti, lo specchio si ingrandiva, sembrava quasi nutrirsi di ciò che appariva.

E a un tratto lo specchio parlava!” ricordò Gerda

Kai ne imitò subito la voce e la sua buffa abitudine di tirar su con il naso: “I sogni diventan realtà - sniff - Andate al pozzo, coraggio, che vi aspetta la magia!”

Il pozzo - sniff - che disseta ogni vostro desiderio - sniff sniff - ma uno al mese e non di più! Non di più! Non di più!” canticchiarono, allegri e all’unisono, i due bambini.

E finalmente, senza più fiato per la gran corsa e per l’emozione, Gerda e Kai erano davanti al pozzo.

Come vorrei, miei cari lettori, non dovervi raccontare quello che tra poco succederà e che darà inizio a un periodo così buio che nessuno potrà mai dimenticare. Come vorrei regalarvi subito un lieto fine, ma ho promesso, sin dall’inizio, che non avrei avuto segreti con voi. Dovete sapere!

E allora torniamo al giardino delle rose. Gerda sta per affacciarsi dal bordo del pozzo e tra poco i suoi occhi incontreranno quelli dello specchio.

Non so cosa chiedere, Kai!” la bambina si era fermata di colpo, prima di guardare giù.

Kai scoppiò a ridere “Lo sapevo, lo sapevo! Hai paura! Faccio io, scendi”

Gerda lasciò di buon grado il posto a Kai che, senza alcun indugio, guardò il fondo del pozzo.

L’acqua è diventata davvero uno specchio!” esclamò Kai al colmo dello stupore, poi si stropicciò gli occhi e ammutolì.

Cosa vedi? è bello? cosa hai chiesto? ti risponde? cosa vedi? è bello? cosa hai chiesto? …”

Le domande di Gerda sembravano non raggiungere nemmeno il bambino, che restava in silenzio, con la testa in giù e le gambe, immobili, appese al muretto.

La bambina lo guardava fisso e cercava di indovinare: non sembrava allegro, ma neanche triste o deluso. Era solo strano. Poi ci fu un gorgoglio, come quando si ha fame e la pancia reclama, e dal pozzo saltò fuori un pettine - come quello del sogno! - color rosso fuoco. Kai lo prese al volo, poi guardò Gerda.

Allora, Kai?”

Ma, non saprei … è … diverso” - mentre parlava aveva cominciato istintivamente a pettinarsi, come la regina nel sogno - “forse…forse questo specchio è un po' difettoso”

Difettoso?” la bambina cercava di capire che cosa volesse dire

Mi ricordavo più bello!” Kai fece una battuta spiritosa. Ma un fondo di verità c’era – purtroppo - e voi, cari lettori, che state aspettando impazienti il turno di Gerda, lo sapete fin troppo bene.

E comunque questo pettine non funziona!” continuò Kai che voleva cambiare discorso: “Mi pettino in continuazione e non appare niente di quello che ho chiesto, anzi - aggiunse sbattendo le palpebre - mi sono anche dimenticato… ma io che cosa avevo chiesto?”

Adesso Kai sembrava confuso. Distese il braccio e offrì il pettine alla sua amica “Vuoi provare? E se non funziona, puoi tenerlo. Così almeno ti pettini, che sembri un gomitolo di lana!”

Gerda prese il pettine e lo lanciò con rabbia tra le ortiche. Kai non le aveva mai detto una cosa così poco gentile. Decise quindi di tornare a casa, immediatamente, senza provare lo specchio. L’avrebbe fatto l’indomani, o il giorno ancora seguente, quando Kai le avrebbe chiesto scusa e lei avrebbe saputo cosa chiedere. Gerda era una bambina molto precisa - lo dicevano tutti - e non voleva sbagliare o dimenticarsi il desiderio come era successo a Kai.

Intanto il racconto del sogno di Gerda e Kai passava di bocca in bocca. C’era chi alzava gli occhi al cielo, chi diceva: “Oh, Beata gioventù!”, chi chiamava amici e parenti e chi non lo diceva a nessuno, chi faceva la lista dei desideri come fosse quella della spesa, chi scoppiava a ridere, ma chiedeva, con malcelata indifferenza, l’indirizzo del giardino, chi decideva di alzarsi presto per essere il primo della fila - perché la fila ci sarebbe stata - e chi era già pronto davanti al pozzo.

La notizia giunse, però, anche all’orecchio del sindaco, che decise - creando ancor più desiderio del desiderio - di inaugurare il pozzo con una cerimonia ufficiale e di scriverlo anche sul giornale, in prima pagina! E già si immaginava di fianco alle persone più importanti della città sotto al titolo:

Il paese dei Desideri senza interessi” propose il banchiere.

Il posto del pozzo che brilla!” suggerì il venditore di diamanti.

Il pozzo pazzo o il pazzo pozzo!” insisteva il capo dell’ospedale psichiatrico.

Il pozzo che puzza!” azzardò il direttore della fabbrica di profumi. Ma venne fischiato subito.

Alla fine, decisero che cercare il titolo era solo una perdita di tempo, quindi tagliarono il nastro e diedero sette regole - fondamentali - da rispettare:

1. mettere le mani - pulite - sul bordo

2. guardare giù

3. aspettare che il pozzo liberi il pettine rosso

4. pettinarsi senza avvicinarsi troppo agli altri, per non mischiare i desideri

5. aspettare in casa l’arrivo del desiderio materializzato e non lamentarsi se diverso dalle aspettative. Il pozzo non sbaglia mai

6. Una volta ricevuto il pettine, ricordarsi di esprimere il desiderio massimo una volta al mese

7. O così o niente

Solo Gerda aveva optato per il “niente” e guardava quella fila interminabile da lontano. Era sola, seduta sul marciapiede: Kai si era dimenticato del loro appuntamento. Era triste per questo ed era così pentita di aver raccontato a tutti del suo sogno, ubbidendo, però, a quello che le aveva chiesto di fare la “buona Regina”!

Che bugiarda! la Regina delle Nevi è così bugiarda! Scusate lo sfogo e se intervengo in un momento così delicato, cari lettori, ma, vi prego, non dimenticate mai quello che vi ho confidato prima. La regina buona non sa davvero come entrare nei vostri sogni! E quanto mi dispiace, sarebbe stato tutto più facile…

Intanto, sotto la pioggia incessante del “flash” e del “click” dei giornalisti, il primo della fila - in coda da un giorno e una notte - si stava avvicinando al bordo del pozzo. Fu un duro colpo per gli organizzatori e per lo sponsor - una nota marca di prodotti per i capelli - costatare che proprio il numero uno sarebbe stato un uomo completamente calvo. Si consultarono velocemente, ma riguardo la calvizie non trovarono regole da far rispettare. Decisero quindi, in velocità, di immortalarlo comunque, mentre si pettinava la cute: “Flash!”.

Appena conclusa la cerimonia ufficiale, l’ordine della fila si ruppe e ci fu la corsa verso il pozzo. A fatica gli uomini in divisa riuscirono a ristabilire l’ordine e la distanza tra le persone, mentre i volontari con la pettorina rossa cercavano di proteggere le rose del giardino, e quelli con la pettorina gialla, all’uscita, distribuivano un promemoria con data e ora, per calendarizzare - ripetevano proprio questa parola precisa che non ammetteva margini di fantasia - l’appuntamento mensile con il “pettine del pozzo”.

Il primo giorno rasentò la follia: la fila sembrava riprodursi in continuazione. Quelli che ricevevano il pettine, o scappavano a casa come saette, oppure tremavano come foglie per paura di perderlo prima di essersi pettinati “almeno una volta!”, e anche i giorni successivi non furono da meno.

La gente arrivava ormai da tutto il mondo: era la pandemia del desiderio “pret-à-porter”.

Il pettine rosso era diventato, quasi per tutti, il primo pensiero. Se ne parlava ovunque: alla televisione, sui giornali, al lavoro, per la strada.

Diventò, ben presto e per molti, quasi impossibile aspettare - un mese intero?! - prima di potersi pettinare per avere, ricevere, possedere qualcosa di nuovo.

No, non è un caso che non abbia scritto la parola “desiderare”, amici miei. Dovete sapere che le persone stavano pian piano dimenticando quali erano stati i loro primi desideri: a loro insaputa, più si pettinavano, più cancellavano i ricordi e l’immaginazione. Spariva quasi subito - orrendo maleficio! - la memoria del cuore¬, quella che conosce la poesia dei fiori e i pensieri della luna, le promesse fatte agli amici, l’allegria del girotondo e lo stupore di un punto di domanda. Un colpo di pettine, un altro e un altro ancora, e lo specchio del pozzo sceglieva, con cura, il desiderio più pericoloso per ognuno, andando, di volta in volta, a nutrire - come nel sogno di Gerda e Kai - la parte buia, sconosciuta e distruttiva della loro bellezza.

E, nel frattempo, gli uomini si convincevano che quello che ricevano era proprio ciò di cui avevano bisogno.

Sulle vette ghiacciate, intanto, dalla parte opposta della terra, La Regina delle Nevi, osservava tutto questo attraverso il suo fedele specchio - sì, cari lettori intuitivi, proprio quello del sogno, quello con lo “sniff” quando parla - e rideva tutta soddisfatta: “AH…”

No... Scusate. Mi devo fermare un attimo, amici, per chiedervi un piccolo favore. Non vorrei più scrivere “AHaHaH! AH! AH!” tutte le volte che vi devo descrivere la Regina che ride, ormai sapete perfettamente come fa! Quello che non sapete è che - vi sembrerà strano, ma è la verità - scriverlo, per me, è sempre un po' un dolore. Ogni volta che lo faccio, ne sento subito il suono nitido e acuto e mi sembra quasi di rivederla, trionfante, mentre butta all’indietro la testa, spargendo fiocchi di neve dappertutto. Per cui, se siete d’accordo, eviterei di darle altro spazio nella mia mente. Ne ha già troppo in questa storia, purtroppo.

“…E, purtroppo, vissero tutti troppo. Fine.” La sorella della Regina delle Nevi alzò di scatto la testa dal libro e lamentò: “Ma questa frase è orrenda, questo finale è orrendo! La prossima volta…”

La prossima volta…” - intervenne prontamente la Regina, porgendole un nuovo libro dalla copertina di ghiaccio - “leggerai il secondo volume, questo, che è ancora più educativo: moriranno tutti. Fine.” La sorella della Regina abbassò gli occhi e sospirò.

Comportarsi bene” al castello significava anche questo: leggere un libro nero e un libro di ghiaccio al giorno. Tutti i giorni. Il primo per incattivire i pensieri e il secondo per raffreddare il cuore. Era una vera sofferenza per lei, innamorata delle storie a lieto fine che aveva scoperto, per caso, durante una delle sue prime fughe di primavera.

Era andata così: rincorrendo il richiamo delle rose, si era trovata nel giardino di una scuola. Una maestra - che aveva capito come rendere felici i suoi bambini - stava leggendo un libro colorato seduta nel prato e le sue parole diventavano canto di uccello, volo di farfalla e profumo d’erba. I bambini, attentissimi, si alzarono soltanto quando il suono della campanella ricordò loro che la scuola, per quel giorno, era finita. Corsero al cancello che si apriva. La scuola si svuotò in un attimo e, altrettanto velocemente, si riempì di silenzio. Il prato, schiacciato qua e là, custodiva il ricordo di quella classe dai grembiuli bianchi e, di fianco all’impronta di un bambino distratto - che ormai era già sulla strada di casa - era rimasto un libro aperto.

La sorella della Regina delle Nevi si avvicinò timidamente. Lo raccolse, lo annusò: sapeva di buono. Lesse il titolo: “Alice nel paese delle meraviglie e cento altre meravigliose storie”. Cominciò a leggerlo e diventò subito sera, poi arrivò la notte e il gufo cantò. La Regina l’aveva trovata e, infuriata, l’aveva riportata al castello. Ma quella volta non ci tornò sola: ben infilato sotto il mantello, c’era il libro che sapeva di buono, con Alice e cento altre storie di cui si innamorò perdutamente.

Ma quando arriva la primavera?” domandò - senza rendersi conto - a voce alta, ritornando alla realtà dopo essersi persa, per un attimo, in quel dolce ricordo.

La primavera? Aspetti già la primavera, ingenua sorellina?” schernendola, la Regina si allontanò muovendo le braccia come una farfalla e, dirigendosi verso la sua stanza, cantava ripetutamente:” …che fretta c’era… maledetta primavera… maledetta io e teee”.

Era insopportabile sentirle rovinare, con quella voce pungente e con quelle braccia che svolazzavano - alzando folate di vento e ghiaccio - una parola tiepida e morbida come “primavera”. Divenne improvvisamente triste.

Ma doveva essere abituata a essere presa in giro! - direte voi, cari lettori - e avete ragione. Eppure, quella notte, non riusciva a prendere sonno. Qualcosa l’aveva spaventata. Venite con me nella sua stanza e guardate voi stessi se non dico la verità: eccola, distesa con gli occhi sbarrati.

Sospirando, la sorella della Regina si girava e rigirava nel letto e apriva e chiudeva il suo libro proibito e segreto. Non era neanche servito leggere l’ultima pagina di undici storie diverse - sono ben undici finali a lieto fine! - che, quando piangeva, ne bastavano sei. Niente da fare, quella canzoncina la perseguitava! C’era qualcosa in quelle parole: “… che fretta c’era, primavera…” che faceva eco a quelle che già la perseguitavano, amplificando il suo turbamento. Continuava a ripetersi: “… il bello è il brutto, maledetto e maledetta, pozzo e primavera…vieni in fretta, primavera! … che fretta c’era, che fretta c’era…” Improvvisamente, si mise a sedere di scatto. Trattenne il fiato per un istante, poi esclamò: “Il tempo!” Ma quanto tempo era passato da quel giorno di primavera? Non lo sapeva. Mise le mani davanti al viso e chiuse gli occhi: le sembrò quasi di risentire la voce di Gerda che, in piedi sul bordo del pozzo, con una rosa in mano, declamava: “Le rose non perdono il profumo mai e amici per sempre saran Gerda e Kai”. Si commosse a quel ricordo. Poi tornò ad agitarsi… perché, quell’anno la primavera sembrava non arrivare mai? Nessun richiamo di fiori si era infilato tra i fiocchi di neve. Nulla. “Forse sono solo impaziente!” - cercò di convincersi - “E presto tornerò al giardino delle rose! E rivedrò Gerda e Kai giocare! E il pozzo non avrà fatto del male a nessuno!” eppure, una vocina dentro di lei, le diceva di aprire gli occhi. E invece, sfinita, li chiuse e si addormentò.

Il sonno era finalmente arrivato. La primavera, invece, non sarebbe arrivata mai. Ma questo, ancora, lei non lo poteva sapere. La sorella della Regina non poteva neanche immaginare quello che stava accadendo lontano dalla sua vita al castello, scandita dall’obbligo della lettura dei libri che odiava, compensata dal conforto del suo libro segreto, durante le lunghe riunioni pomeridiane del circolo polare delle streghe, le cene sontuose servite a mezzanotte nella sala del camino sempre spento e le lezioni di storia, dove venivano ripetuti, a memoria e in ordine cronologico, i nomi delle Streghe più illustri e venerate: quelle che erano riuscite a scatenare guerre agguerrite, catastrofi catastrofiche e virus virulenti facendo poi ricadere, in modo geniale, la colpa sempre sugli altri. La Regina delle Nevi bramava la fama e si preparava, nella sua mente, a entrare trionfante in quell’elenco. Si faceva i complimenti da sola e preparava sorrisi da passerella. Bisognava proprio ammetterlo, la sua era stata un’idea geniale e le stava già regalando le prime soddisfazioni: “Sss… scompiglio, Sss… separazione, Sss… superficialità, Sss…”.

Non interrogatevi, amici lettori, su questo suo nuovo strano modo di parlare, sarebbe difficile indovinarne il motivo. Soddisfo io la vostra curiosità: ogni giorno, la Regina, si divertiva a scegliere una lettera dell’alfabeto per descrivere gli effetti provocati dal suo maleficio mentre, come una marionettista provetta, muoveva i fili dei suoi malcapitati burattini, gli uomini, che lei amava definire “i miei giocattolini in scatola”. Li chiamava così riferendosi al fatto che ormai vivevano quasi tutti sempre in casa. Quanto non sopportava invece - si rosicchiava le unghie al loro pensiero - quei “sovversivi” che non andavano al pozzo. Spaesati, ma forti, resistevano con scarpe da ginnastica, libri, musica e il loro inno: “Questo mondo è impazzito, è un enorme, indaffarato niente…”, li scimmiottò la Regina con una vocina ridicola facendo ruotare i pugni a destra e a sinistra come fosse in discoteca. Poi sbuffò e promise a sé stessa:” Vi avrò tutti! È solo una questione di tempo”. Detto questo, andò nella sua stanza a giocare con un altro tipo di “tempo”. Decise - per esperimento - di far cadere della neve a fine estate! - “iii… indifferenza generale. Bene.” Le scuole restarono chiuse per la neve - “iii… incuranza generale. Bene.” Le persone sembravano non fare più caso a niente o, semplicemente, era sparito il punto di domanda - “iii… indolenza generale. Molto bene.” - E prendeva appunti: “Non aspettano più nessuna primavera e lei, dimenticata, si addormenterà sottoterra.”


E arrivò quella “lunga notte senza luna” che la Regina aspettava da tempo. “iii…” Il suo vocabolario - iiii… intanto - si arricchiva in continuazione - era di nuovo il turno della i - “iii… incomprensione generale”. Bella parola! Si ritenne soddisfatta. Ripeté, a voce alta: “incomprensione” e ne masticò il suono e il suo significato: “in ca pa ci tà di comprendere i sentimenti o le necessità di un’altra persona.” Si fece un piccolo applauso – garbato - e disse: “Ci siamo”.

Tremo al pensiero di quel momento in cui quella nuova, malvagia idea la attraversò e la fece ridere di gusto - come usava fare lei - ma quella volta lo fece così forte che la sorella la sentì dal fondo dell’ultimo corridoio del castello. Senza riflettere corse verso la camera della Regina, ma piano, senza farsi sentire. Si avvicinò alla sua porta: era stranamente aperta. Vide tutto: la Regina in piedi davanti al suo specchio. Il pozzo riflesso nello specchio. Il giardino delle rose ghiacciato. Le dita della regina che diventavano chiodi. Il pozzo che sembrava dentro la stanza. Quegli artigli appuntiti giù, con forza animale, dentro al pozzo. Quello stridere assordante. E sotto, costante, la sua risata. Lei, sulla porta, impietrita, non poté proprio far nulla per impedire che la Regina pronunciasse quelle parole che trascinarono il mondo degli esseri umani, verso un nuovo evento catastrofico.

Pausa. Cari lettori, scusate, mi devo fermare. Mi è mancato il fiato - mi succede quando le parole prendono vita intorno a me e mi sembra di vedere tutto - e vi devo anche confidare che la sorella della Regina mai e poi mai potrà dimenticare come si sentì nella sua impotenza. Quello che accadde dopo questo maleficio lo saprete ben presto. Succederà tutto in un istante e sarà un duro colpo anche per voi. Ma - per favore - ancora un attimo: come in un film, spostiamo la nostra attenzione su Gerda e Kai, lasciando il Regno del Nord e tornando sulla terra. Per poter capire cosa succederà, dovete essere a conoscenza di cosa era già successo.

Dopo quel brutto giorno del desiderio al pozzo, le cose erano stranamente cambiate. Kai era diventato distratto e distaccato e Gerda aveva sofferto molto per questo, ma neanche i suoi genitori se ne erano accorti, anch’essi assorbiti dal vorticoso caos di quei giorni di file interminabili davanti al pozzo. Per fortuna fu subito estate e, come ogni anno, Gerda raggiunse la nonna sulla collina dietro al bosco. Lì, dopo tanti giorni, lontana da quella febbre collettiva, si sentì di nuovo a casa. La nonna non sarebbe mai andata a quel pozzo: “Ho già qui il mio tesoro!” diceva strizzando l’occhio a Gerda, anche se non lo sapeva fare - li strizzava sempre tutti e due insieme in un’espressione così buffa che faceva divertire la bambina -. La nonna aveva un coniglietto bianco e le galline “dalle uova d’oro” - diceva lei - perché facevano delle uova enormi, dal tuorlo giallissimo e dolce… “Piacevano tanto anche a Kai” - pensò, mentre un velo di lacrime le appannava gli occhi. Si era ricordata che, ogni volta, prima di partire per l’estate dalla nonna, Kai le faceva promettere – solennemente - che, al ritorno, avrebbero fatto insieme la “frittata preziosa” perché era fatta con le uova d’oro e perché preziosa era la loro amicizia. Questa volta, invece, si erano salutati di fretta: “Ciao Gerda, ci vediamo dopo l’estate” aveva detto spiccio e aveva aggiunto: “Adesso devo andare. Mi aspettano i miei amici, per fare i giochi da maschi”.

Gerda si sentiva ancora ribollire il sangue. Che frase stupida! E poi detta da Kai! Dal suo amico Kai… Tornò al presente con una carezza. Si girò. Si asciugò le lacrime e disse: “Nonna”. E l’abbracciò. L’estate trascorse tranquilla in collina, mentre tutto intorno, il mondo sembrava impazzito. Il pozzo era sempre gremito di persone, arrivavano sia di giorno che di notte, secondo l’emisfero di partenza. Le case, in ogni città e paese, erano stracolme di oggetti - inutili - ma “assolutamente indispensabili!” e “proprio quello di cui avevo bisogno!”. C’erano famiglie con sette televisori, uno per ogni giorno della settimana, altre con frigoriferi strapieni “che non si può mica restare senza”, e altre con automobili, esclusivamente rosse, accatastate in giardino, solo per bellezza.

La gente riceveva i regali più strani, ma sembrava sempre soddisfatta e pronta a riceverne subito un altro… magari come quello della vicina, che era sembrato più sostanzioso…

I ragazzi, oltre a infinite novità tecnologiche senza istruzioni e giochi da tavola per un solo partecipante, ricevano libri… - menomale! direte voi, ma devo frenare subito il vostro entusiasmo, cari lettori. I libri che ricevevano erano fatti per essere strappati: “Così ognuno potrà dire la sua!” si leggeva sulla carta che li impacchettava. E, per i bambini più piccoli, c’erano i libri di “favole da cancellare”, in cui trionfava il bene e le streghe finivano nei pentoloni. Venivano ovviamente fornite, avvolte in una banconota dal valore variabile, morbide gomme profumate, che si potevano anche leccare e che cancellavano benissimo facendoli anche - miracolosamente - dormire tutta la notte. E arrivò la fine dell’estate.

Come già sapete, il cielo perse i colori del sole e i primi fiocchi si appoggiarono qua e là. “Con discrezione, fateli abituare - i miei giocattolini in scatola - fiocco dopo fiocco, alla nuova normalità”. La Regina aveva dato queste precise indicazioni alle nuvole dense e grigie che si sarebbero infilate, nella trama dell’azzurro del cielo, come un ricamo fatto da mani sapienti. E poi venne quel giorno - tanto atteso al Regno - della lunga notte senza luna. Eravamo rimasti con la Regina delle Nevi davanti allo specchio e la sorella alla porta, impietrita. Ora posso continuare. Ora dovete sapere.

Scrash! Iiiiiiiii! Sdang, sdang, sdang! Iiiiiiiiuuuuuooo” non so come descrivervi, amici cari, quel rumore mostruoso che la sorella della Regina sentì: uno stridere, un urlare, un contorcere. Poi un suono basso, costante, vibrante: era la voce della Regina, che sembrava trasformata e provenire dalla profondità del pozzo. Quella voce diceva ininterrottamente: “Infetta, ammala, contagia, ghiaccia, dividi e spacca!”. La sorella - nascosta dietro la fessura della porta - mise le mani davanti alla bocca per soffocare un urlo. Non poteva farsi scoprire, voleva sapere. Vide lo specchio del pozzo esplodere, frantumarsi in migliaia di piccole schegge che si sparsero, con la violenza di un tornado e la velocità dei lampi, ovunque. Colpivano - con ferocia - gli uomini, le donne, i bambini e anche gli animali. La scheggia infettava sia chi era già schiavo del pozzo, sia il “sovversivo”, indistintamente. “Tutti! Li voglio tutti!” smaniava la Regina e incitava: “Contagiarli, ammalarli, colpirli al cuore!”. La Regina lo sapeva bene: senza cuore non c’è libertà. Senza cuore, il mondo degli uomini sarebbe stato in suo potere; sua sorella, distrutta la primavera e il suo “mondo umano”, sarebbe finalmente “guarita” e lei, senza più onte in famiglia, senza più nulla da temere, bella e fiera, sarebbe entrata nella storia e il suo nome nella lista di quelli da imparare a memoria, per l’eternità. Fece un brindisi a sé stessa. E bevve.

Intanto, il contagio era senza precedenti: in tutti gli angoli del mondo c’era chi, colpito, si metteva la mano sul cuore e lo sentiva congelare, chi cadeva subito addormentato, chi- colpito agli occhi- non sopportava più la luce del giorno e giurava che avrebbe vissuto nel buio e chi, non colpito, raccoglieva - come in preda a una strana euforia - le schegge dello specchio da terra che - non si sa mai- magari funziona ancora.

Una scheggia colpì dritto al cuore Kai che era proprio in quel momento nel giardino del pozzo a cercare, ancora non aveva perso la speranza di ritrovarlo, il suo pettine rosso, pettine che Gerda aveva scaraventato tra le ortiche, ora sepolte dalla neve e dal ghiaccio. Gerda, invece, si salvò - per miracolo - grazie al coniglietto che teneva tra le braccia, che fu colpito al posto suo e si addormentò di colpo. Si spaventò, lo strinse foret a sè e gridò: “Nonna!” Non rispose nessuno. Anche la nonna era stata colpita e si era addormentata sulla sua poltrona a fiori. D’istinto, scappò veloce verso il bosco gridando al vento: “Aiutooo, aiutooo!”

La Regina, intanto, vedeva tutto attraverso il suo specchio ed era in preda a una specie di delirio: ora tremava, ora stringeva i pugni, ora gridava “Siii!”, ora saltava, ora incitava, ora sbavava. Alzò di nuovo il calice e brindò a sé stessa.

ROSSELLA RAPISARDA TO BE CONTINUED