
MAGGIO ALL'INFANZIA 2025/LA SECONDA PARTE DEL REPORT DI EOLO
IN GIRO PER LA PUGLIA DAL 15 AL 18 MAGGIO
Prosegue il nostro racconto della 28esima edizione di “Maggio all’infanzia”, vetrina dedicata al teatro per le nuove generazioni che, anche quest’anno, ha portato in scena un panorama ricco e sfaccettato di proposte. Dopo la prima parte del report, torniamo con cinque nuove recensioni di lavori che, ciascuno a suo modo, hanno saputo parlare a bambini, bambine e adolescenti con linguaggi diversi, ma sempre con autenticità e cura.
TOC TOC – La luna nel letto
Nel grembo caldo di una scena quasi lunare, si schiude piano la storia silenziosa di due cuori appena nati alla relazione. E’ la nuova produzione de La luna nel letto, compagnia di Ruvo di Puglia, dedicata ai bambini e alle bambine dai 3 anni d’età. Non c'è una madre al centro di questo cerchio sacro ma due sorelle, due piccoli pianeti in cerca di orbite nuove. La più grande, interpretata da Deianira Dragone, osserva, misura, perde spazio ma guadagna occhi nuovi. La più piccola, l’attrice Anna Moscatelli, ancora impastata di sogno, si affaccia al mondo come una domanda non ancora formulata. Insieme imparano il lessico del legame: un alfabeto fatto di corpi, sospiri e piccoli scontri, dove ogni gesto è un ponte, ogni distanza una possibilità di contatto. Lo spazio scenico, dai colori chiari e pieni di luce, pare un ventre marsupiale: non siamo più nella madre, ma non ne siamo ancora usciti del tutto. È una soglia, un luogo di passaggio, dove il tempo si fa flessibile e le emozioni sono tante e contraddittorie ma è il loro spazio da imparare a condividere. All'inizio si sta stretti. Si divide l’aria, il tempo, gli sguardi della madre. Ma lentamente la relazione cambia: il fulcro non è più la madre ma due sorelle che iniziano a riconoscersi. I punti di riferimento si spostano. Non più da madre a figlia ma da sorella a sorella, come in un passaggio intimo di testimone. Le due performer incarnano con grazia e precisione la grammatica sottile della sorellanza, con la guida di una regia che le dirige con grande sensibilità. Parlano con il corpo e il corpo parla chiaro. E proprio per questo, forse, che ci sentiamo di suggerire che la parola detta la sentiamo non necessaria, perché è una spiegazione data a chi già sa. Il pubblico, si riconosce, ride, partecipa, si stringe emotivamente a questa danza primordiale del crescere insieme. Il linguaggio visivo, fisico e simbolico è così potente da rendere superflua ogni didascalia. Forse basterebbe una parola/simbolo, un sussurro, che evochi invece di descrivere. Ci colpisce come in un panorama teatrale che spesso racconta la relazione tra figli dal punto di vista della madre, con la mediazione quindi sempre genitoriale, questo spettacolo abbia il coraggio di spostare il fuoco: qui si osserva la relazione tra sorelle come un campo capace di autonomia ed invenzione. È in quel passaggio segreto, da figlia a compagna di crescita, che nasce l’incanto. E così, tra giochi, conflitti, abbracci e piccole conquiste, le due sorelle si scoprono specchi, orme da seguire e da tracciare insieme. Una menzione ci sentiamo di fare per le scene e i costumi curati da Maria Pascale. Le scene e gli oggetti evocano uno spazio dove ogni dettaglio costruisce un perimetro di gioco e scoperta. I costumi cuciono addosso alle due attrici il sapore di due astronaute in viaggio verso la scoperta di nuovi mondi da conoscere. Un piccolo viaggio dentro la relazione, raccontato con delicatezza, intelligenza e grande rispetto per il sentire dei bambini.
LA FORESTA DEI NO – Primo studio di Giuliano Scarpinato
Giuliano Scarpinato, alla ricerca di una produzione per il suo nuovo lavoro, presenta nel bel teatro comunale di Ruvo di Puglia, uno studio avanzato del suo “La foresta dei NO” e costruisce un mondo che non si vede con gli occhi ma si attraversa con il respiro in affanno. Uno studio che abita l’interiorità con la forza quieta delle fiabe antiche, quelle che non edulcorano ma svelano. La scena si apre in un luogo che non ha geografia esterna: è il cuore, la mente, il confine fragile dell’adolescenza ferita. Mia, interpretata da Giulia Di Sacco, è immobile come chi non trova più un motivo per camminare. Attorno a lei una foresta simbolica, in cui ogni ipotetico ramo è un pensiero che trattiene, ogni radice una paura che inchioda. È la foresta dei “no”, quei rifiuti sottili che diventano regole interiori, leggi non scritte pronunciate da una voce che si dice amica ma non lascia spazio: quella della sua sedicente amica Bella. Una presenza che non si manifesta in carne e ossa ma soffoca ogni slancio, spegne ogni luce che provi a filtrare tra le fronde. In questo clima claustrofobico, paradossalmente, la protagonista ritrova una strana forma di sicurezza: perché anche il dolore, quando lo conosci a fondo, sa diventare casa e aver voluto sottolineare questo aspetto restituisce la complessità del tema che Scarpinato vuole affrontare. A rompere questo isolamento arriva lui: il ragazzo del mare. Portatore di un altrove è l’unico elemento che non ha paura di sporcarsi con la luce. Potrebbe essere reale o forse no. Potrebbe esistere fuori da Mia oppure essere l’unico frammento sano della sua interiorità che ancora prova a parlarle. Francesco Santarelli lo interpreta con leggerezza controllata, con quel tocco di naturalezza che serve per rendere credibile l’incredibile. Questo stato di depressione non è mostrato come malattia, ma come condizione abitata, come stanza interiore dove l’aria è densa e l’emersione spaventa più dell’isolamento. La regia lavora con precisione, tanto sul visivo quanto sul sonoro. Le scene si alternano tra sospensione e tensione e un rumore violento, quasi un tonfo interiore, esplode ogni volta che Mia tenta di superare la soglia. È un allarme che punisce la voglia di vivere ma allo stesso tempo ne svela l’esistenza e quindi la possibilità di superamento del limite. Scarpinato firma un lavoro di grande sensibilità, “La foresta dei no” infatti è un progetto teatrale che tocca accordi profondi senza mai indulgere nel dramma e proprio per questo risuona con forza. Basta una voce che non giudica. Basta, a volte, che qualcuno resti. Basta qualcuno che ci creda. E già questo, a teatro come nella vita, è un inizio.
ANNA DAI CAPELLI ROSSI – Il giardino delle lucciole
A volte il teatro basta a sé stesso. Non servono scenografie imponenti né effetti speciali quando c’è una storia che spinge per essere raccontata e due attori che la sanno accogliere e restituire con delicatezza e passione. Così accade con “Anna dai capelli rossi”, debutto nazionale della compagnia Il Giardino delle Lucciole, dedicato ai bambini e alle bambine dai 7 anni, andato in scena al Teatro Madonna della Rosa di Molfetta: uno spettacolo che, nella sua semplicità, parla con grazia alle nuove generazioni ma non solo. Tutti conoscono Anna dai capelli rossi: orfana, chiacchierona, con la testa piena di fantasia e una fame inesauribile di amore e bellezza. Ma qui la sua storia prende vita senza illusioni sceniche: c’è solo una sedia, dei costumi curati e due attori, Antonella Ruggiero e Luigi Tagliente, che, con corpo e voce, disegnano il mondo del nonsisaquando e del nonsisadove. Basta questo per essere trasportati alla Fattoria dei Tetti Verdi, dove il caso o forse il destino porta una bambina dai capelli rossi al posto di un ragazzo atteso per lavorare nei campi. Un errore. Ma a volte gli errori aprono strade impreviste verso la felicità. La narrazione a due è orchestrata con equilibrio, con ritmo vivo e ironico. Ruggiero e Tagliente si passano la voce come un testimone prezioso, mantenendo accesa l’attenzione e quindi il dialogo silenzioso ma costante con il pubblico, che non resta semplice spettatore ma dopo un po’ si sente compagno di viaggio. Anna viene evocata, non imitata. Non c’è caricatura, non c’è infantilismo, ma la presenza viva e potente di una bambina che parla di sogni, paura di essere rifiutata, desiderio ardente di appartenere a qualcosa. E in quel desiderio si rispecchiano tutti i bambini ma anche tutti gli adulti che hanno conosciuto il timore di non essere accolti. Il linguaggio è semplice ma mai banale, costruito con cura artigianale. Ogni parola è scelta per arrivare dritta, con leggerezza e forza. Il tempo scenico vola via senza sforzo e quando si arriva alla fine l’aria dei Tetti Verdi ci è rimasta addosso. È questo il miracolo del teatro fatto bene: sa evocare mondi interi con quasi nulla. E lascia, al suo termine, qualcosa che resta. Un debutto che brilla come il nome della compagnia promette.
ROSSELLA MARCHI
ANIMA CAPRAE ET LUPUS – Plim Creazioni
Lo spettacolo “Anima caprae et Lupus”, presentato in quasi apertura del festival Maggio all’infanzia ha rappresentato sicuramente un ottimo inizio di Festival: produzione di teatro danza della compagnia del Canton Ticino è stata una porta aperta sul panorama odierno, degli spettacoli rivolti anche ai ragazzi. Portato in scena da 5 ottime/i danzatrici/ori ovvero interpreti e creatori dello spettacolo per un gregge di esseri umani porta in scena “lo spirito del mutamento di una società”. Conclusione di un trittico sulla figura della capra e sulla coesistenza tra arte e agricoltura, rappresenta il lavoro lungo e approfondito della compagnia PLIM CREAZIONI, frutto in particolare della vita artistica ed insieme agricola della coreografa Piera Giannotti che unisce la sua ricerca artistica alla piccola azienda d’allevamento di capre in Ticino. E’ importante questo dettaglio dell’autrice perché rende più chiaro il percorso profondo che conduce alla messa in scena di questo spettacolo, concentrato sull’elemento arcaico e costitutivo che unisce animali e uomini. Avvalendosi di una precisa coreografia, uso di oggetti “sacri ed ancestrali” ovvero legni/maschere pelli e stoffe grezze, la scena coinvolge fin dall’inizio il pubblico, ragazzi ed adulti, nelle immagini che si compongono: immagini di grande impatto visivo sulle capre, sulla loro vita nel gregge, dalla nascita fino al sacrificio ultimo al quale sono destinate ma soprattutto sulla loro dimensione di gruppo che, nelle sue dinamiche, svela un’incredibile aderenza a quelle umane. Mentre si assiste allo spettacolo si entra quasi immediatamente in una dimensione rituale così fortemente legata alle leggi della natura che da sempre non prescinde dai suoi aspetti e lati materni ed insieme crudeli. Il silenzio in sala anche dei ragazzi presenti è immediato, si respira una energia speciale che si percepisce subito, senza mediazioni quella che la danza, con il suo linguaggio, sa portare in scena. Solo all’inizio una voce di donna ricorda lo scorrere di una vita agreste forse perduta. Alla fine si rimane davvero con la domanda che introduce la presentazione dello spettacolo attraverso una frase di Pierpaolo Pasolini: “Quando saranno morti tutti i contadini, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione e del consumo, allora la nostra storia sarà finita”. E non si può non rimanere colpiti dalla lungimiranza di questo pensiero.
LA BURLA -Compagnia Madame Rebinee
Uno spettacolo tra giochi di magia e clown ben proposta dalla Compagnia Madame Rebinee che ormai da diversi anni propone le sue commedie circensi attraverso una chiave poetica e surreale. La scelta della “storia” rappresentata è particolare in quanto in scena arrivano tre anziani ben caratterizzati dalle credibili maschere caratterizzate da tre personalità diverse che raccontano di tre proprietari e commessi di un negozio di giocattoli sull’orlo di un fallimento, poiché ormai non più frequentato dai clienti perché considerato obsoleto e probabilmente inutile, come spesso vengono considerati gli anziani nel nostro tempo. Un’amarezza di fondo attraversa tutto lo spettacolo naturalmente resa intelligentemente leggera dai tre protagonisti che attraverso gag e numeri di giocoleria e magia ci portano a riflettere su cosa è davvero importante nella vita. L’aspetto interessante di questo spettacolo di circo contemporaneo, è proprio l’originalità nel presentare la vita, la vecchiaia, il ricordo ma anche l’importanza dell’aspetto ludico della vita e di come il gioco sia presente e leghi tutti gli esseri umani adulti, bambini, anziani, artisti e chiunque abbia capito che è importante non farsi mai travolgere dalla quotidianità. I performer in scena, Alessio Pollutri, Andrea Brunetto e Max Pederzoli sono convincenti grazie all’approfondito lavoro sul personaggio che traspare nella loro interpretazione e all’interno di una scena molto curata giocano con il corpo nel rappresentare con delicatezza le difficoltà degli acciacchi degli anziani e riescono a rendere i protagonisti figure poetiche vicine al pubblico. I numeri circensi sono perfettamente integrati nella drammaturgia e la scenografia e i costumi di Elettra Del Mistro sono davvero originali e accurati. L’attenzione e la cura che traspaiono in questo spettacolo restituiscono una riflessione importante sulla relazione tra le generazioni, tra memoria e contemporaneità.
GIOVANNA PALMIERI
IN GIRO PER LA PUGLIA DAL 15 AL 18 MAGGIO

Prosegue il nostro racconto della 28esima edizione di “Maggio all’infanzia”, vetrina dedicata al teatro per le nuove generazioni che, anche quest’anno, ha portato in scena un panorama ricco e sfaccettato di proposte. Dopo la prima parte del report, torniamo con cinque nuove recensioni di lavori che, ciascuno a suo modo, hanno saputo parlare a bambini, bambine e adolescenti con linguaggi diversi, ma sempre con autenticità e cura.
TOC TOC – La luna nel letto
Nel grembo caldo di una scena quasi lunare, si schiude piano la storia silenziosa di due cuori appena nati alla relazione. E’ la nuova produzione de La luna nel letto, compagnia di Ruvo di Puglia, dedicata ai bambini e alle bambine dai 3 anni d’età. Non c'è una madre al centro di questo cerchio sacro ma due sorelle, due piccoli pianeti in cerca di orbite nuove. La più grande, interpretata da Deianira Dragone, osserva, misura, perde spazio ma guadagna occhi nuovi. La più piccola, l’attrice Anna Moscatelli, ancora impastata di sogno, si affaccia al mondo come una domanda non ancora formulata. Insieme imparano il lessico del legame: un alfabeto fatto di corpi, sospiri e piccoli scontri, dove ogni gesto è un ponte, ogni distanza una possibilità di contatto. Lo spazio scenico, dai colori chiari e pieni di luce, pare un ventre marsupiale: non siamo più nella madre, ma non ne siamo ancora usciti del tutto. È una soglia, un luogo di passaggio, dove il tempo si fa flessibile e le emozioni sono tante e contraddittorie ma è il loro spazio da imparare a condividere. All'inizio si sta stretti. Si divide l’aria, il tempo, gli sguardi della madre. Ma lentamente la relazione cambia: il fulcro non è più la madre ma due sorelle che iniziano a riconoscersi. I punti di riferimento si spostano. Non più da madre a figlia ma da sorella a sorella, come in un passaggio intimo di testimone. Le due performer incarnano con grazia e precisione la grammatica sottile della sorellanza, con la guida di una regia che le dirige con grande sensibilità. Parlano con il corpo e il corpo parla chiaro. E proprio per questo, forse, che ci sentiamo di suggerire che la parola detta la sentiamo non necessaria, perché è una spiegazione data a chi già sa. Il pubblico, si riconosce, ride, partecipa, si stringe emotivamente a questa danza primordiale del crescere insieme. Il linguaggio visivo, fisico e simbolico è così potente da rendere superflua ogni didascalia. Forse basterebbe una parola/simbolo, un sussurro, che evochi invece di descrivere. Ci colpisce come in un panorama teatrale che spesso racconta la relazione tra figli dal punto di vista della madre, con la mediazione quindi sempre genitoriale, questo spettacolo abbia il coraggio di spostare il fuoco: qui si osserva la relazione tra sorelle come un campo capace di autonomia ed invenzione. È in quel passaggio segreto, da figlia a compagna di crescita, che nasce l’incanto. E così, tra giochi, conflitti, abbracci e piccole conquiste, le due sorelle si scoprono specchi, orme da seguire e da tracciare insieme. Una menzione ci sentiamo di fare per le scene e i costumi curati da Maria Pascale. Le scene e gli oggetti evocano uno spazio dove ogni dettaglio costruisce un perimetro di gioco e scoperta. I costumi cuciono addosso alle due attrici il sapore di due astronaute in viaggio verso la scoperta di nuovi mondi da conoscere. Un piccolo viaggio dentro la relazione, raccontato con delicatezza, intelligenza e grande rispetto per il sentire dei bambini.
LA FORESTA DEI NO – Primo studio di Giuliano Scarpinato
Giuliano Scarpinato, alla ricerca di una produzione per il suo nuovo lavoro, presenta nel bel teatro comunale di Ruvo di Puglia, uno studio avanzato del suo “La foresta dei NO” e costruisce un mondo che non si vede con gli occhi ma si attraversa con il respiro in affanno. Uno studio che abita l’interiorità con la forza quieta delle fiabe antiche, quelle che non edulcorano ma svelano. La scena si apre in un luogo che non ha geografia esterna: è il cuore, la mente, il confine fragile dell’adolescenza ferita. Mia, interpretata da Giulia Di Sacco, è immobile come chi non trova più un motivo per camminare. Attorno a lei una foresta simbolica, in cui ogni ipotetico ramo è un pensiero che trattiene, ogni radice una paura che inchioda. È la foresta dei “no”, quei rifiuti sottili che diventano regole interiori, leggi non scritte pronunciate da una voce che si dice amica ma non lascia spazio: quella della sua sedicente amica Bella. Una presenza che non si manifesta in carne e ossa ma soffoca ogni slancio, spegne ogni luce che provi a filtrare tra le fronde. In questo clima claustrofobico, paradossalmente, la protagonista ritrova una strana forma di sicurezza: perché anche il dolore, quando lo conosci a fondo, sa diventare casa e aver voluto sottolineare questo aspetto restituisce la complessità del tema che Scarpinato vuole affrontare. A rompere questo isolamento arriva lui: il ragazzo del mare. Portatore di un altrove è l’unico elemento che non ha paura di sporcarsi con la luce. Potrebbe essere reale o forse no. Potrebbe esistere fuori da Mia oppure essere l’unico frammento sano della sua interiorità che ancora prova a parlarle. Francesco Santarelli lo interpreta con leggerezza controllata, con quel tocco di naturalezza che serve per rendere credibile l’incredibile. Questo stato di depressione non è mostrato come malattia, ma come condizione abitata, come stanza interiore dove l’aria è densa e l’emersione spaventa più dell’isolamento. La regia lavora con precisione, tanto sul visivo quanto sul sonoro. Le scene si alternano tra sospensione e tensione e un rumore violento, quasi un tonfo interiore, esplode ogni volta che Mia tenta di superare la soglia. È un allarme che punisce la voglia di vivere ma allo stesso tempo ne svela l’esistenza e quindi la possibilità di superamento del limite. Scarpinato firma un lavoro di grande sensibilità, “La foresta dei no” infatti è un progetto teatrale che tocca accordi profondi senza mai indulgere nel dramma e proprio per questo risuona con forza. Basta una voce che non giudica. Basta, a volte, che qualcuno resti. Basta qualcuno che ci creda. E già questo, a teatro come nella vita, è un inizio.
ANNA DAI CAPELLI ROSSI – Il giardino delle lucciole
A volte il teatro basta a sé stesso. Non servono scenografie imponenti né effetti speciali quando c’è una storia che spinge per essere raccontata e due attori che la sanno accogliere e restituire con delicatezza e passione. Così accade con “Anna dai capelli rossi”, debutto nazionale della compagnia Il Giardino delle Lucciole, dedicato ai bambini e alle bambine dai 7 anni, andato in scena al Teatro Madonna della Rosa di Molfetta: uno spettacolo che, nella sua semplicità, parla con grazia alle nuove generazioni ma non solo. Tutti conoscono Anna dai capelli rossi: orfana, chiacchierona, con la testa piena di fantasia e una fame inesauribile di amore e bellezza. Ma qui la sua storia prende vita senza illusioni sceniche: c’è solo una sedia, dei costumi curati e due attori, Antonella Ruggiero e Luigi Tagliente, che, con corpo e voce, disegnano il mondo del nonsisaquando e del nonsisadove. Basta questo per essere trasportati alla Fattoria dei Tetti Verdi, dove il caso o forse il destino porta una bambina dai capelli rossi al posto di un ragazzo atteso per lavorare nei campi. Un errore. Ma a volte gli errori aprono strade impreviste verso la felicità. La narrazione a due è orchestrata con equilibrio, con ritmo vivo e ironico. Ruggiero e Tagliente si passano la voce come un testimone prezioso, mantenendo accesa l’attenzione e quindi il dialogo silenzioso ma costante con il pubblico, che non resta semplice spettatore ma dopo un po’ si sente compagno di viaggio. Anna viene evocata, non imitata. Non c’è caricatura, non c’è infantilismo, ma la presenza viva e potente di una bambina che parla di sogni, paura di essere rifiutata, desiderio ardente di appartenere a qualcosa. E in quel desiderio si rispecchiano tutti i bambini ma anche tutti gli adulti che hanno conosciuto il timore di non essere accolti. Il linguaggio è semplice ma mai banale, costruito con cura artigianale. Ogni parola è scelta per arrivare dritta, con leggerezza e forza. Il tempo scenico vola via senza sforzo e quando si arriva alla fine l’aria dei Tetti Verdi ci è rimasta addosso. È questo il miracolo del teatro fatto bene: sa evocare mondi interi con quasi nulla. E lascia, al suo termine, qualcosa che resta. Un debutto che brilla come il nome della compagnia promette.
ROSSELLA MARCHI

ANIMA CAPRAE ET LUPUS – Plim Creazioni
Lo spettacolo “Anima caprae et Lupus”, presentato in quasi apertura del festival Maggio all’infanzia ha rappresentato sicuramente un ottimo inizio di Festival: produzione di teatro danza della compagnia del Canton Ticino è stata una porta aperta sul panorama odierno, degli spettacoli rivolti anche ai ragazzi. Portato in scena da 5 ottime/i danzatrici/ori ovvero interpreti e creatori dello spettacolo per un gregge di esseri umani porta in scena “lo spirito del mutamento di una società”. Conclusione di un trittico sulla figura della capra e sulla coesistenza tra arte e agricoltura, rappresenta il lavoro lungo e approfondito della compagnia PLIM CREAZIONI, frutto in particolare della vita artistica ed insieme agricola della coreografa Piera Giannotti che unisce la sua ricerca artistica alla piccola azienda d’allevamento di capre in Ticino. E’ importante questo dettaglio dell’autrice perché rende più chiaro il percorso profondo che conduce alla messa in scena di questo spettacolo, concentrato sull’elemento arcaico e costitutivo che unisce animali e uomini. Avvalendosi di una precisa coreografia, uso di oggetti “sacri ed ancestrali” ovvero legni/maschere pelli e stoffe grezze, la scena coinvolge fin dall’inizio il pubblico, ragazzi ed adulti, nelle immagini che si compongono: immagini di grande impatto visivo sulle capre, sulla loro vita nel gregge, dalla nascita fino al sacrificio ultimo al quale sono destinate ma soprattutto sulla loro dimensione di gruppo che, nelle sue dinamiche, svela un’incredibile aderenza a quelle umane. Mentre si assiste allo spettacolo si entra quasi immediatamente in una dimensione rituale così fortemente legata alle leggi della natura che da sempre non prescinde dai suoi aspetti e lati materni ed insieme crudeli. Il silenzio in sala anche dei ragazzi presenti è immediato, si respira una energia speciale che si percepisce subito, senza mediazioni quella che la danza, con il suo linguaggio, sa portare in scena. Solo all’inizio una voce di donna ricorda lo scorrere di una vita agreste forse perduta. Alla fine si rimane davvero con la domanda che introduce la presentazione dello spettacolo attraverso una frase di Pierpaolo Pasolini: “Quando saranno morti tutti i contadini, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione e del consumo, allora la nostra storia sarà finita”. E non si può non rimanere colpiti dalla lungimiranza di questo pensiero.
LA BURLA -Compagnia Madame Rebinee
Uno spettacolo tra giochi di magia e clown ben proposta dalla Compagnia Madame Rebinee che ormai da diversi anni propone le sue commedie circensi attraverso una chiave poetica e surreale. La scelta della “storia” rappresentata è particolare in quanto in scena arrivano tre anziani ben caratterizzati dalle credibili maschere caratterizzate da tre personalità diverse che raccontano di tre proprietari e commessi di un negozio di giocattoli sull’orlo di un fallimento, poiché ormai non più frequentato dai clienti perché considerato obsoleto e probabilmente inutile, come spesso vengono considerati gli anziani nel nostro tempo. Un’amarezza di fondo attraversa tutto lo spettacolo naturalmente resa intelligentemente leggera dai tre protagonisti che attraverso gag e numeri di giocoleria e magia ci portano a riflettere su cosa è davvero importante nella vita. L’aspetto interessante di questo spettacolo di circo contemporaneo, è proprio l’originalità nel presentare la vita, la vecchiaia, il ricordo ma anche l’importanza dell’aspetto ludico della vita e di come il gioco sia presente e leghi tutti gli esseri umani adulti, bambini, anziani, artisti e chiunque abbia capito che è importante non farsi mai travolgere dalla quotidianità. I performer in scena, Alessio Pollutri, Andrea Brunetto e Max Pederzoli sono convincenti grazie all’approfondito lavoro sul personaggio che traspare nella loro interpretazione e all’interno di una scena molto curata giocano con il corpo nel rappresentare con delicatezza le difficoltà degli acciacchi degli anziani e riescono a rendere i protagonisti figure poetiche vicine al pubblico. I numeri circensi sono perfettamente integrati nella drammaturgia e la scenografia e i costumi di Elettra Del Mistro sono davvero originali e accurati. L’attenzione e la cura che traspaiono in questo spettacolo restituiscono una riflessione importante sulla relazione tra le generazioni, tra memoria e contemporaneità.
GIOVANNA PALMIERI