.
Eolo
recensioni
FESTIVAL DELLA NARRAZIONE DI ARZO 2015/IL REPORT DI MARIO BIANCHI
DAL 27 AL 30 AGOSTO

Dal 27 al 30 agosto, nel caratteristico paesino di Arzo, situato sul Monte San Giorgio, nel Canton Ticino, si è svolta la XVI edizione del Festival internazionale della narrazione, manifestazione che Eolo segue con passione da diversi anni e che per questa edizione ha adottato il significativo titolo di “Storie di vita, di guerra, di  amore”, sentimenti e situazioni che hanno attraversato tutte le creazioni nei giorni in cui abbiamo abitato il festival .
Molto spazio quest'anno è stato dato anche alla narrazione al femminile che ha riempito in modo esaustivo la bella e ampia piazza principale di Arzo a cominciare da giovedì 27 agosto con “La fabbrica dei preti” l’ultima produzione di Giuliana Musso, sensibile interprete friulana, conosciuta soprattutto per la sua bellissima narrazione”Nati in casa” sulla figura della levatrice. 
Il giorno dopo è stata la volta di “Oh mon doux pays” testo  a quattro mani del palestinese Amir Nizar Zuabi e Corinne Jaber, attrice germano-siriana, che sulla scena racconta l’orrore di uno dei più sanguinosi e dimenticati conflitti della nostra epoca, quello che si sta svolgendo in Siria. 
Ultimo spettacolo in piazza, sabato 29 è stato “Svergognata” scritto e interpretato da Antonella Questa, autrice impegnata sempre su più fronti sui temi legati alla sensibilità femminile come il fortunatissimo  “Stasera Ovulo”.  In “Svergognata”, presentato in una piazza stracolma di gente, il tema è stato quello del tradimento, portato in scena con ironia e un pizzico di sana, malinconica rivincita.

Diversi gli spettacoli proposti durante il giorno nei vari caratteristici cortili che costeggiano il paese di cui già vi abbiamo dato conto in altre occasioni, dal troppo ingabbiato registicamente “Compleanno Afghano “, scritto dall'umanamente intenso  Ramat Safi , a “Storie d'amore ed Alberi” e “ Andrè e Dorine”, sommesse narrazioni di Luigi D’Elia scritte con Francesco Niccolini”  sino a “Due passi sono” meravigliosa e pluripremiata creazione del duo Carullo-Minasi.
Per i ragazzi invece ospiti del festival e da noi ben conosciute sono state  le narrazioni di Ferruccio Filippazzi e del gruppo svizzero Confabula, come anche “Un dito contro i bulli” di Anfiteatro  con Naya Demailan, convincente spettacolo scritto e diretto da Giuseppe Di Bello appositamente per i bambini più piccoli sul tema del bullismo.

Il Teatro dell'Orsa ha regalato al Festival “ A ritrovar le storie” spettacolo, raccolto amorevolmente anche in un libro, che rappresenta una specie di summa della ricerca e dello stile che Monica Morini e Bernardino Bonzani(qui con l'aiuto del fidato poetico “servitore” muto Franco Tanzi)  stanno compiendo per restituire oralmente l'immenso patrimonio, ancora spesso insepolto, delle storie popolari, non solo fiabe dunque, ma anche racconti, fole, conte, filastrocche di tutto il mondo.
Un inno al nostro passato in un presente che ha dimenticato il senso delle parole e del  loro più intimo significato, le storie vengono espresse in un interscambio di accenti dai due interpreti  con grande adesione emotiva, anche con l'ausilio della musica registrata, dove protagonisti sono i santi, gli animali, gli elementi della natura e financo la morte.  
Faber teater(un ensemble piemontese numeroso e variegato impegnato sui vari fronti della narrazione  ) oltre che rallegrare le strade di Arzo con suoni canti e balli, attraverso Lodovico Bordignon e Sebastiano Amodio in “ Storie a Perdicollo” dialoga con il pubblico dei bambini attraverso la semplice trasposizione teatrale in parole e suoni di libri a loro delicati che affollano il palco di una delle corti di Arzo.
Abbiamo parlato di come la semplicità sia il mezzo più consono per entrare nell'attenzione e nell'immaginario del pubblico bambino, che a nostro avviso deve sempre unirsi con una teatralità, sempre attenta a non svilirsi in piatta animazione.  
Due piccoli spettacoli interpretano questa modalità in modo diverso, se infatti Stefania Mariani in “Tre storie di Coraggio”, utilizzando la sua sola semplice interpretazione, rende vive tre piccole storie di coraggio da Rodari a Catalano,Teresa Fregola con l'aiuto dei suoni, ma non solo, purtroppo, di Chiara Alberani, con la regia di Cristina Gualandi , mettendo in scena  “Gli stracci di Cenerentola” tratta da Basile imbastisce un'animazione, non uno spettacolo, semplicistica e di poco gusto.   
Infine i Giullari di Gulliver, collettivo teatrale, composto di volontari professionisti e non, che da oltre un decennio organizza incontri creativi con persone disabili, riesce nell'intento di proporre con loro una divertente  “Biancaneve” su drammaturgia e regia di Prisca Mornaghini e Antonello Cecchinato. 


“La fabbrica dei preti” di Giuliana Musso, è un viaggio originale e doloroso, frutto di un’indagine accurata, nella vita dei seminari degli anni anni ’50 e ’60,  prima del Concilio Vaticano II (e non a caso lo spettacolo inizia con il famoso “discorso della luna” di Angelo Roncalli che tanto diede fastidio alle gerarchie ecclesiastiche).
Tratto in parte dal discusso libro  “La fabriche dai predis “ di Don Pietrantonio Bellina o “Libris di pre Toni Beline “, lo spettacolo porta in scena tre uomini anziani, tre ex-seminaristi: un prete spretato e sposato, un missionario polemicamente rude che si batte contro il puritanesimo e le gerarchie, un prete di strada, emiliano, semplice e remissivo, provato nella mente e forse non nell'anima, dalla vita in fabbrica e divenuto prete-operaio. I tre monologhi si intrecciano  con un reportage della vita nei seminari, declamato cronachisticamente da un pulpito, con la proiezione di testimonianze fotografiche (foto d’archivio e album privati dovuti a Tiziana De Mauro e montati poi in video da Giovanni Panozzo e Gigi Zilli in cui i seminaristi sono colti nei vari momenti della loro giovane vita  ) e con  canzoni d’autore (Giovanni Panozzo, Daniele Silvestri, Mario D’Azzo).
Giuliana Musso entra direttamente nelle personalità dei tre preti, scelti come rappresentazione eclatante di un mondo claustrofobico, sessuofobico, immutabile, inabissandosi letteralmente in loro, attraverso voci, cadenze dialettali, posture, gestualità che ci restituiscono perfettamente tutta la loro in- sofferenza e disagio. 
Sono tre seminaristi ormai anziani, quelli che ascoltiamo, che ponendoci davanti alle assurde privazioni, alle regole e tabù della vita dei seminari,  ci narrano le loro esperienze di esseri umani che dai 10  fino all'età di 24 anni hanno vissuto in un mondo parallelo che invece di insegnare a come amare il prossimo li costringeva ad annientarsi per uno scopo molto più alto di loro ma di cui non comprendevano le ragioni.  
E alla fine indossando una tuta da operaio, un abito da sposo e uno tutto nero, da prete, l'interprete concede loro un unico irripetibile atto di amore. Giuliana Musso ci offre una interpretazione di altissima classe che raggiunge il suo apogeo nel racconto del prete operaio in cui la "semplicità ingannata" viene ricomposta attraverso una mimesi assoluta, espressa con una recitazione sommessa e dolente che esprime senza bisogno di nessuna spiegazione tutta l'assurda amarezza di una esistenza votata al sacrificio.

Antonella Questa su regia di Francesco Brandi, in “Svergognata” affronta con ironia, ma non solo, ancora una volta l'universo femminile attraverso il tema del tradimento, accompagnando per mano  il personaggio di Chicca, perfetta donna alto borghese con una bella casa, un marito, due figli, la governante filippina che una mattina scopre dal cellulare del marito messaggi e foto osé scambiati con decine di donne "svergognate". A Chicca, convinta di  aver vissuto sempre in un universo perfetto, che lei governava a meraviglia, il mondo crolla addosso. Le amiche, a cui ella si confida, le dicono di far finta di niente , salvando le apparenze, ma lei non ci sta, per cui va a scuola di seduzione per riconquistare lo sguardo del marito interamente su di sé. Sarà una simpatica e amabilissima pornostar chiamata Cristiana, di almodovarianamente memoria, a instradarla verso una vera e propria “rieducazione sentimentale”, che la porterà oltre che a riconquistare insieme a tutto il suo corpo, anche la dignità nascosta di un'esistenza inconsapevolmente vissuta solo per gli altri .  
Vi è qualche eccessiva concessione al cabaret nello spettacolo di Antonella Questa, soprattutto nella prima parte, ma il gioco scenico della seduzione è condotto con alta maestria, così come è pervaso da un 'autentica melanconica che sottende ancora una volta un 'indagine forte nelle pieghe più profonde dell'animo femminile.
 
Due spettacoli al Festival hanno portato in scena la vita di due uomini assai particolari.
Pino Petruzzelli  in “Chilometro Zero” si  ispira  alla vita del cuoco della Val D'ultimo, Giancarlo Godio, per parlare non solo di cibo, ma anche di vivibilità autentica e non manipolata tutta tesa alla riconquista degli autentici valori della vita.
Nella narrazione raccontata in prima persona, seguiamo Godio dalla nativa Val Graveglia sino, dopo un continuo alternarsi di partenze e ripartenze, ad arrivare in cima all'Italia, in Alto Adige, alla mensa dell’Enel, dove il protagonista cucina per gli operai che lavorano in montagna alla costruzione della diga del lago di Fontana Bianca. Qui, imparando  a vivere a contatto con la natura, alla chiusura della mensa, rileva il locale facendone con la moglie Maria un ristorante denominato “Chilometro Zero”, segnalato addirittura con una stella dalla Guida Michelin. I suoi piatti “costruiti”  a duemila metri mescolavano infatti con maestria i gusti e i prodotti del territorio in un impasto di sapori veramente unici che riflettevano un modo diverso di vivere la vita.
Pino Petruzzelli,qui solo con le parole, senza gli usuali orpell che usa in teatro, soprattutto quando entra nelle pieghe dei sentimenti del suo personaggio, riesce a trasmettere con profondità tutta l'avventura umana di un personaggio, forse minore, ma che ha tentato, in tempi non sospetti, con successo e curiosità di scardinare molti dei luoghi comuni legati al cibo. 

Gramsci Antonio detto Nino” è invece lo spettacolo, scritto da Fabrizio Saccomanno e Francesco Niccolini con la collaborazione artistica di Fabrizio Pugliese, dedicato a Gramsci, il grande uomo politico sardo, morto in prigione durante il regime fascista.
All'inizio in punta di voce l'artista pugliese narra le vicende umane di Gramsci, soprattutto quelle private, l'infanzia tormentata dalla malattia, la povertà, l'incontro con la moglie in Russia, la nascita dei due figli Danio e Giuliano, la fondazione dell'Unità e l'ingesso in Parlamento,  il rapporto con il PCI e l’internazionale socialista, le difficili relazioni con  con Togliatti e Stalin e l’ombra di Benito Mussolini.
Poi con il solo ausilio di alcune fogli di lettere e una grande fotografia di Gramsci, Saccomanno  accompagna lo spettatore, con le lettere scritte da lui in carcere, nell'intimo del suo animo, restituendocene intatta tutta la forza morale ed intellettuale. La voce prima forte e piena di energia, piano piano si spegne nel dolore, sia per l'acuirsi della malattia sia per l'assenza, non solo fisica, di alcune delle persone che più ama. E' così che veniamo sapere della sua morte nei pressi della tanto agognata libertà. Infine  nell'ultima parte con grande azzardo scenico, narrativo e politico, Saccomanno e Niccolini si domandano che senso abbia ancora oggi la figura di questo grande uomo che è stata durante il Fascismo la coscienza civile del nostro paese in un'Italia che ha perso ai nostri giorni la dimensione autentica di fare politica per il bene soprattutto delle classi meno abbienti.

Il Festival nei 4 giorni di programmazione è stato accompagnato anche da incontri, laboratori, letture, degustazioni biologiche, arrivederci all'anno prossimo. 
 
PS Come è stato bello e significante che Luigi D'Elia e Fabrizio Saccomanno si siano aiutati, facendo l'uno il tecnico dello spettacolo dell'altro.... meditate gente e imparate, cose che succedono forse solo in Puglia e che ci fanno ben sperare.





Stampa pagina 


Torna alla lista