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CLASS ACTION
Il resoconto della giornata di studio di Lunedì 10 dicembre di Carlo Presotto e Rossella Marchi



CLASS ACTION
Una giornata di studio su teatro e nuove generazioni

Lunedì 10 dicembre presso l’Auditorium Spazio Binario di Zola Predosa si è tenuta una giornata di studio sul teatro ragazzi intorno agli spunti proposti dal progetto triennale Class Action – Il diritto al teatro, di cui la giornata ha rappresentato il momento finale di sintesi e di rilancio. Una riflessione che fin dalle prime battute è uscita dai consueti binari dell’autorappresentazione, offrendo una serie di elementi interessanti per la riapertura di un confronto sul teatro tra le generazioni.

Il progetto nasce in risposta al problema della contrazione del pubblico del teatro ragazzi. L’analisi delle risposte al questionario somministrato alle scuole del territorio per cercare di comprendere il fenomeno, mette in luce alcune criticità che vanno dall’accessibilità economica al mancato coinvolgimento delle famiglie, alla difficoltà negli spostamenti dalla scuola al teatro passando per la contrazione delle ore di formazione dedicate agli insegnanti e alle classi.

Partendo da questa constatazione, l’azione duplice che per tre anni, dal 2015 al 2018, ha impegnato le sette realtà coinvolte :Teatro Comunale Laura Betti, Teatro delle Ariette, Teatro Evento, Teatro delle Temperie, Associazione Culturale Cantharide, Teatrino del Giullare e Ca’ Rossa che organizza ilTeatro Comunale di Sasso Marconi, si è mossa sia nell’ambito scolastico che in quello familiare promuovendo nuove strategie per il coinvolgimento e la formazione di un nuovo pubblico.

Sono nati così il progetto per il centenario di Roal Dahl con il laboratorio di scrittura di Paolo Nori sul GGG e l’intera notte trascorsa con i bambini nel Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno, il progetto Mnemosyne – I fili della memoria nato in collaborazione con l’A.N.P.I., il progetto teatrale di educazione interculturale e di inclusione sociale “Nessuno escluso”, il progetto tra cinema e teatro“Klaus Mann sul fronte appenninico”, gli incontri con la Casa dello Spettatore dedicati agli operatori del territorio e un numero considerevole di laboratori all’interno delle scuole.

Molto interessante, all’interno di questa giornata di restituzione, è stata l’iniziativa di inserire nel dibattito non soltanto operatori ed esperienze direttamente coinvolte nel progetto ma interventi di realtà esterne al territorio che hanno contribuito ad allargare il confronto portando esperienze diverse e punti di vista.
Abbiamo ricordato con Alessandra Belledi l’esperienza del Teatro delle Briciole, la grande svolta che ha rappresentato aprire le porte del teatro ragazzi al mondo della ricerca e come, per permettere questa apertura, sia stato fondamentale il confronto degli artisti con le giovani generazioni; Francesca D’Ippolito ha illustrato il Progetto Cresco sottolineando l’importanza di trovare il modo di costituire una rete che porti le realtà teatrali ad unirsi e ad avere, nel confronto istituzionale, un’unica, forte voce; abbiamo ascoltato con attenzione i protagonisti in prima linea all’interno della scuola con l’esperienza di Maria Ghiddi, vicepreside di un istituto tecnico, che ci ha descritto come, per i suoi studenti, sia stato fondamentale vivere il teatro in prima persona, esperirlo da protagonista per poterlo poi comprendere all’interno del proprio vissuto e Sara Ferrari della Casa dello Spettatore ha raccontato come, nel progetto Esplorazioni, da quattro anni si concentra e aiuta nella formazione proprio gli insegnanti che rappresentano la figura che media tra il teatro e il bambino. Sara Ferrari ha inoltre illustrato il progetto Tre volte almeno che considera fondamentale la replicabilità dell’esperienza teatrale in quanto consente di connettere gli eventi teatrali e offre elementi per la costruzione di un gusto; ci siamo sentiti vicini ad Alberto Grilli, regista del Teatro dei Due Mondi, quando, senza retorica né mezze misure, ha sottolineato quanto il teatro non possa non essere sociale e politico. Ci ha raccontato del Progetto Rifugi in cui il teatro viene vissuto dal popolo come esperienza di relazione attraverso azioni teatrali che avvengono in piazza e ha ricordato come l’esperienza comporti un’attivazione che non si può fermare; l’ultimo intervento ci è stato regalato da Alessandro Libertini, attore e regista della Compagnia Piccoli Principi, che ha portato un interessante riflessione sull’infanzia mitizzata e sul clima culturale sottolineando come il populismo culturale in cui stiamo vivendo sia nutrito dall’uso del linguaggio quale strumento di manipolazione.

Gli interventi proposti intensi e vari e l’esperienza di Class Action ci hanno suscitato una serie di riflessioni. A partire dalla prima constatazione che “in natura, i produttori artistici non fanno rete tra di loro” ma che quando questo accade sono capaci a connettersi, anzi, danno il meglio di sè. La constatazione è suggerita da Fabio Abagnato, Assessore ai Saperi e alle Giovani generazioni del Comune di Casalecchio di Reno, secondo cui un sistema di rete non si genera spontaneamente, ma richiede un processo di costruzione ed una governance che individui, con un processo partecipato, obiettivi e ruoli degli attori in gioco, permettendo la valorizzazione delle loro differenze.

A più di dieci anni dall’ultima elaborazione identitaria comune promossa dall’Ente Teatrale Italiano, “Il teatro ragazzi oggi in italia”, il venir meno del tessuto connettivo rappresentato dall’ETI ha lasciato il panorama del teatro ragazzi piuttosto orfano di luoghi in cui interrogarsi in modo trasversale sul proprio presente e sul proprio futuro. Anche perché il fenomeno di “quel” teatro ragazzi si era disegnato proprio da quella visione di teatro pubblico, a valenza sociale ed educativa, generata dall’Ente guidato prima da Giovanna Marinelli e poi da Nini Cutaia. Una visione concretizzata in importanti progetti di respiro nazionale, sull’immaginario bambino e sullo spettatore, e dal premio Stregagatto. La chiusura dell’ETI del 2010 dopo il commissariamento del 2000, salutata da molti come la auspicata fine di un carrozzone dedicato a distribuire favori ad personam, ha rappresentato il punto di arrivo dello smontaggio di un sistema culturale nato nel dopoguerra che, con tutti i suoi grandi limiti e le sue zone grigie, si era fatto carico di fare da enzima e da “nodo nevralgico per tutta una rete di meccanismi nazionali e internazionali imprescindibili per il quotidiano svolgimento dell’attività artistica in un paese come il nostro”. (scriveva Andrea Pocosgnich in un profetico articolo del giugno 2010 su Teatro e Critica, “L’ETI: un ente o un simbolo?”).

Punto e a capo: in questi anni la vitalità del settore e l’intraprendenza “a basso costo” dei suoi operatori si è fatta carico della fine di questo modello, generando una molteplicità di spazi sui territori, facendo crescere l’autorevolezza e la qualità dei festival, rivolgendo i propri sforzi alle connessioni internazionali ed ai bandi europei. Ma ha scontato la perdita di una rete territoriale nazionale, in grado di generare dalla ricchezza della pluralità di approccio un processo continuo di costruzione e ridefinizione identitaria.
Oggi l’identità del teatro ragazzi italiano è data dal sistema delle vetrine. Ciò che lo determina, che influisce sulle scelte produttive ed artistiche, è un popolo diffuso di operatori che genera un fenomeno a macchie di leopardo, in cui le diverse anime non si confrontano ma si accostano tra di loro, riempiendo spazi diversi caratterizzati ciascuno da una diversa interpretazione del bisogno culturale. Esiste una geografia dei luoghi d’arte, una dei luoghi di intrattenimento, una dei progetti pedagogici ed una di quelli didattici.
A fare le spese di questa frammentazione, a fare le spese di una produzione artistica sempre più “on demand” legata a bandi, tematiche, commissioni, o anche semplicemente all’interpretazione selettiva di ciò che abbia senso proporre al pubblico da parte di singoli assessori, programmatori o critici, sono sia la dimensione qualitativa che quella quantitativa.

Quella che si è sperimentata con il progetto Class Action - Il diritto al teatro, e che si è respirata chiaramente durante la giornata di studio, è la possibilità di una nuova comunità di pratica, una aggregazione ed un confronto, non più un movimento, ma una rete plurale.
La buona componente intergenerazionale dei partecipanti, per prima cosa, impegnati in un reale confronto sul fare concreto. La diversa visione del mondo della scuola che hanno insegnanti e teatranti formatisi alla scuola della cooperazione educativa a confronto con quelli formatisi nella scuola delle competenze, ad esempio. Oppure gli approcci al tema dei nuovi linguaggi per le giovani generazioni, che nel dibattito esce finalmente dal vicolo cieco che identifica il linguaggio con lo strumento utilizzato per comunicare, ma lo esamina nella sua qualità di architettura della relazione.

Una comunità di pratica che si riconosce intorno a dei modelli comuni di eccellenza, che li riconosce e li elegge come rappresentativi, senza rinunciare a declinarne la “virtù” in modi ognuno diverso e particolare. Ridefinendo in continuazione questi modelli, rieleggendoli, smontandoli per individuarne gli elementi costitutivi. Reimparando ad articolare un discorso, ad argomentare le proprie scelte, riprendendo in mano i proprio destino.

Cristina Valenti al mattino e Federica Zanetti al pomeriggio hanno accompagnato lo snodarsi degli interventi ed i quattro gruppi di lavoro tematici con una ricchezza di spunti raccolta da Marco Baliani che ha concluso la giornata con una sintesi forte e politica, restituendo ai partecipanti la necessità di ricreare spazi di vera elaborazione culturale, libera dalla necessità immediata del mercato, per poter fertilizzare il pensiero e la pratica di chi produce teatro per e con le giovani generazioni.
Resta chiaramente aperta una questione fondamentale, quella di riuscire a mantenere la continuità  delle iniziative, coltivarne i germogli, farne manutenzione. Una questione che trova soluzioni solo in un approccio articolato, in grado da connettere in un ecosistema culturale i vari ambiti coinvolti: amministrazione delle comunità,  progettazione educativa e creazione artistica.

ROSSELLA MARCHI                CARLO PRESOTTO






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