
TEATRO FRA LE GENERAZIONI / PRIMA PARTE
ECCO LA PRIMA PARTE DELLO SGUARDO DI EOLO SUL FESTIVAL DI CASTELFIORENTINO
Da martedì 18 a venerdì 21 marzo 2025 si è svolta a Castelfiorentino la XIIII edizione di Teatro fra le Generazioni, il Festival o, meglio, il cantiere multidisciplinare legato al teatro d'innovazione per le nuove generazioni, organizzato dalla compagnia teatrale empolese Giallo Mare Minimal Teatro. Il cartellone della manifestazione diretta da Vania Pucci e Renzo Boldrini si è svolta nei vari spazi teatrali e non di Castelfiorentino: il Teatro del Popolo con il suo Ridotto e le sale espositive, il Teatro C’art e l’Ex Oratorio di San Carlo. Anche quest’anno il festival oltre ad offrire nei suoi quattro giorni di programmazione venti appuntamenti, otto prime nazionali, venticinque compagnie teatrali, ha proposto incontri di approfondimento legati alle performance in forma di studio. Questi incontri hanno rappresentato un’interessante occasione sia per le compagnie che hanno potuto mostrare il proprio lavoro in fieri che per gli operatori che hanno potuto riappropriarsi del loro ruolo di accompagnamento all’artista nella fase di produzione creativa.
Il Festival è stato inaugurato da “Che giorno è” il nuovo spettacolo di Giorgio Scaramuzzino prodotto dalla Factory di Massimo Bertoni e da La Baracca Teatro Testoni Ragazzi che nell’alveo del suo teatro di impronta civile vuole condurre i ragazzi ad una riflessione sulle numerose date che rimandano ad altrettanti momenti della storia che hanno segnato il percorso dell’umanità che costellano il nostro calendario. Nel suo cammino artistico per questa sua nuova fatica Scaramuzzino in scena ha avuto un aiuto di grande adesione artistica ed emotiva da Bruno Cappagli de La Baracca Teatro Testoni Ragazzi che, come un vero compagno di scuola/teatro, lo ha accompagnato in questo nuovo viaggio.
Interessante l’inizio di “Blu” di Pilar Ternera dove Silvia Lemmi e Francesco Cortoni che firma anche testo e regia, intendono raccontare ai bambini la loro storia incentrata su un viaggio alla ricerca della felicità. Mentre le premesse messe in campo dalla compagnia ci convincono nell’idea di narrare la loro avventura con poco o nulla in scena svelandone con fantasia di volta in volta tutti i meccanismi narrativi, la seconda parte tradisce un po’ l’originalità avventurandosi in un linguaggio con segni forse troppo didascalici.
Teatro tra le Generazioni ci ha anche regalato nuove versioni di must già ampiamente attraversati dal Teatro Ragazzi. Una rivisitazione non troppo convincente de “I 3 porcellini” è stata la produzione di In Quanto Teatro/La Piccionaia con “333 Porcellini” che, a nostro avviso, ha bisogno di una riflessione sia sul piano drammaturgico che della messa in scena. Ci ha incuriosito poi la rivisitazione di Pinocchio prodotto da Fondazione Sipario Toscana dal titolo “Geppetto” nato da un’intuizione di Debora Mattiello alla quale si è aggiunta la sapienza di Tonio De Nitto. La replica ha fatto intuire una potenzialità che nello svolgersi non è ancora maturata ma siamo convinti che, dispiegati meglio gli accenti, il lavoro potrà avere una buona vita.
Vorremmo fare una menzione speciale per un progetto “Via dei Matti 43” prodotto da Accademia dei Perseveranti (il cui nome già ci piace un bel po’ perché richiama la resistenza e la tenacia, componenti fondamentali nel lavoro artistico) e Fondazione Sipario Toscana che vede in scena un bravissimo Marco Valeri, con la regia di Francesco Niccolini che firma la drammaturgia insieme al narratore e i costumi e le scene di Emanuela Dall’Aglio, capace di tenere gli spettatori incollati alla sedia. E’ quello che si direbbe uno spettacolo “per adulti”, sezionando così già il pubblico. Ma questo racconto ha un respiro alto, una narrazione vibrante, commovente, a tratti comica con un ritmo che stordisce, ti tiene per il bavero energicamente e ogni tanto dispensa una carezza. E quindi pensiamo che no, non è uno spettacolo solo per adulti. Gli adolescenti forse sono i primi a potersi riconoscere in una crescita non proprio conforme proprio perché figli di questa contemporaneità. Marco è lì, con una sedia, vestito di colori pastello che tentano di smorzare le note di un’energia che si sprigiona da quel corpo come se davvero il racconto sovrastasse anche lui. Perché forse è quasi troppo per essere raccontato. Forse quasi le orecchie stentano ad annodare i fili di una narrazione che è una poesia di rinascita e di crescita. Via dei Matti è una nuova vita che nasce da una prima troppo dolorosa. Ma scopriamo che il dolore nasconde pezzettini di Bellezza che una volta raccolti portano a nuove albe.
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La storia la conoscono un po’ tutti e sarà lui a salvare i suoi fratelli abbandonati nel bosco, sarà lui ad ingannare in modo feroce la voracità dell’orco, diventando a tutti gli effetti un eroe. Attraverso i mezzi che il teatro possiede, in verità molto piccoli, ma utilizzati in modo sempre confacente e significativo come le musiche e i suoni emotivamente appropriati nello stile consolidato della compagnia, lo spettacolo rapisce lo spettatore e non lo lascia un momento alternando momenti di grande comicità e di riflessione profonda.
Davide Doro in scena come Padre dei fratellini e indimenticabile Moglie dell’Orco approfondisce tutti i possibili contorni della fiaba, utilizzando anche una caustica ironia che ne stempera le situazioni restituendoci in modo credibilmente contemporaneo i personaggi.
L'OMINO DEI SOGNI E L'OMINO DELLE NUVOLE / GIALLO MARE MINIMAL
Renzo Boldrini di Giallo Mare Minimal Teatro, dopo i due significativi capitoli di “Trame su misura”, nel suo inconfondibile stile che mescola linguaggi diversissimi tra loro, ha proposto a “Teatro fra le generazioni” un curioso omaggio a Gianni Rodari e ai suoi indimenticabili personaggi così vicini al mondo dei bambini e della bambine. In “L’omino dei sogni e l’omino delle nuvole” lo spettacolo, attraverso una coraggiosissima e multiforme partitura, riesce, senza mai sbagliare ritmo e misura, a far dialogare in modo ricco di sempre nuove suggestioni le parole in rima della bravissima Alice Bachi con le fantasiose immagini di Daria Palotti, le animazioni multimediali di Ines Cattabriga e le luci e l'audio del fido Roberto Bonfanti.
Tutti questi linguaggi si mescolano a meraviglia tra loro per raccontarci storie strane e portentose trovate in un libro che hanno come protagonisti Arturo e Noè. Arturo è appunto l’Omino dei sogni che mentre durante il giorno dorme, di notte dal suo grande sacco seleziona i sogni più giusti, adatti a colorare il buio di molti bambini che, grazie al suo intervento, al loro risveglio riusciranno ad essere in feconda relazione con il mondo. E Pino imparerà a non avere più paura del lupo, Aurora ad avere dimestichezza con l'acqua e il fuoco, Leonardo a non temere più il suo gatto, Tito così restio ogni volta per il desinare, avrà voglia di mangiare. Insomma Arturo dietro ad ogni cuscino con il suo sacco di sogni dona sogni giusti a tutti e tutte, ad ogni bambino lontano o vicino: a Mohamed che sogna in arabo e ad Hua che sogna in Cinese.
Noè invece è il nostro Omino delle Nuvole che trasporta bambini e bambine in un mondo antichissimo e del tutto particolare in cui tutto era bambino, piccino. Il pubblico poi potrà riascoltare in una nuova divertente versione la storia del Diluvio universale, nato ohibò per una solenne distrazione: il nostro omino delle nuvole infatti si era addormentato lasciando aperto il rubinetto della pioggia. Ed ecco che, riprendendo la storia biblica, Noè non si dette per vinto: costruì una nave dove metterci tutti i bambini e tutte le bambine “qualunque fosse il nome, l’età, il colore delle chiome, brune o bionde: come comanda la legge del mare, nessuno può essere lasciato da solo fra le onde!”. E in loro aiuto arrivò persino un uomo grande e grosso che si chiamava Atlante. “L’omino dei sogni e l’omino delle nuvole” in modo curioso e scoppiettante, irrorato di fertile ironia, ha la capacità di abituare il pubblico dell'Infanzia ad avere familiarità con diversi linguaggi che si mescolano con semplice articolata proprietà raccontando storie colme di grande fantasia e di stupore, rendendo omaggio al genio di Rodari, capace ogni volta di farci gustare il sapore di un’infanzia che credevamo perduta.
MARIO BIANCHI
L’adattamento firmato Michele Mori sfrutta bene la struttura dell’originale e valorizza il lavoro degli interpreti, tessendo dinamiche vivaci tra personaggi e situazioni. L’inizio è affidato al capocomico Pierdomenico Simone che, rompendo la quarta parete, spiega quanto siano fondamentali le bugie per vivere. “Un mondo senza bugie è come un mare senza onde. Non è sintomo di cattiveria, bensì la capacità di arrangiarsi”: un’ironica captatio benevolentiae che pone il pubblico di fronte all’ambiguità morale come dato di fatto.
Seguono due ulteriori introduzioni (una cantata e una più narrativa) che ci portano nel vivo della vicenda, in un 1520 trasfigurato, dove due francesi rissosi discutono con Callimaco su quale sia il paese migliore tra Francia e Italia. Ne nasce un duello che coinvolge anche Ligurio, servitore napoletano di Nicia, abile manipolatore che accende la miccia del desiderio di Callimaco verso Lucrezia. Da lì il racconto si muove tra voli improbabili e un linguaggio che alterna zanni, commedia dell’arte e riferimenti moderni.
Il gruppo dei Giovani di Stivalaccio Teatro (Pierdomenico Simone, Daniela Piccolo, Elisabetta Raimondi Lucchetti, Elia Zannella, Francesco Lunardi) lavora in sinergia, con una regia che esalta il ritmo, le invenzioni comiche e le soluzioni visive. La scena di Alvise Romanzini è geometrica e funzionale e il Dottor Pantalone Nicia di Elia Zanella porta in scena buon ritmo e un ottimo gioco di maschera.
La drammaturgia originale riflette il cinismo rinascimentale e l’amoralità politica di Machiavelli si insinua in ogni scambio. Tuttavia, nella versione di Stivalaccio, qualcosa si addolcisce: Callimaco, interpretato da Lunardi, appare troppo “innamorato”, un po’ troppo tenero per incarnare l’ambiguità machiavellica. Il suo fascino da “bravo ragazzo” rischia di smussare il potenziale corrosivo del personaggio. Si dirà: è uno spettacolo rivolto a un pubblico giovane, spesso scolastico. Ma davvero il pragmatismo politico di Machiavelli è così indigesto per chi ha quattordici anni? L’inganno, il doppio gioco, il calcolo dei mezzi per raggiungere un fine: sono meccanismi che i più giovani conoscono fin troppo bene. E poi ironia e sarcasmo non sono forse proprio i linguaggi della Commedia dell’Arte? Ma soprattutto: non sono forse quelli più familiari al mondo adolescenziale?
E poi, un’ultima domanda: che fine hanno fatto i due francesi che inseguivano Callimaco? Spariti. E se anche questo fosse un altro piccolo inganno?
SAMUEL ZUCCHIATI
PROGETTO G.G./ ROSALUNA E I LUPI
C’era un tempo in cui la luna non c’era. Non c’erano neppure le stelle: solo insegne luminose e lampioni, a rischiarare la notte. Tutto era codificato e nel paese dei Noncontenti tutti i giorni erano uguali e tutti erano normalmente Non-contenti (per forza: mancavano di fantasia e sogno!).
Tutti, meno Rosaluna.
Inizia così lo spettacolo delle brave Consuelo Ghiretti, Francesca Grisenti (Progetto g. g.) che mettono in scena una storia tratta dall’omonimo testo della scrittrice francese Magali Le Huche, con il quale propongono ai giovani spettatori riflessioni sul concetto di libertà, nel senso più ampio dell’importanza del termine.
Rosaluna è diversa da tutti i Noncontenti perché ama cantare e con il suo canto – del quale non può fare a meno e che è inviso e proibito – attira i lupi che, come è noto cantano ululando (o ululano cantando?). Il personaggio di Rosaluna - un simpatico pupazzo un po’ sgraziato che ricorda la Mafalda di Quino – è abilmente animato a vista all’interno di una scenografia che ci mostra il grigio paese dei Noncontenti, con i suoi abitanti – compreso il dispotico sindaco – ridotti a rigide figure bidimensionali sullo sfondo. I lupi sono efficacemente interpretati dalle maschere indossate dalle attrici, che ce li propongono in alternanza con la loro narrazione e l'utilizzo creativo del Teatro di figura che benissimo si identifica con lo stile consolidato della compagnia.
Rosaluna è allegra, vivace, disordinata; vorrebbe stare alle regole imposte ed è un po’dispiaciuta per questo suo cantare del quale non può fare a meno e che non è accettato dai suoi concittadini; ma è molto contenta di avere il pubblico dei lupi che l’apprezza.
Ma un personaggio diverso, in un paese tutto uguale, non può restare. Così Rosaluna viene – in senso letterale! – catapultata via. Vola così lontano da arrivare in cielo: dove diventa LA luna.
E forse i suoi concittadini, con la Luna che fa sognare, diventeranno meno Noncontenti. Forse grazie ai lupi che ululano tristi alla (Rosa )Luna, che non è più con loro, sbriglieranno la loro fantasia.
Uno spettacolo intelligente, divertente, a tratti un po’ pauroso, ma di quella paura bella che mette addosso un brividino e porta a cercare la mano di chi è accanto con una risata liberatoria. Una storia di ottusità e di amore, di paura e di coraggio; un inno alla libertà di essere se stessi che piacerà a tutti.
NICOLETTA CARDONE JOHNSON
NARDINOCCHI- MATCOVICH / PINOLO
“Quando l’irreale avanza pretese sulla realtà o entra nel suo dominio accade qualcosa di diverso dalla semplice assimilazione delle norme dominanti; le norme stesse possono essere scardinate, mostrare la loro instabilità e aprirsi a una nuova significazione”.
Judith Butler
In che modo e dove ci condizionano gli stereotipi di genere? Quanto profondamente sono instillati in noi? Ci accolgono in proscenio Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich: domandano ad una bambina seduta in prima fila di aiutarli a rendere due manichini maschio e femmina e alle sue sollecitazioni completano i manichini estraendo da una scatola man mano capelli, occhi, nasi, bocche e abiti. Il risultato è scontato: la femmina vestita di rosa e truccata e il maschio vestito di azzurro e con i capelli corti. Queste icone, dopo un attimo di silenzio, cadono all’indietro facendo un grande tonfo sul palco. Sembra il suono del mondo che cade sulla schiena e che per un attimo, sollevato, realizza lo stato di scomodità in cui si trovava prima della caduta.
Il racconto si dispiega a partire dalla nascita di Pina, una bambina bellissima interpretata dalla brava danzatrice/attrice Noemi Piva. Sulla scena ai lati vediamo due tavoli con un microfono al centro: saranno le postazioni di Laura e Niccolò che rimarranno in scena per tutta la durata dello spettacolo, talvolta cambiando leggermente gli abiti si trasformeranno ora nei genitori di Pina e ora in bambine e bambini che giocano con lei. La nostra protagonista Pina crescendo si ritrova sempre più lontana da tutti perché giudicata né “abbastanza maschio” né “abbastanza femmina”. Decide quindi di isolarsi e di rifugiarsi sotto un pino, nella dimensione naturale del mondo. Gli alberi, come le persone, sono tutti diversi e qui, sotto ad un albero di pino interpretato da Niccolò, Pina si sente finalmente libera di autodefinirsi con un nome nuovo: Pìnolo. Diventa, nel corso di questa relazione, essenziale l’incontro con una pigna, che giorno per giorno aiuta Pina - ora Pìnolo - a sentirsi meglio, anche se questa relazione esclusiva la porterà a scomparire. Qual è il ruolo della solitudine nel cambiamento e nella maturazione del sé? E qual è - invece - il ruolo che può avere l’assenza di qualcosa o qualcuno che prima c’era e ora non c’è più? A tutti noi è capitato di sentirci inadeguati e poi improvvisamente di nuovo compresi e al sicuro grazie alla giusta compagnia e poi nella solitudine, di percepirci ancora addosso pezzetti della stessa sicurezza. C’è un modo giusto per interrogarsi sulla propria identità? C’è qualcosa di noi che possiamo profondamente cambiare o adeguare ad un contesto? Cosa significa essere maschio ed essere femmina? Pìnolo, dopo aver incontrato un altro personaggio essenziale, una lumaca interpretata da Laura, capisce l’importanza di restare se stessa. La lumaca, che è un animale ermafrodita, ovvero in grado di riprodurre contemporaneamente o successivamente sia i gameti maschili che quelli femminili, fa ascoltare a Pìnolo delle preziosissime voci, quelle dei bambini e delle bambine che come sempre con serietà ragionano sulla stereotipia di genere e su quanto questa influenzi le loro vite.
Attraverso un linguaggio teatrale semplice ma puntuale, in cui tutto viene svolto a vista e grazie ad una narrazione efficace, accompagnata dall’esecuzione dal vivo di rumori naturali e musica e da uno studio delicato e complesso sui movimenti, lo spettacolo spinge i bambini e le bambine a seguire le proprie inclinazioni e aspirazioni in piena libertà, senza tenere troppo in considerazione, ma anche senza ignorare, l’ingombrante stereotipia di genere che è al centro della nostra cultura patriarcale. La messa in scena di un teatro nudo, arguto, popolare, in cui vengono affrontati temi che sempre di più sono importanti sin dalla primissima età si presenta a noi come una possibilità che può condurre verso un settore teatrale che guardi oltre alla didattica e al dispiegamento di temi universalmente riconosciuti e di meno complessa decifrazione.
Alla fine dello spettacolo Laura e Niccolò si ripresentano ai bambini e alle bambine con una domanda: li vestireste di nuovo così i manichini, oppure cambiereste qualcosa?
ARIANNA BARONI
WROONG/ ORTO DEGLI ANANASSI
Lo spettacolo WroOng affronta un tema che accompagna la crescita di ogni bambina e bambino: il timore di non essere all’altezza, il peso dello sguardo altrui, la tensione verso un’idea di perfezione che sembra irraggiungibile. La compagnia Orto degli Ananassi mette in scena una riflessione giocosa su questi aspetti, trasformando interrogativi semplici ma cruciali in un’esperienza teatrale: esiste davvero la perfezione? Possiamo davvero eliminare ogni difetto?
Al centro della scena ci sono due eccentrici scienziati, meticolosi e instancabili, impegnati a catalogare tutto ciò che non corrisponde a un ideale preciso, tutto ciò che è da considerare Wrong: sbagliato! Il loro obiettivo è ambizioso: eliminare ogni imperfezione, dimostrare che tutto può essere corretto e, soprattutto, meritare la medaglia che sancisce la perfezione. Per riuscirci, non si limitano a classificare ciò che li circonda, ma si impongono le stesse regole, finendo per trasformare la loro ricerca in un gioco surreale, sospeso tra comicità e paradosso.
Ma non sono soli in questa impresa. Ad affiancarli – e talvolta a intralciarli – c’è Machine, una macchina che non si limita a eseguire ordini, ma si impone come un'entità autonoma, quasi un terzo attore sulla scena. Lontana dall’essere un semplice strumento, Machine si manifesta come una presenza “viva”, dotata di una volontà propria, capace di intervenire attivamente, di giudicare, premiare e mettere in discussione ogni tentativo di perfezione. Attraverso segnali acustici, luci e azioni improvvise, stabilisce criteri apparentemente oggettivi, ma in realtà mutevoli e imprevedibili.
I due scienziati, nel desiderio di dimostrarsi all’altezza delle aspettative, finiscono per affidarsi completamente al giudizio della macchina, eseguendo i suoi comandi con un’energia febbrile, ossessionati dall’idea di evitare l’errore e guadagnare medaglie. L'ossessione per la perfezione si manifesta anche nell'uniformità estetica imposta da Machine: gli abiti dei protagonisti, così come altri elementi scenici, devono rispecchiare l'aspetto e le caratteristiche della macchina stessa.
Ben presto, questa tensione esasperata si trasforma in una trappola. Ogni tentativo di compiere un'azione "perfetta" si scontra con l'imprevedibilità e con l'errore che si insinua nel meccanismo. L’intera narrazione si sviluppa attraverso il linguaggio del corpo e dell’azione, senza l’uso della parola e con un grammelot semplice ma efficace. Un codice espressivo che permette allo spettacolo di comunicare in modo immediato con il pubblico.
Pensato per spettatori dai 5 anni in su, WroOng riesce a coinvolgere anche un pubblico adulto, offrendo diversi livelli di lettura e lasciando spazio a interpretazioni personali. Pur con qualche eccesso macchiettistico che andrebbe meglio calibrato, WroOng funziona: è godibile, ben costruito e sostenuto dalla bravura dei due protagonisti, Ilaria Di luca e Andrea Gambuzza, che riescono ad infondere ritmo e intensità alla narrazione.
Anche l’utilizzo della macchina è particolarmente interessante: un elemento scenico che diventa motore dell’azione e amplifica il senso del racconto.
Lo spettacolo non offre soluzioni preconfezionate, né cerca di rassicurare con risposte semplici. Al contrario, invita a guardare gli sbagli con una prospettiva diversa, a riconoscere che l’imperfezione è parte dell’esperienza umana e che tentare di eliminarla completamente significa perdere qualcosa di essenziale.
VITTORIA DE CARLO
ECCO LA PRIMA PARTE DELLO SGUARDO DI EOLO SUL FESTIVAL DI CASTELFIORENTINO

Da martedì 18 a venerdì 21 marzo 2025 si è svolta a Castelfiorentino la XIIII edizione di Teatro fra le Generazioni, il Festival o, meglio, il cantiere multidisciplinare legato al teatro d'innovazione per le nuove generazioni, organizzato dalla compagnia teatrale empolese Giallo Mare Minimal Teatro. Il cartellone della manifestazione diretta da Vania Pucci e Renzo Boldrini si è svolta nei vari spazi teatrali e non di Castelfiorentino: il Teatro del Popolo con il suo Ridotto e le sale espositive, il Teatro C’art e l’Ex Oratorio di San Carlo. Anche quest’anno il festival oltre ad offrire nei suoi quattro giorni di programmazione venti appuntamenti, otto prime nazionali, venticinque compagnie teatrali, ha proposto incontri di approfondimento legati alle performance in forma di studio. Questi incontri hanno rappresentato un’interessante occasione sia per le compagnie che hanno potuto mostrare il proprio lavoro in fieri che per gli operatori che hanno potuto riappropriarsi del loro ruolo di accompagnamento all’artista nella fase di produzione creativa.
Il Festival è stato inaugurato da “Che giorno è” il nuovo spettacolo di Giorgio Scaramuzzino prodotto dalla Factory di Massimo Bertoni e da La Baracca Teatro Testoni Ragazzi che nell’alveo del suo teatro di impronta civile vuole condurre i ragazzi ad una riflessione sulle numerose date che rimandano ad altrettanti momenti della storia che hanno segnato il percorso dell’umanità che costellano il nostro calendario. Nel suo cammino artistico per questa sua nuova fatica Scaramuzzino in scena ha avuto un aiuto di grande adesione artistica ed emotiva da Bruno Cappagli de La Baracca Teatro Testoni Ragazzi che, come un vero compagno di scuola/teatro, lo ha accompagnato in questo nuovo viaggio.
Interessante l’inizio di “Blu” di Pilar Ternera dove Silvia Lemmi e Francesco Cortoni che firma anche testo e regia, intendono raccontare ai bambini la loro storia incentrata su un viaggio alla ricerca della felicità. Mentre le premesse messe in campo dalla compagnia ci convincono nell’idea di narrare la loro avventura con poco o nulla in scena svelandone con fantasia di volta in volta tutti i meccanismi narrativi, la seconda parte tradisce un po’ l’originalità avventurandosi in un linguaggio con segni forse troppo didascalici.
Teatro tra le Generazioni ci ha anche regalato nuove versioni di must già ampiamente attraversati dal Teatro Ragazzi. Una rivisitazione non troppo convincente de “I 3 porcellini” è stata la produzione di In Quanto Teatro/La Piccionaia con “333 Porcellini” che, a nostro avviso, ha bisogno di una riflessione sia sul piano drammaturgico che della messa in scena. Ci ha incuriosito poi la rivisitazione di Pinocchio prodotto da Fondazione Sipario Toscana dal titolo “Geppetto” nato da un’intuizione di Debora Mattiello alla quale si è aggiunta la sapienza di Tonio De Nitto. La replica ha fatto intuire una potenzialità che nello svolgersi non è ancora maturata ma siamo convinti che, dispiegati meglio gli accenti, il lavoro potrà avere una buona vita.
Di accattivante semplicità ci è parso “Cinelù” di e con Sarah Georg e Gabriele Stoppa, un curioso salto all’indietro sulla nascita del cinema e sui primi meccanismi di imbroglio dell’occhio narrati da una signora fuori dal tempo e da un musicista sui generis che, con l’aiuto di curiosi oggetti appartenenti all’archeologia del cinema, raccontano di un passato che si ripercuote nel presente. Un singolare spettacolo da strada in cui si mescolano gioco, parole, musica e teatro,
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CINELU'
COMPAGNIA RODISIO /IL PIU'PICCOLO DI TUTTI
Davide Doro e Manuela Capece della Compagnia Rodisio hanno davvero una particolare predilezione per la fiaba Pollicino se ogni tanto hanno la curiosità di ritornarci in modi assolutamente diversi. Forse perché portatrice di sentimenti profondi di grande impatto emotivo come l’abbandono, la ricerca di un mondo migliore, la paura, il coraggio, la diversità, il successo, in grado di solleticare la loro arte e declinarla ogni volta in una lettura nuova. Questa volta Davide Doro ritorna in scena da solo in “Il più piccolo di tutti” prodotto dalla compagnia stessa e da Pistoia Teatri per raccontarla un’altra volta ai bambini non avendo bisogno di grandi apparati scenici: gli bastano un tavolo, dei rami intrecciati, dei grandi stracci capaci di diventare un cappello e una gonna, un libro, una casetta e una semplice insostituibile pila per creare gli effetti visivi . D’altronde deve narrare una piccola storia di cui è protagonista un bambino, il più piccolo di tutti, uno che non parla mai, che si nasconde sempre e che nel contempo non ne fa una giusta. Pollicino è quello che tutti prendono in giro, quello che vale meno di niente.La storia la conoscono un po’ tutti e sarà lui a salvare i suoi fratelli abbandonati nel bosco, sarà lui ad ingannare in modo feroce la voracità dell’orco, diventando a tutti gli effetti un eroe. Attraverso i mezzi che il teatro possiede, in verità molto piccoli, ma utilizzati in modo sempre confacente e significativo come le musiche e i suoni emotivamente appropriati nello stile consolidato della compagnia, lo spettacolo rapisce lo spettatore e non lo lascia un momento alternando momenti di grande comicità e di riflessione profonda.
Davide Doro in scena come Padre dei fratellini e indimenticabile Moglie dell’Orco approfondisce tutti i possibili contorni della fiaba, utilizzando anche una caustica ironia che ne stempera le situazioni restituendoci in modo credibilmente contemporaneo i personaggi.
L'OMINO DEI SOGNI E L'OMINO DELLE NUVOLE / GIALLO MARE MINIMAL
Renzo Boldrini di Giallo Mare Minimal Teatro, dopo i due significativi capitoli di “Trame su misura”, nel suo inconfondibile stile che mescola linguaggi diversissimi tra loro, ha proposto a “Teatro fra le generazioni” un curioso omaggio a Gianni Rodari e ai suoi indimenticabili personaggi così vicini al mondo dei bambini e della bambine. In “L’omino dei sogni e l’omino delle nuvole” lo spettacolo, attraverso una coraggiosissima e multiforme partitura, riesce, senza mai sbagliare ritmo e misura, a far dialogare in modo ricco di sempre nuove suggestioni le parole in rima della bravissima Alice Bachi con le fantasiose immagini di Daria Palotti, le animazioni multimediali di Ines Cattabriga e le luci e l'audio del fido Roberto Bonfanti.
Tutti questi linguaggi si mescolano a meraviglia tra loro per raccontarci storie strane e portentose trovate in un libro che hanno come protagonisti Arturo e Noè. Arturo è appunto l’Omino dei sogni che mentre durante il giorno dorme, di notte dal suo grande sacco seleziona i sogni più giusti, adatti a colorare il buio di molti bambini che, grazie al suo intervento, al loro risveglio riusciranno ad essere in feconda relazione con il mondo. E Pino imparerà a non avere più paura del lupo, Aurora ad avere dimestichezza con l'acqua e il fuoco, Leonardo a non temere più il suo gatto, Tito così restio ogni volta per il desinare, avrà voglia di mangiare. Insomma Arturo dietro ad ogni cuscino con il suo sacco di sogni dona sogni giusti a tutti e tutte, ad ogni bambino lontano o vicino: a Mohamed che sogna in arabo e ad Hua che sogna in Cinese.
Noè invece è il nostro Omino delle Nuvole che trasporta bambini e bambine in un mondo antichissimo e del tutto particolare in cui tutto era bambino, piccino. Il pubblico poi potrà riascoltare in una nuova divertente versione la storia del Diluvio universale, nato ohibò per una solenne distrazione: il nostro omino delle nuvole infatti si era addormentato lasciando aperto il rubinetto della pioggia. Ed ecco che, riprendendo la storia biblica, Noè non si dette per vinto: costruì una nave dove metterci tutti i bambini e tutte le bambine “qualunque fosse il nome, l’età, il colore delle chiome, brune o bionde: come comanda la legge del mare, nessuno può essere lasciato da solo fra le onde!”. E in loro aiuto arrivò persino un uomo grande e grosso che si chiamava Atlante. “L’omino dei sogni e l’omino delle nuvole” in modo curioso e scoppiettante, irrorato di fertile ironia, ha la capacità di abituare il pubblico dell'Infanzia ad avere familiarità con diversi linguaggi che si mescolano con semplice articolata proprietà raccontando storie colme di grande fantasia e di stupore, rendendo omaggio al genio di Rodari, capace ogni volta di farci gustare il sapore di un’infanzia che credevamo perduta.
MARIO BIANCHI

ROSALUNA E I LUPI
LA MANDRAGOLA / STIVALACCIO TEATRO
La “commedia perfetta” di Machiavelli, scritta tra il 1512 e il 1529, racconta l’inganno di Callimaco, giovane fiorentino innamorato della bella Lucrezia, moglie del ricco e sciocco dottore Nicia. Per giacere con lei, Callimaco si finge medico e convince Nicia che l’unico rimedio per avere figli sia una pozione di mandragola. Ma, secondo leggenda, il primo uomo che si unirà alla donna dopo l’assunzione morirà. Così si inventa un sostituto, che sarà ovviamente lui. Con l’aiuto del corrotto frate Timoteo, l’inganno si compie.L’adattamento firmato Michele Mori sfrutta bene la struttura dell’originale e valorizza il lavoro degli interpreti, tessendo dinamiche vivaci tra personaggi e situazioni. L’inizio è affidato al capocomico Pierdomenico Simone che, rompendo la quarta parete, spiega quanto siano fondamentali le bugie per vivere. “Un mondo senza bugie è come un mare senza onde. Non è sintomo di cattiveria, bensì la capacità di arrangiarsi”: un’ironica captatio benevolentiae che pone il pubblico di fronte all’ambiguità morale come dato di fatto.
Seguono due ulteriori introduzioni (una cantata e una più narrativa) che ci portano nel vivo della vicenda, in un 1520 trasfigurato, dove due francesi rissosi discutono con Callimaco su quale sia il paese migliore tra Francia e Italia. Ne nasce un duello che coinvolge anche Ligurio, servitore napoletano di Nicia, abile manipolatore che accende la miccia del desiderio di Callimaco verso Lucrezia. Da lì il racconto si muove tra voli improbabili e un linguaggio che alterna zanni, commedia dell’arte e riferimenti moderni.
Il gruppo dei Giovani di Stivalaccio Teatro (Pierdomenico Simone, Daniela Piccolo, Elisabetta Raimondi Lucchetti, Elia Zannella, Francesco Lunardi) lavora in sinergia, con una regia che esalta il ritmo, le invenzioni comiche e le soluzioni visive. La scena di Alvise Romanzini è geometrica e funzionale e il Dottor Pantalone Nicia di Elia Zanella porta in scena buon ritmo e un ottimo gioco di maschera.
La drammaturgia originale riflette il cinismo rinascimentale e l’amoralità politica di Machiavelli si insinua in ogni scambio. Tuttavia, nella versione di Stivalaccio, qualcosa si addolcisce: Callimaco, interpretato da Lunardi, appare troppo “innamorato”, un po’ troppo tenero per incarnare l’ambiguità machiavellica. Il suo fascino da “bravo ragazzo” rischia di smussare il potenziale corrosivo del personaggio. Si dirà: è uno spettacolo rivolto a un pubblico giovane, spesso scolastico. Ma davvero il pragmatismo politico di Machiavelli è così indigesto per chi ha quattordici anni? L’inganno, il doppio gioco, il calcolo dei mezzi per raggiungere un fine: sono meccanismi che i più giovani conoscono fin troppo bene. E poi ironia e sarcasmo non sono forse proprio i linguaggi della Commedia dell’Arte? Ma soprattutto: non sono forse quelli più familiari al mondo adolescenziale?
E poi, un’ultima domanda: che fine hanno fatto i due francesi che inseguivano Callimaco? Spariti. E se anche questo fosse un altro piccolo inganno?
SAMUEL ZUCCHIATI
PROGETTO G.G./ ROSALUNA E I LUPI
C’era un tempo in cui la luna non c’era. Non c’erano neppure le stelle: solo insegne luminose e lampioni, a rischiarare la notte. Tutto era codificato e nel paese dei Noncontenti tutti i giorni erano uguali e tutti erano normalmente Non-contenti (per forza: mancavano di fantasia e sogno!).
Tutti, meno Rosaluna.
Inizia così lo spettacolo delle brave Consuelo Ghiretti, Francesca Grisenti (Progetto g. g.) che mettono in scena una storia tratta dall’omonimo testo della scrittrice francese Magali Le Huche, con il quale propongono ai giovani spettatori riflessioni sul concetto di libertà, nel senso più ampio dell’importanza del termine.
Rosaluna è diversa da tutti i Noncontenti perché ama cantare e con il suo canto – del quale non può fare a meno e che è inviso e proibito – attira i lupi che, come è noto cantano ululando (o ululano cantando?). Il personaggio di Rosaluna - un simpatico pupazzo un po’ sgraziato che ricorda la Mafalda di Quino – è abilmente animato a vista all’interno di una scenografia che ci mostra il grigio paese dei Noncontenti, con i suoi abitanti – compreso il dispotico sindaco – ridotti a rigide figure bidimensionali sullo sfondo. I lupi sono efficacemente interpretati dalle maschere indossate dalle attrici, che ce li propongono in alternanza con la loro narrazione e l'utilizzo creativo del Teatro di figura che benissimo si identifica con lo stile consolidato della compagnia.
Rosaluna è allegra, vivace, disordinata; vorrebbe stare alle regole imposte ed è un po’dispiaciuta per questo suo cantare del quale non può fare a meno e che non è accettato dai suoi concittadini; ma è molto contenta di avere il pubblico dei lupi che l’apprezza.
Ma un personaggio diverso, in un paese tutto uguale, non può restare. Così Rosaluna viene – in senso letterale! – catapultata via. Vola così lontano da arrivare in cielo: dove diventa LA luna.
E forse i suoi concittadini, con la Luna che fa sognare, diventeranno meno Noncontenti. Forse grazie ai lupi che ululano tristi alla (Rosa )Luna, che non è più con loro, sbriglieranno la loro fantasia.
Uno spettacolo intelligente, divertente, a tratti un po’ pauroso, ma di quella paura bella che mette addosso un brividino e porta a cercare la mano di chi è accanto con una risata liberatoria. Una storia di ottusità e di amore, di paura e di coraggio; un inno alla libertà di essere se stessi che piacerà a tutti.
NICOLETTA CARDONE JOHNSON
ABBIAMO CHIESTO ALLA GIOVANISSIMA ARIANNA BARONI DI RIPORTARCI IL SUO SGUARDO SU PINOLO DI NARDINOCCHI- MATCOVICH UNA CREAZIONE CHE TRATTA UN TEMA COSI' DEDICATO COME L'IDENTITA'DI GENERE.
NARDINOCCHI- MATCOVICH / PINOLO
“Quando l’irreale avanza pretese sulla realtà o entra nel suo dominio accade qualcosa di diverso dalla semplice assimilazione delle norme dominanti; le norme stesse possono essere scardinate, mostrare la loro instabilità e aprirsi a una nuova significazione”.
Judith Butler
In che modo e dove ci condizionano gli stereotipi di genere? Quanto profondamente sono instillati in noi? Ci accolgono in proscenio Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich: domandano ad una bambina seduta in prima fila di aiutarli a rendere due manichini maschio e femmina e alle sue sollecitazioni completano i manichini estraendo da una scatola man mano capelli, occhi, nasi, bocche e abiti. Il risultato è scontato: la femmina vestita di rosa e truccata e il maschio vestito di azzurro e con i capelli corti. Queste icone, dopo un attimo di silenzio, cadono all’indietro facendo un grande tonfo sul palco. Sembra il suono del mondo che cade sulla schiena e che per un attimo, sollevato, realizza lo stato di scomodità in cui si trovava prima della caduta.
Il racconto si dispiega a partire dalla nascita di Pina, una bambina bellissima interpretata dalla brava danzatrice/attrice Noemi Piva. Sulla scena ai lati vediamo due tavoli con un microfono al centro: saranno le postazioni di Laura e Niccolò che rimarranno in scena per tutta la durata dello spettacolo, talvolta cambiando leggermente gli abiti si trasformeranno ora nei genitori di Pina e ora in bambine e bambini che giocano con lei. La nostra protagonista Pina crescendo si ritrova sempre più lontana da tutti perché giudicata né “abbastanza maschio” né “abbastanza femmina”. Decide quindi di isolarsi e di rifugiarsi sotto un pino, nella dimensione naturale del mondo. Gli alberi, come le persone, sono tutti diversi e qui, sotto ad un albero di pino interpretato da Niccolò, Pina si sente finalmente libera di autodefinirsi con un nome nuovo: Pìnolo. Diventa, nel corso di questa relazione, essenziale l’incontro con una pigna, che giorno per giorno aiuta Pina - ora Pìnolo - a sentirsi meglio, anche se questa relazione esclusiva la porterà a scomparire. Qual è il ruolo della solitudine nel cambiamento e nella maturazione del sé? E qual è - invece - il ruolo che può avere l’assenza di qualcosa o qualcuno che prima c’era e ora non c’è più? A tutti noi è capitato di sentirci inadeguati e poi improvvisamente di nuovo compresi e al sicuro grazie alla giusta compagnia e poi nella solitudine, di percepirci ancora addosso pezzetti della stessa sicurezza. C’è un modo giusto per interrogarsi sulla propria identità? C’è qualcosa di noi che possiamo profondamente cambiare o adeguare ad un contesto? Cosa significa essere maschio ed essere femmina? Pìnolo, dopo aver incontrato un altro personaggio essenziale, una lumaca interpretata da Laura, capisce l’importanza di restare se stessa. La lumaca, che è un animale ermafrodita, ovvero in grado di riprodurre contemporaneamente o successivamente sia i gameti maschili che quelli femminili, fa ascoltare a Pìnolo delle preziosissime voci, quelle dei bambini e delle bambine che come sempre con serietà ragionano sulla stereotipia di genere e su quanto questa influenzi le loro vite.
Attraverso un linguaggio teatrale semplice ma puntuale, in cui tutto viene svolto a vista e grazie ad una narrazione efficace, accompagnata dall’esecuzione dal vivo di rumori naturali e musica e da uno studio delicato e complesso sui movimenti, lo spettacolo spinge i bambini e le bambine a seguire le proprie inclinazioni e aspirazioni in piena libertà, senza tenere troppo in considerazione, ma anche senza ignorare, l’ingombrante stereotipia di genere che è al centro della nostra cultura patriarcale. La messa in scena di un teatro nudo, arguto, popolare, in cui vengono affrontati temi che sempre di più sono importanti sin dalla primissima età si presenta a noi come una possibilità che può condurre verso un settore teatrale che guardi oltre alla didattica e al dispiegamento di temi universalmente riconosciuti e di meno complessa decifrazione.
Alla fine dello spettacolo Laura e Niccolò si ripresentano ai bambini e alle bambine con una domanda: li vestireste di nuovo così i manichini, oppure cambiereste qualcosa?
ARIANNA BARONI
VITTORIA DE CARLO DEL TEATRO DELL'ARGINE INVECE CI OFFRE LE SUE OSSERVAZIONI SULL'ULTIMO SPETTACOLO DELL'ORTO DEGLI ANANASSI
Lo spettacolo WroOng affronta un tema che accompagna la crescita di ogni bambina e bambino: il timore di non essere all’altezza, il peso dello sguardo altrui, la tensione verso un’idea di perfezione che sembra irraggiungibile. La compagnia Orto degli Ananassi mette in scena una riflessione giocosa su questi aspetti, trasformando interrogativi semplici ma cruciali in un’esperienza teatrale: esiste davvero la perfezione? Possiamo davvero eliminare ogni difetto?
Al centro della scena ci sono due eccentrici scienziati, meticolosi e instancabili, impegnati a catalogare tutto ciò che non corrisponde a un ideale preciso, tutto ciò che è da considerare Wrong: sbagliato! Il loro obiettivo è ambizioso: eliminare ogni imperfezione, dimostrare che tutto può essere corretto e, soprattutto, meritare la medaglia che sancisce la perfezione. Per riuscirci, non si limitano a classificare ciò che li circonda, ma si impongono le stesse regole, finendo per trasformare la loro ricerca in un gioco surreale, sospeso tra comicità e paradosso.
Ma non sono soli in questa impresa. Ad affiancarli – e talvolta a intralciarli – c’è Machine, una macchina che non si limita a eseguire ordini, ma si impone come un'entità autonoma, quasi un terzo attore sulla scena. Lontana dall’essere un semplice strumento, Machine si manifesta come una presenza “viva”, dotata di una volontà propria, capace di intervenire attivamente, di giudicare, premiare e mettere in discussione ogni tentativo di perfezione. Attraverso segnali acustici, luci e azioni improvvise, stabilisce criteri apparentemente oggettivi, ma in realtà mutevoli e imprevedibili.
I due scienziati, nel desiderio di dimostrarsi all’altezza delle aspettative, finiscono per affidarsi completamente al giudizio della macchina, eseguendo i suoi comandi con un’energia febbrile, ossessionati dall’idea di evitare l’errore e guadagnare medaglie. L'ossessione per la perfezione si manifesta anche nell'uniformità estetica imposta da Machine: gli abiti dei protagonisti, così come altri elementi scenici, devono rispecchiare l'aspetto e le caratteristiche della macchina stessa.
Ben presto, questa tensione esasperata si trasforma in una trappola. Ogni tentativo di compiere un'azione "perfetta" si scontra con l'imprevedibilità e con l'errore che si insinua nel meccanismo. L’intera narrazione si sviluppa attraverso il linguaggio del corpo e dell’azione, senza l’uso della parola e con un grammelot semplice ma efficace. Un codice espressivo che permette allo spettacolo di comunicare in modo immediato con il pubblico.
Pensato per spettatori dai 5 anni in su, WroOng riesce a coinvolgere anche un pubblico adulto, offrendo diversi livelli di lettura e lasciando spazio a interpretazioni personali. Pur con qualche eccesso macchiettistico che andrebbe meglio calibrato, WroOng funziona: è godibile, ben costruito e sostenuto dalla bravura dei due protagonisti, Ilaria Di luca e Andrea Gambuzza, che riescono ad infondere ritmo e intensità alla narrazione.
Anche l’utilizzo della macchina è particolarmente interessante: un elemento scenico che diventa motore dell’azione e amplifica il senso del racconto.
Lo spettacolo non offre soluzioni preconfezionate, né cerca di rassicurare con risposte semplici. Al contrario, invita a guardare gli sbagli con una prospettiva diversa, a riconoscere che l’imperfezione è parte dell’esperienza umana e che tentare di eliminarla completamente significa perdere qualcosa di essenziale.
VITTORIA DE CARLO

